Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8995 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8995 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 11824-2013 proposto da:
AZIENDA USL RM A 04735671002 in persona del Direttore
Generale Prof. Dott. CAMILLO RICCIONI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ARIOSTO 3-9 (c/o UOC),
presso lo studio dell’avvocato ALESSIA ALESII, che la
rappresenta e difende giusta delega in calce al
2014

ricorso;
– ricorrente –

2517
contro

GIUSTI ANNA MARIA, ZIA ANDREA entrambi in propro e
nella qualità di esercenti la genitoriale potestà sul

1

Data pubblicazione: 06/05/2015

figlio

minore

ALESSANDRO

ZIA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SALARIA 400, presso lo
studio dell’avvocato MASSIMILIANO DE LUCA, che li
rappresenta e difende giusta procura speicale a
margine del controricorso;

procuratore generale, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE PARIOLI 87, presso lo studio
dell’avvocato ALDO SEMINAROTI, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrentl

avverso la sentenza n. 4747/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/10/2012, R.G.N.
6408/2005 e 6566/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/11/2014 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato ALESSIA ALESII;
udito l’Avvocato MASSIMILIANO DE LUCA;
udito l’Avvocato ALDO SEMINAROTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso in
via principale per la improcedibilità del ricorso nel
merito per l’accoglimento del 6 ° motivo, rigetto
degli altri, inammissibilità del ricorso incidentale;

2

INA ASSITALIA SPA in persona dell’Avv. MATTEO MANDO’

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. I coniugi Andrea Zia e Anna Maria Giusti, in proprio e
quali genitori del figlio minore Alessandro Zia, convennero in
giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Azienda USL Roma A,
chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni subiti
klebsiella pneumoniae

e

conseguente leucomalacia periventricolare asseritamente
contratte durante il periodo di degenza, dal 20 maggio al 28
giugno 1997, presso l’ospedale “Nuovo Regina Margherita” di
Roma.
A sostegno della domanda esposero, tra l’altro, che il
bambino, nato presso una clinica privata della Capitale a
seguito di parto gemellare anticipato, era stato immediatamente
ricoverato presso il reparto di terapia intensiva neonatale
dell’ospedale convenuto, non essendo la clinica attrezzata
fronteggiare la situazione e che, a seguito dell’infezione,
aveva riportato un’invalidità permanente pari al 100 per cento.
Si costituì in giudizio la USL convenuta, chiedendo il
rigetto della domanda e l’autorizzazione a chiamare in causa la
s.p.a. Assitalia, la quale eccepì l’inoperatività della polizza
e chiese comunque il rigetto della domanda.
Il Tribunale pronunciò sentenza di condanna nella quale
riconobbe che la USL era responsabile nella misura del 50 per
cento dei danni patiti dal piccolo Alessandro e che la società

3

dal figlio a causa dell’infezione da

di assicurazione era tenuta alla manleva nei limiti del
,.
massimale di polizza.
2. La pronuncia è stata impugnata da parte dell’USL, della
società di assicurazione e degli originari attori.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 1 0 ottobre
2012, ha respinto gli appelli della USL e dell’Assitalia e, in
accoglimento del gravame dei genitori del piccolo Alessandro,
in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha stabilito
che l’originaria convenuta doveva essere ritenuta responsabile
del 100 per cento del danno così come liquidato dal primo
giudice, pari ad euro 2.118.828,57; ha poi riconosciuto alla
Giusti ulteriori somme a titolo di danno patrimoniale ed ha
condannato gli appellanti soccombenti al pagamento delle spese
del grado in favore dei coniugi Zia-Giusti.
Per quanto ancora di interesse in questa sede, ha osservato
la Corte territoriale che, sulla base della complessa
istruttoria svolta in primo ed in secondo grado, con
espletamento di due diverse consulenze tecniche d’ufficio,
doveva ritenersi accertato che, essendo la
pneumoniae

klebsiella

una tipica infezione ospedaliera che si può

sviluppare solo dopo un periodo di degenza superiore a due
giorni, il neonato aveva certamente contratto detta infezione
nel reparto ospedaliero del Nuovo Regina Margherita; poiché,
infatti, egli era stato ivi trasportato subito dopo la nascita
e l’infezione si era manifestata solo in data 26 maggio 1997,
4

.

era evidente che il piccolo non poteva averla contratta presso
la clinica dov’era nato (come pure era stato ipotizzato dalle
controparti). D’altra parte, la c.t.u. svolta in appello aveva
evidenziato che il bambino presentava sì alla nascita una
situazione problematica, con ipotonia e riflessi torpidi, ma

in quel momento, di una sofferenza encefalica dovuta ad ipossia
ischemica.
In riferimento, poi, alla complessa questione del rapporto
esistente tra la klebsiella pneumoniae e l’ulteriore patologia
cerebrale sofferta dal piccolo, la Corte ha stabilito che sulla base della c.t.u. espletata in appello – doveva ritenersi
accertato che «le ripetute crisi di apnea determinate dalla
klebsiella pneumoniae

avessero favorito ed ampliato il danno

cerebrale già presente per la preesistente leucomalacia
periventricolare». Pertanto, poiché dal quadro complessivo era
emerso che i danni cerebrali erano conseguenza sia della
klebsiella pneumoniae che della leucomalacia periventricolare,
la USL convenuta, in applicazione del principio di cui all’art.
2055 cod. civ., doveva comunque ritenersi integralmente
responsabile di tutti i danni, assumendo la gravità della colpa
rilevanza soltanto ai fini dell’eventuale azione di regresso.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone
ricorso l’Azienda USL RM A, con atto affidato a sei motivi.

5

che non poteva tuttavia ritenersi dimostrata l’esistenza, già

Resistono con separati controricorso Andrea Zia e Anna

Maria Giusti, in proprio e nella qualità, nonché la s.p.a. INA
. Assitalia; il controricorso di quest’ultima, in particolare,
assume i connotati di un ricorso incidentale adesivo al ricorso
principale, in particolar modo con riferimento al sesto motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

l. Con il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso
si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5),
cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Rileva la ricorrente che la sentenza, non tenendo nella
giusta considerazione le conclusioni dei consulenti tecnici,
avrebbe tralasciato di considerare che 1) era stato escluso che
si potesse stabilire con sicurezza il momento in cui erano
insorti i danni cerebrali; 2) era stata esclusa l’esistenza di
colpe nell’operato dei sanitari dell’ospedale “Nuovo Regina
Margherita”; 3) erano emerse sofferenze prenatali del bambino,
che era nato prematuro ed era arrivato in ospedale in gravi
condizioni, per cui era assurdo l’addebito del 100 per cento
della responsabilità; 4) l’ASL non poteva essere ritenuta
comunque responsabile della klebsiella pneumoniae, posto che si
tratta di un’infezione ospedaliera che poteva essere stata
contratta anche nella casa di cura ove il piccolo era nato.

6

I controricorrenti hanno presentato memoria.

1.1.

I tre motivi,

da esaminare congiuntamente in

considerazione della stretta connessione tra loro esistente,
sono privi di fondamento, quando non in parte inammissibili.
Si rileva, innanzitutto, che, trattandosi di impugnazione
di una sentenza d’appello pubblicata dopo 1’11 settembre 2012,
all’odierno ricorso si applica il testo dell’art. 360, primo
comma, n. 5), cod. proc. civ., così come introdotto dal
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134. Ne consegue
che la relativa censura, a prescindere dalla sua formulazione
letterale – che, nel caso, è corretta, perché si contesta
l’omesso esame

circa un fatto decisivo per il giudizio che è

stato oggetto di discussione tra le parti –

deve poi realmente

rispondere a tali requisiti.
Com’è noto,

il nuovo testo è stato autorevolmente

interpretato dalla sentenza delle Sezioni Unite 7 aprile 2014,
n. 8053, di questa Corte, alla quale si intende prestare piena
adesione (v. altresì la sentenza 9 giugno 2014, n. 12928, di
questa stessa Sezione). Detta pronuncia ha stabilito che è
denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in
quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché
il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a
prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale
anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
7

l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,
nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e
– nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione.

di vizio di motivazione o sono impropriamente poste – come
avviene nel secondo motivo, che affronta, in effetti, un
problema giuridico, ossia quello del riparto delle
responsabilità, punto sul quale si tornerà diffusamente a
proposito del sesto motivo – o cercano comunque di rimettere in
discussione aspetti che la sentenza d’appello ha affrontato con
ampiezza di argomenti (primo e terzo motivo), risolvendosi
nell’evidente tentativo di ottenere da questa Corte una nuova e
non consentita valutazione del merito della controversia.
Ed è appena il caso di osservare che la sentenza impugnata
ha spiegato molto bene (p. 12) perché la

klebsiella pneumoniae

poteva essere stata contratta solo presso l’ospedale “Nuovo
Regina Margherita”: trattandosi, come si è detto, di infezione
nosocomiale che richiede un periodo di ospedalizzazione
superiore a due giorni, poiché il piccolo Alessandro era stato
ivi trasferito subito dopo la nascita (avvenuta il 20 maggio),
era da escludersi che tale infezione, manifestatasi il
successivo 26 maggio, potesse essere stata contratta dal
neonato nella clinica in cui era venuto alla luce. Così come la
8

È evidente che nel caso di specie, al contrario, le censure

0i

sentenza ha spiegato per quali ragioni tale patologia abbia
..

avuto un’efficacia causale certamente idonea almeno ad
aggravare lo stato di salute del bambino; il che basta ad
escludere il vizio di motivazione.
Ne consegue la globale infondatezza dei tre motivi ora in
esame.
2.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in

riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 113 del codice di
procedura civile.
Si osserva, in proposito, che la sentenza impugnata non
avrebbe «deciso secondo diritto, avendo reso una pronuncia
nella quale non si rinvengono le norme di diritto o, comunque,
le ragioni giuridiche» della condanna della USL ricorrente.
3.

Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in

riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 115, primo comma, del
codice di procedura civile.
Si osserva, in proposito, che la sentenza avrebbe deciso la
causa non sulla base delle prove raccolte, in particolare in
riferimento alle conclusioni dei consulenti tecnici.
4.

I due motivi ora indicati possono essere trattati

congiuntamente, in quanto sono evidentemente inammissibili per
genericità.

9

Fermi i rilievi già compiuti a proposito dei precedenti, le
censure di cui al quarto e quinto motivo si limitano ad
affermazioni apodittiche e prive di qualsiasi riscontro
obiettivo. Ciò è evidente soprattutto in riferimento al quarto,
dove si osserva, come sopra riportato, che la sentenza non

che non risponde al vero); ma anche a proposito del quinto, che
è in realtà ripetitivo dei primi tre, ove si torna a
sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del
merito.
I motivi quindi, se non assorbiti dai rilievi compiuti in
riferimento ai primi tre, sono comunque inammissibili.
5. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 del codice
1(Z

civile.
Osserva la ricorrente che la Corte d’appello, pur non
avendo escluso l’esistenza di concause dei danni patiti dal
bambino, avrebbe poi erroneamente addossato l’intera
responsabilità a carico della sola USL. Rileva la parte che la
responsabilità solidale non può tramutarsi in responsabilità
esclusiva, perché ciò farebbe perdere di significato l’azione
di regresso. Tale doglianza è ripresa anche nell’atto difensivo
della s.p.a. INA Assitalia che, come si è detto, benché
intestato come

controricorso, è
10

sostanzialmente un ulteriore

avrebbe dato conto delle ragioni giuridiche della decisione (il

ricorso adesivo rispetto a quello della USL, in particolare in
relazione al presunto errore di applicazione dell’art. 2055
invocato.
5.1. Il motivo non è fondato.
5.2. Come si è accennato in precedenza, la Corte d’appello
di Roma, modificando sul punto la decisione assunta dal
Tribunale, è pervenuta alla conclusione di porre a carico della
odierna ricorrente – nonché dell’assicurazione, nei limiti del
massimale di polizza – l’onere di risarcimento dell’intero
danno patito dal piccolo Alessandro Zia e dai suoi genitori.
A tale esito decisorio la Corte territoriale è pervenuta
sulla base dei seguenti argomenti: 1) la klebsiella pneumoniae
è un’infezione nosocomiale che doveva essere stata contratta
durante il ricovero presso l’ospedale “Nuovo Regina
Margherita”, per le ragioni in precedenza già dette; ove il
contagio fosse avvenuto durante il parto, infatti, esso si
sarebbe manifestato ben prima del 26 maggio 1997 ed avrebbe
probabilmente interessato anche il fratello gemello; 2) le
ripetute crisi determinate dalla

klebsiella pneumoniae avevano

favorito, o comunque ampliato, il danno cerebrale presente per
la leucomalacia periventricolare, patologia questa tipicamente
collegata con l’ipossia dei neonati prematuri; 3) i danni
cerebrali patiti dal piccolo Alessandro erano collegati sia
alla

che alla leucomalacia

klebsiella pneumoniae

periventricolare, dovendosi peraltro escludere che il quadro
11

.

patologico fosse da correlare al concorso necessario di
entrambe;

pertanto,

essendo la ASL oggi ricorrente
klebsiella pneumoniae,

certamente responsabile della

medesima doveva rispondere dell’intero danno,

la

ai sensi

dell’art. 2055 del codice civile.
A supporto giuridico della propria sentenza, la Corte
romana ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo
la quale, in tema di responsabilità civile, qualora l’evento
dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del
concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41 cod. pen.

norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di
responsabilità – in virtù del quale il concorso di cause
preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti
dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di
causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo
riconducibile a tutte (ordinanza 14 luglio 2011, n. 15537,
sulla scia di un orientamento consolidato, per il quale si
vedano le sentenze 13 maggio 2008, n. 11903, e 2 febbraio 2010,
n. 2360).
5.3. Ritiene il Collegio che siffatto orientamento della
giurisprudenza di questa Corte debba essere confermato, anche
alla luce di alcune ulteriori pronunce che si sono soffermate
diffusamente sull’argomento e che vanno adesso richiamate.
Il complesso problema che il motivo di ricorso qui in esame
presenta

è

costituito

dal

concorso,
12

ai

fini

della

.

4)

responsabilità, tra più cause umane e tra causa umana e causa
naturale.
Sulla questione si sono soffermate anche le Sezioni Unite
di questa Corte, con la sentenza 21 novembre 2011, n. 24408,
nella quale però – è bene precisarlo subito – era in esame una
fattispecie del tutto diversa da quella odierna, in quanto non
si trattava di responsabilità professionale, bensì di danni
causati dall’esondazione del fiume Tevere. In quella pronuncia
le Sezioni Unite – ricostruendo per sommi capi il problema e
richiamando i precedenti recenti sul punto – hanno confermato
che la giurisprudenza dominante è nel senso sopra indicato (e
fatto proprio dalla Corte romana nella sentenza oggi in esame).
Tuttavia hanno spiegato che in quel giudizio non si era
verificata «l’ipotesi del concorso delle cause naturali con le
cause umane e quindi un’ipotesi di concorso eziologico nella
produzione degli eventi»; dalla ricostruzione compiuta dalla
sentenza impugnata in quella sede emergeva trattarsi di
«ipotesi di singoli autonomi eventi dovuti a volte alle cause
naturali (20% dei casi) ed altre volte (80% degli allagamenti)
al comportamento colposamente omissivo dei convenuti. Ne
consegue che non si versa in ipotesi di concorso di cause nella
produzione dello stesso evento (o degli stessi eventi) per cui
sia lo stato naturale dell’ambiente sia il comportamento umano
hanno dato un apporto causale alla produzione degli eventi, ma
di eventi ulteriori e diversi e ciascuno con una propria
13

.

causa». In considerazione di ciò le Sezioni unite hanno
riconosciuto, data la particolarità della vicenda, la
possibilità di determinare i singoli contributi causali e le
conseguenti percentuali di responsabilità.
La materia è stata trattata approfonditamente, proprio in

21 luglio 2011, n. 15991, alla quale l’odierna pronuncia
intende dare continuità.
Non è il caso di richiamare minutamente tutti i passaggi di
quella sentenza, la quale ha ricostruito con grande ricchezza
di argomenti e con estremo rigore i punti salienti del
problema, sciogliendo i nodi più difficili e, in particolare,
prendendo le distanze dalla sentenza 16 gennaio 2009, n. 975,
che sembrava (isolatamente) aver seguito un orientamento

relazione ad un caso di responsabilità medica, dalla sentenza

contrario a quello consolidato. La sentenza n. 15991 ha 9S- 2
affermato, tra l’altro, che sia nell’ambito della
responsabilità contrattuale sia in quello della responsabilità
aquiliana, «laddove la condotta sia idonea alla determinazione
(anche solo parziale) dell’evento pregiudizievole lamentato (il
mancato raggiungimento del risultato esigibile nel caso
concreto), e si prospetti una questione circa l’incidenza di
una causa naturale, non possono che aversi due alternative: o è
certo che il fattore naturale sia tale da escludere del tutto
il nesso di causa,

oppure si deve ritenere che il

danneggiante/debitore non abbia fornito la prova della causa
14

non imputabile, con conseguente riconducibilità, in termini di
responsabilità

tout court,

della lesione della salute o della

vita alla condotta colpevole. Va pertanto negato ingresso, sul
piano giuridico, all’ipotesi che, a fronte di una sia pur
minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo

legittimamente dipanarsi un ragionamento probatorio
“semplificato” che conduca ipso facto ad un frazionamento della
responsabilità, da compiersi addirittura in via equitativa (con
conseguente, costante e proporzionale ridimensionamento del
quantum

risarcitorio)». Pertanto, richiamando la bontà

dell’orientamento tradizionale, la pronuncia ora richiamata ha
osservato che eventuali «correttivi alle tradizionali strutture
del principio causale puro (principio, si ripete, puramente
normativo dell’al/ or nothing),

non richiedono né consentono la

formulazione di una regola contrapposta a quella da lungo tempo
sancita da questa Corte, e non esigono né postulano l’approdo
ad una regola ispirata al modello della causalità proporzionale
in salsa equitativa. Onde va riaffermato il principio secondo
il quale, essendo la comparazione fra cause imputabili a
colpa/inadempimento e cause naturali esclusivamente funzionale
a stabilire, in seno all’accertamento della causalità
materiale, la valenza assorbente delle une rispetto alle altre,
non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della
minore gravità dell’apporto causale (e non della colpa, come
15

concausale di un fattore naturale (qual che esso sia), possa

erroneamente e tralaticiamente affermato) del danneggiante, in
quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di
più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una
pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una
causa umana imputabile ed una concausa naturale non

5.4. Applicando i principi ora riportati al caso in esame,
si vede che la sentenza della Corte d’appello – a prescindere
dal richiamo all’art. 2055 cod. civ., che è da correggere
perché, nella specie, si è evidentemente in un caso di
responsabilità contrattuale è pervenuta ad un risultato
corretto.
Nell’odierna vicenda, infatti, non è neppure chiaro, sulla
base dell’accertamento compiuto dai giudici di merito, se si
debba ipotizzare il concorso tra più cause umane ovvero tra una
causa umana ed una naturale. Attenendosi rigorosamente a quanto
riportato dalla Corte d’appello, è certo che il danno patito
dal piccolo Alessandro è riconducibile sia alla
pneumonlae

klebsiella

che alla leucomalacia periventricolare e che la

klebsiella pneumonlae è

stata contratta presso l’ospedale

“Nuovo Regina Margherita”. Si tratta, quindi, del concorso
(eventuale) tra una causa umana accertata, cioè la patologia
contratta in ospedale, ed una concausa che è rimasta non
accertata; potrebbe essere un fattore naturale imponderabile,
come l’esistenza di un danno intrauterino, o un fattore causale
16

imputabile».

umano dovuto ad errori connessi al parto. È pacifico, però, che
nessun accertamento di merito è stato compiuto, né sollecitato
i da alcuna delle odierne parti in causa, al fine di verificare
la possibilità di configurare altre responsabilità
professionali – magari della clinica dove il neonato vide la

complessità di una gravidanza gemellare conclusasi
prematuramente.
Da tanto consegue che non avrebbe alcun senso, essendo
questa la situazione processuale, interrogarsi – anche alla
luce della casistica acutamente delineata dalla citata sentenza
n. 15991 del 2011 circa l’eventuale

compresenza di cause

naturali – sull’esistenza o meno di altri fattori causali nella
determinazione di quanto, purtroppo, tristemente accaduto. Tale
indagine sarebbe stata dovuta se vi fosse stata una
sollecitazione in tal senso nel giudizio di merito; oppure se
la Corte d’appello, condividendo il ragionamento svolto sul
punto dal Tribunale, avesse ritenuto dimostrato che il neonato
era affetto da encefalopatia, con conseguente leucomalacia
periventricolare,

già

prima

di arrivare presso l’ospedale

“Nuovo Regina Margherita”. Ma la Corte d’appello (v. sentenza a
p. 14-15), con accertamento di merito accuratamente motivato e
non più modificabile in questa sede, ha fermamente escluso che
questa ipotesi fosse confermata dalle prove esistenti, per cui
ne ha tratto l’unica legittima conclusione, ossia che l’odierna
17

luce – o, più semplicemente, di cause naturali quali l’indubbia

parte ricorrente dovesse rispondere per intero del danno
subito. Ciò in quanto, non essendo stato provata l’esistenza di
un fattore naturale in grado di escludere del tutto il nesso di
causa, si deve affermare che l’autore del danno non ha fornito
la prova della propria esclusione di responsabilità, ed è

Il sesto motivo di ricorso è, dunque, infondato.
6. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna della ASL ricorrente e
della controricorrente Assitalia s.p.a. – data la sua natura
sostanziale di ricorrente adesivo – al pagamento in solido
delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità
ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo
2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi
professionali.
Sussistono altresì le condizioni di cui all’art. 13, comma
1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento,
da parte della ASL ricorrente e dell’Assitalia s.p.a.,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente e la
controricorrente Assitalia s.p.a. al pagamento in solido delle
spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro

18

quindi da ritenere colpevole per l’intero.

22.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed
accessori di legge.
Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui all’art.
13, comma 1-quater,

del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il

pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 28 novembre 2014.

versamento, da parte della ASL ricorrente e dell’Assitalia
/).0Q1c
s.p.a. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato

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