Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8999 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 31/03/2021), n.8999

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19491/2016 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Ennio

Quirino Visconti n. 99, presso lo studio dell’avvocato Jacobucci

Berardino, rappresentato e difeso dagli avvocati Arnese Aurelio,

Mastrangelo Pietro, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Deutsche Bank, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare n. 23, presso

lo studio dell’avvocato Brun Maurizio, rappresentata e difesa

dall’avvocato Giangrossi Ilario, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 306/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 18 novembre 2010 C.B. conveniva in giudizio Deutsche Bank s.p.a. deducendo: che propri investimenti in titoli a basso rischio erano stati destinati dalla banca a numerose operazioni finanziarie altamente speculative; che per tali investimenti aveva subito perdite; che non gli era stato consegnato il documento generale sui rischi; che non aveva ricevuto alcun prospetto informativo; che non aveva sottoscritto il contratto quadro; che i propri risparmi erano stati investiti in due “certificati” del valore nominale di Euro 15.000,00 ciascuno, in quote del fondo comune (OMISSIS) del valore nominale di Euro 23.000,00, in quote del fondo comune (OMISSIS) del valore nominale di Euro 10.000,00 e in tre polizze (OMISSIS) del valore nominale di Euro 15.000,00. Domandava condannarsi la banca alla restituzione della somma complessiva di Euro 75.084,50, salvo altra, previo accertamento della nullità o inesistenza del contratto quadro e della nullità o inefficacia dei singoli investimenti; in via subordinata, chiedeva condannarsi la banca al risarcimento dei danni, previo accertamento delle violazioni, da parte della medesima, delle regole di comportamento stabilite dal D.Lgs. n. 58 del 1998 e dal reg. Consob n. 11522/1998.

Il Tribunale di Taranto, avanti al quale era introdotto il giudizio, ritenuta la nullità sia del contratto quadro, per difetto della forma scritta, in quanto mancante della sottoscrizione della banca, sia delle operazioni di investimento eseguite, accoglieva la domanda di ripetizione, condannando la convenuta al pagamento della somma richiesta, maggiorata degli interessi.

2. – Deutsche Bank proponeva appello, cui resisteva C.. La Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande proposte. Osservava, in sintesi, che la banca aveva operato quale mera intermediaria, e non quale negoziatrice in conto proprio dei titoli e delle polizze, onde vi era “diversità soggettiva tra contratto quadro, nullo per difetto di forma scritta, e i contratti di assicurazione e di acquisto dei titoli e dei fondi comuni”. Rilevava, inoltre, con particolare riguardo alle polizze assicurative, che queste erano state stipulate con la compagnia di assicurazione: sicchè l’azione di nullità e quella restitutoria non avrebbero potuto proporsi nei confronti della banca. Con riferimento alla domanda subordinata di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, rilevava, infine, che l’esperienza in materia di investimenti dell’appellato, la propensione al rischio medio alta dello stesso e le operazioni finanziarie di vario tipo da lui poste in atto nel passato inducevano a ritenere che tale soggetto non fosse stato “indotto ad eseguire gli investimenti per cui è causa dalla condotta della banca e che, al di là delle violazioni asseritamente commesse dalla banca, gli investimenti suddetti (fossero) effetti e conseguenze delle sue scelte consapevoli in materia finanziaria e della sua propensione al rischio insito in tali tipi di investimento”.

3. – La detta pronuncia d’appello, pubblicata il 9 giugno 2016, è impugnata per cassazione da C.B. con tre motivi. Resiste con controricorso Deutsche Bank. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. r) e comma 5, nonchè degli artt. 1,21 e 23 t.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998). Si assume che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto che la banca, con riferimento alla trasmissione degli ordini di investimento, non era soggetta alla normativa sull’intermediazione finanziaria. Si deduce che in tal modo la Corte di Lecce non avrebbe considerato: che la legge, allo scopo di proteggere gli investitori e di garantire l’integrità del mercato, ha inteso affidare la prestazione di ogni servizio e di ogni attività di investimento a particolari soggetti, sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia e della Consob; che i soggetti abilitati svolgono tali servizi e attività dietro corrispettivo; che la semplice consulenza può rientrare nel campo di applicazione della normativa che regola l’intermediazione finanziaria.

Il secondo mezzo oppone la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione o per motivazione apparente, in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 132 c.p.c., nonchè per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 con riferimento al tema della denegata legittimazione passiva della banca intermediaria. Viene lamentato che la pronuncia impugnata si limiti ad affermare, sul punto, che l’azione contrattuale andava esercitata nei confronti della controparte contrattuale, laddove le polizze che venivano il discorso costituivano un prodotto finanziario, onde anche con riferimento ad esse doveva ritenersi operante la disciplina normativa contenuta nel D.Lgs. n. 58 del 1998 e nel reg. Consob n. 11522/1998. L’istante deduce che la pronuncia impugnata non conteneva l’esposizione delle ragioni in base alle quali le polizze tipo Index (cui erano riconducibili le polizze oggetto di causa) non integrerebbero un prodotto finanziario.

1.1. – I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

La nullità del contratto quadro rende certamente nulle, perchè prive di titolo, le operazioni di investimento poste in essere in esecuzione di esso. La situazione non è diversa da quella che si determina il caso di totale assenza di contratto quadro (cfr. al riguardo Cass. 22 marzo 2013, n. 7283, secondo cui, appunto, alla stregua di quanto sancito dall’art. 23 t.u.f., sono nulle, per carenza di un indispensabile requisito di forma prescritto dalla legge a protezione dell’investitore, le operazioni di investimento compiute da una banca in assenza del detto contratto).

La Corte di merito ha valorizzato, però, la circostanza per cui i prodotti finanziari che venivano in discorso (polizze, quote di fondi comuni e “certificati” non meglio qualificati) erano stati ceduti direttamente da soggetti terzi, estranei al giudizio, al ricorrente, sia pure a mezzo della banca, che aveva quindi provveduto alla trasmissione dei correlativi ordini di investimento alle società che quei titoli avevano emesso e collocato sul mercato. In particolare, il giudice distrettuale non ha escluso che le operazioni finanziarie poste in atto fossero soggette alla disciplina dei servizi di investimento di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, nè ha negato che le polizze assicurative del tipo Index fossero prodotti finanziari. Il significato che la Corte di merito ha conferito all’alterità soggettiva tra le parti del contratto quadro e le parti dei contratti stipulati direttamente dall’investitore si desume dal rilievo che è stato da essa attribuito al fatto che una domanda di accertamento della nullità di quei contratti avrebbe dovuto essere decisa nel contraddittorio con il soggetto con cui questi ultimi erano stati stipulati: sul presupposto – espresso chiaramente a pagg. 8 s. della sentenza – che la banca non era la controparte contrattuale dell’investitore, con riguardo all’azione volta alla declaratoria di nullità, e non poteva per conseguenza ritenersi munita di alcuna legittimazione passiva al riguardo.

In definitiva, dunque, la decisione resa, nella parte investita dai due motivi di censura in esame, risulta fondarsi su di una lettura del petitum attoreo in cui assume rilievo centrale l’accertamento della nullità dei contratti conclusi tra il ricorrente e terzi soggetti, non già l’accertamento della nullità del negozio concluso dall’intermediario con l’investitore, in attuazione del contratto quadro (quale che ne fosse il preciso oggetto). E il ricorso per cassazione non si mostra in grado di censurare efficacemente la decisione della Corte di appello nella proposizione per cui la domandata declaratoria di nullità dei negozi conclusi tra l’investitore e terzi soggetti avrebbe imposto che questi fossero ritualmente evocati in giudizio affinchè si rendessero destinatari delle indicate azioni contrattuali.

2. – Col terzo mezzo vengono prospettate la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2 e artt. 21,27 e ss. t.u.f., nonchè degli artt. 26,28,29,30,37,42 e 43 Reg. Consob n. 16190/2007 e dei principi dell’onere della prova del nesso di causalità; è denunciata, in subordine, l’omessa motivazione, in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 132 c.p.c.. La doglianza è sollevata con riguardo alle affermazioni della Corte di appello secondo cui la pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria trovava ragione nella propensione al rischio medio alta dell’investitore, nei dichiarati suoi obiettivi di investimento e nella natura delle operazioni in precedenza compiute dal medesimo. Viene dedotto: che C. aveva dichiarato di aver in precedenza acquistato titoli di Stato o garantiti dallo Stato; che la disciplina in tema di intermediazione finanziaria impone all’intermediario di accertare la pregressa esperienza del risparmiatore ai fini dell’accertamento della propensione al rischio del medesimo; che il rispetto delle regole di comportamento attiene non al momento esecutivo, ma al momento genetico del rapporto; che l’intermediario ha l’obbligo di segnalare al cliente la non adeguatezza dell’operazione voluta; che lo stesso intermediario deve provare di aver adottato particolari misure per mitigare il rischio del conflitto di interessi. Avendo specifico riguardo alla prova del danno e del nesso di causalità è dedotto che non era “dato comprendere cos’altro l’investitore, odierno ricorrente, avrebbe dovuto dimostrare se non le minusvalenze subite in dipendenza del pessimo andamento dei prodotti”.

2.1. – Il motivo è fondato nei termini che seguono.

La Corte di merito ha nella sostanza escluso il nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario avendo riguardo all’inclinazione al rischio del ricorrente e alla tipologia di investimenti cui lo stesso si era indirizzato in passato.

Questa Corte ha però di recente osservato che la prova contraria all’esistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento all’obbligo informativo e il pregiudizio patito dall’investitore, il quale è oggetto di una presunzione legale, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perchè anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati (Cass. 28 luglio 2020, n. 16126; Cass. 17 aprile 2020, n. 7905; in precedenza cfr. Cass. 4 aprile 2018, n. 8333, secondo cui sia l’adeguatezza dell’investimento al profilo di rischio del cliente che la buona conoscenza del mercato finanziario da parte del medesimo risultano essere totalmente privi di valore inferenziale quanto alla circostanza che il cliente stesso, se informato, avrebbe comunque proceduto all’acquisto, giacchè il fatto che l’investitore propenda per investimenti rischiosi non esclude che egli selezioni tra gli investimenti rischiosi quelli a suo giudizio aventi maggiori probabilità di successo, grazie appunto alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli, o altrimenti reperite). Il giudice distrettuale ha evidentemente disatteso tale regula juris.

3. – In accoglimento del terzo motivo, la sentenza è dunque cassata.

I primi due motivi vanno invece dichiarati inammissibili.

La causa è rinviata alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, che dovrà fare applicazione del richiamato principio di diritto.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il terzo motivo e dichiara inammissibili i primi due; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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