Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8999 del 06/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/04/2017, (ud. 07/03/2017, dep.06/04/2017),  n. 8999

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25781-2015 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI,

87, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO COLARIZI che lo

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato ERMES

COFFRINI, in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DI GESTIONE DEL PARCO FLUVIALE DEL SECCHIA – ora ENTE DI

GESTIONE PER I PARCHI E LA BIODIVERSITA’ EMILIA CENTRALE – C.F.

(OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI che lo rappresenta e

difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato PAOLO COLI, in

virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12245/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 12/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che questa Corte, con sentenza n. 12245 del 12.6.2015, rigettava il ricorso per cassazione proposto da M.L. avverso la decisione della Corte di appello di Bologna che aveva respinto il gravame avverso la decisione di primo grado;

che quest’ultima aveva rigettato la domanda della ricorrente intesa ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità, con tutte le conseguenze reintegratorie e risarcitorie, del licenziamento intimato alla M. con nota dell’11.4.2005 dal Presidente del Consorzio di Gestione del Parco Fluviale del Secchia di (OMISSIS) da cui la stessa dipendeva con funzioni di direttore del Consorzio, inquadrata in categoria D;

che la Corte di Cassazione riteneva, quanto al primo motivo del ricorso della dipendente, che l’ente avesse provveduto a costituire l’ufficio per i provvedimenti disciplinari previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 in base a quanto stabilito dallo Statuto e che fosse generica la censura riguardante la mancanza di terzietà ed imparzialità dell’organo indicato nello statuto come deputato a esercitare i poteri disciplinari, rilevando che la questione non era stata affatto affrontata dalla Corte di merito e che non era indicato in quale atto difensivo o verbale di causa ed in che termini la questione fosse stata introdotta nel giudizio ed aggiungendo che, comunque, la scelta contenuta nello statuto era razionale e non confliggente con alcuna disposizione di legge in ragione della struttura del consorzio che induceva a ritenere congrua la disposizione di attribuire il potere disciplinare al direttore nei confronti di dipendenti ed al presidente nei confronti del direttore, previa delibera del c.d.a;

che, quanto al secondo motivo, la Corte di legittimità osservava che lo stesso presentava profili di inammissibilità, per genericità del vizio denunciato e per mancato deposito del Regolamento del Consorzio e mancata alternativa indicazione della sua esatta allocazione nei fascicoli di parte o d’ufficio delle precedenti fasi del giudizio, evidenziando che la dedotta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 circa l’attribuzione dei poteri disciplinari al Presidente del c.d.a. era insussistente in ragione dell’ampiezza di poteri attribuiti ai dirigenti e della natura meramente esemplificativa dei compiti e delle attribuzioni agli stessi attribuiti nella previsione degli artt. 16 e 17;

che, infine, per quel che rileva nella presente sede, riteneva iammissibile il quarto motivo, sul rilievo che la lettera del 13.2.2004, inviata alla ricorrente dal Presidente del c.d.a., non solo non era stata trascritta, ma non ne era stata indicata, nel giudizio di legittimità, la precisa collocazione negli atti del processo, in dispregio degli oneri gravanti sulla ricorrente;

che di tale decisione chiede la revocazione, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, M.L., fondando il ricorso su tre motivi, cui ha opposto difese, con controricorso, il Consorzio;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la M. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1.1. che la ricorrente, col primo motivo, deduce che la sentenza della Corte di Cassazione sarebbe suscettibile di revocazione per errore di fatto, ex art. 395 c.p.c., comma 4, costituito dall’avere ritenuto, per palese errore di fatto, che la parte non avesse indicato in quale atto difensivo o verbale di causa ed in che termini era stata posta la questione della mancanza di terzietà ed imparzialità dell’organo che aveva deciso il licenziamento, contrariamente a quanto diffusamente osservato nel ricorso con richiamo a quanto già rilevato in proposito in primo grado anche con ampia motivazione;

1.2. che, con il secondo motivo, denunzia analogo errore di fatto con riguardo all’addebito di inammissibilità del secondo motivo di ricorso per cassazione, nonchè di improcedibilità, per non risultare depositato, unitamente al ricorso, il Regolamento del consorzio e per non essere state fornite indicazioni circa l’esatta sua allocazione nei fascicoli di parte, sostenendo, in particolare, che, con il richiamo in ricorso, a pag. 37, dell’art. 6 del Regolamento, si era indicato che lo stesso corrispondeva al doc. n. 12 del fascicolo di primo grado e che gli articoli più rilevanti dello stesso regolamento erano stati, oltre che più volte richiamati, anche testualmente riportati nel ricorso;

1.3. che, con il terzo motivo, la ricorrente rileva la sussistenza di errore revocatorio con riguardo all’addebito di inammissibilità del quarto motivo del ricorso per cassazione fondato sulla lettura data dalla Corte territoriale alla lettera del 13.12.2004 inviata dalla dipendente al Presidente del c.d.a., contestando altresì l’affermazione che non sarebbe stato idoneamente delineato l’errore motivazionale in cui asseritamente sarebbe incorsa la stessa Corte del merito ed il momento di conflitto delle affermazioni del giudice rispetto alle norme della contrattazione collettiva richiamata, rilevandosi che era agevole individuare la collocazione della lettera suindicata negli atti del giudizio, posto che la stessa costituiva un allegato alla risposta alla prima contestazione di addebiti ricevuta dalla ricorrente, risposta indicata come doc. n. 4 del fascicolo di primo grado;

2. che il ricorso è inammissibile se vengono condivise le argomentazioni che seguono;

che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, riferito alle ipotesi in cui la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità e positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonchè 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005);

2.1. che è sufficiente osservare che la Corte, nella sentenza della quale si chiede la revocazione, ha, tuttavia, come è dato evincere dai passaggi motivazionali indicati con riguardo ai motivi primo e secondo proposti nella sede di legittimità, affermato che le doglianze prospettate erano da ritenere inammissibili ed infondate anche sotto profili diversi da quello connesso alla genericità della relativa prospettazione o alla mancata produzione dei documenti ovvero indicazione della relativa sede di allocazione nelle fasi di merito, per cui è da escludere il carattere della decisività dell’errore dedotto a fondamento del presente rimedio impugnatorio;

che, invero, quanto al primo motivo, era precisato che, comunque, doveva ritenersi razionale e coerente con ogni altra disposizione di legge la scelta contenuta nello statuto di attribuire il potere disciplinare al direttore nei confronti di dipendenti ed al presidente nei confronti del direttore, previa delibera del c.d.a.;

2.2. che, quanto al secondo motivo, a prescindere dalla indicazione della sede di produzione soltanto dell’art. 6 del Regolamento e non anche dell’intero testo dello stesso, la Corte aggiungeva che la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 circa l’attribuzione dei poteri disciplinari al Presidente del c.d.a. era insussistente in ragione dell’ampiezza di poteri attribuiti ai dirigenti e della natura meramente esemplificativa dei compiti e delle attribuzioni agli stessi attribuiti nella previsione degli artt. 16 e 17;

2.3. che, infine, in ordine all’errore prospettato con riguardo al quarto motivo, la risposta alla contestazione disciplinare e la indicazione della sede processuale di avvenuta sua produzione non integrano adempimento di analogo onere con riguardo specificamente alla lettera inviata dalla M. al Presidente del CDA indicata al punto 4 della sentenza oggetto del presente ricorso;

3. che la prospettazione degli errori imputati alla Corte non rientra pertanto nel paradigma dell’errore revocatorio, sia per la evidenziata mancanza di decisività degli stessi, sia in considerazione dell’estensione dell’onere a carico della parte ricorrente alla precisa indicazione della sede in cui i documenti sui quali il ricorso si fonda siano rinvenibili, adempimento questo prescritto anche nella presente sede omesso, con riferimento all’onere da assolvere (cfr. Sez. U, Ordinanza n. 25038 del 07/11/2013, e, da ultimo, Cass. 11.1.2016 n. 195);

4. che, pertanto, in conformità alla proposta del relatore, deve pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso con ordinanza ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., non rivestendo alcuna incidenza ai fini di una diversa soluzione della controversia i rilievi formulati in memoria, posto che gli stessi tendono a ribadire quanto già esposto nei motivi, senza aggiungere elementi ulteriori che non siano stati già oggetto di valutazione nelle argomentazioni sopra svolte, con le quali è stato posto in evidenza il riferimento della pronuncia oggetto del presente ricorso a ragioni ulteriori, indicate come rinvenibili nell’ampiezza dei poteri disciplinari conferiti al Presidente del Cda, ragioni ritenute di per sè idonee a sostenere il decisum;

5. che le spese del presente giudizio vanno regolate come da dispositivo;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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