Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8993 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/07/2020, dep. 31/03/2021), n.8993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10127/2016 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio

dell’avvocato Laura Nissolino, rappresentata e difesa dagli avvocati

Carmelo Palumbo, e Domenico Palumbo, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., elettivamente domiciliata in

Roma presso lo studio dell’avvocato Umberto Morera, che la

rappresentata e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza 451/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

depositata il 3/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2020 dal cons. Dott. MARULLI MARCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso a questa Corte debitamente notificato C.M., richiamati gli antefatti di causa costituiti segnatamente dall’acquisto per il tramite della Banca Monte dei Paschi di Siena di bonds (OMISSIS) rimasti insoluti a seguito del loro default, impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Napoli, da lei adita in sede di riassunzione dopo la cassazione di una precedente pronuncia dello stesso giudice, ha dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 345 c.p.c. la domanda risarcitoria proposta in quella sede in ragione della sua novità rispetto all’analoga domanda contenuta nell’atto di citazione originario.

A supporto di quanto deciso la Corte territoriale ha osservato come “dal tenore complessivo degli atti, dalle difese svolte e dalla richiesta risarcitoria effettuata, emerga con evidenza che la C. ha sempre chiesto il risarcimento del danno da omessa informazione, poichè ha allegato il comportamento negligente della Banca nel fornire informazioni circa la rischiosità dei titoli, la mancanza di informazione circa lo stato di insolvenza dello Stato (OMISSIS) e l’omessa tempestiva informazione dell’imminente default. Nell’atto di riassunzione, invece, ha chiesto il risarcimento del danno da risoluzione del contratto. La domanda in questi termini è sicuramente nuova e, dunque, inammissibile in difetto di pregressa pronuncia di risoluzione del contratto”.

il mezzo ora azionato dalla C. si vale di un unico motivo cui resiste con controricorso la banca.

Memorie di entrambe le parti ex art. 380-bis1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con l’unico motivo del proposto ricorso – che non incorre nella preclusione dell’art. 360-bis c.p.c., non uniformandosi la decisione impugnata ai precedenti di questa Corte e neppure in quelle di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, e 6, posto che, pur se l’esposizione in fatto riproduce in modo analitico il pregresso andamento del giudizio, ciò non nuoce alla comprensibilità dei fatti di causa e delle ragioni della contesa, così come non è pregiudicata l’autosufficienza del ricorso – argomenta il relazione al riportato decisum la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 112 e 113c.p.c. e degli artt. 21 e 23TUF. avendo invero la Corte decidente “apoditticamente ed erroneamente affermato che la Sig.ra C. abbia mutato il titolo in base al quale era stata formulata la domanda di risarcimento dei danni”, malgrado si fosse replicato che “la richiesta di risarcimento danni e la relativa condanna non necessariamente deve essere legata ad una domanda di risoluzione del contratto” e che “la domanda di risarcimento danni era già contenuta nel petitum di primo grado”.

2.2. L’assunto sviluppato dal motivo è ineccepibile.

L’art. 1453 c.c., nell’alveo del quale la domanda inizialmente proposta dalla C. – non senza, per vero, trovare giustificazioni nell’oscillante quadro giurisprudenziale sotteso alla materia prima della composizione dettatane dalle SS.UU. (Cass., Sez. U, 19/12/2007, n. 26724) – è stata ricondotta in spregio alla natura “chiusa” del giudizio di rinvio, recita testualmente, al comma 1, che “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”. Nella salvezza della domanda risarcitoria la giurisprudenza di questa Corte ha da sempre individuato l’esercizio di un’azione autonoma rispetto all’azione di risoluzione codificando in ragione di ciò il principio che “la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacchè l’art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto” (Cass., Sez. III, 24/11/2010, n. 23820; Cass., Sez. I, 27/10/2006, n. 23273; Cass., Sez. I, 11/06/2004, n. 11103).

Non esiste perciò al lume dello stesso dettato normativo testè citato una correlazione necessaria tra risarcimento del danno e risoluzione del contratto, di guisa che, postulandosi che il primo sarebbe precluso in difetto della seconda, possa fondatamente sostenersi che non si possa pronunciare la condanna al ristoro dei danni da inadempimento senza pure nel contempo instarsi per la risoluzione del contratto. Il fatto che l’art. 1453 c.c., decretando una salvezza ampia in favore del risarcimento del danno, renda esperibile la relativa azione anche in caso di adempimento, allorchè la mancanza o il ritardo di questo rechi pregiudizio al creditore, rafforza, al contrario, questa prospettiva, dacchè l’azione risarcitoria, pur se anche in tal caso ne ripete i presupposti fattuali, vive in sè di una vita propria e non reclama perciò il preventivo esperimento dell’azione di adempimento.

3. Anzi la convergenza che si realizza in linea di fatto tra azione risarcitoria, da un lato, ed azione di risoluzione o inadempimento dall’altro non deve far smarrire la diversa radice causale che connota le relative domande. L’azione risarcitoria si fonda sul pregiudizio che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento determinano in capo al creditore, che per mezzo del suo esercizio persegue lo scopo di conseguire, sia pure nella forma del risarcimento per equivalente, le utilità che all’atto della sua conclusione si riprometteva di trarre direttamente o indirettamente dall’esatto adempimento del contratto; l’azione di risoluzione e l’azione di adempimento traggono a loro volta titolo dal comportamento del debitore che, non adempiendo l’obbligazione posta a suo carico ovvero adempiendola in modo inesatto, si mostra indifferente alla legge del contratto e ne mina, segnatamente nei contratti a prestazioni corrispettive, l’intrinseco equilibrio sinallagmatico.

Già questi rapidi cenni di economia generale del diritto aiutano a mettere in luce la prima vistosa criticità che affligge il provvedimento impugnato. Saldando inestricabilmente l’azione risarcitoria promossa dalla C. fin dalla prima citazione all’azione risolutoria dalla stessa proposta in sede di riassunzione del giudizio, la Corte decidente ha ricusato di pronunciarsi sulla prima domanda stante l’inammissibilità cui andava soggetta la seconda a cagione della sua novità. La preclusione in tal senso dichiarata anche in danno della domanda risarcitoria oblitera il soprastante comando di diritto e, dunque, l’impugnata decisione, omettendo di statuire su di essa, incorre nel lamentato vizio di omessa pronuncia.

4. Nondimeno la decisione si mostra viziata anche sotto il diverso profilo della sua aderenza agli all’art. 112 e 113 c.p.c. poichè eppur vero che il giudice, dovendo pronunciare secondo diritto, non è vincolato alla qualificazione giuridica impressa dalla parte alla propria domanda, potendo procedere perciò alla sua riqualificazione nel quadro dell’esercizio dei poteri di interpretazione della domanda e della volontà della parte che in essa si esprime conferitigli dall’ordinamento processuale; ma nel far ciò non può prescindere dai fatti costitutivi allegati dalla parte quale espressione del principio dispositivo che regola il processo, di modo che è precluso al giudice che proceda alla qualificazione della domanda modificare o alterare i fatti posti dall’attore a fondamento di essa.

Ora nella specie è incontestato – perchè è la stessa sentenza a darne atto – che la C. avesse dedotto a fondamento della domanda risarcitoria da essa proposta l’inosservanza degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario in cui la banca era appunto incorsa nella negoziazione dell’operazione in bonds (OMISSIS).

La Corte territoriale, al contrario – perchè probabilmente fuorviata dalla domanda di risoluzione del contratto promossa dalla C. in sede di riassunzione – ha ritenuto che anche la domanda risarcitoria avesse, in ragione di ciò, mutato titolo e ne ha, al pari della prima, dichiarato l’inammissibilità per violazione del 345 c.p.c. In tal modo però ha operato una riqualificazione della domanda che, una volta chiarito che l’azione risarcitoria è autonoma e prescinde dalle altre due azioni previste dall’art. 1453 c.c., mostra di ignorare la causa petendi originaria e sovrappone all’inosservanza degli obblighi informativi dedotta ab origine dalla C. una fonte risarcitoria estranea alla domanda iniziale. Donde perciò la denunciata violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.

5. Quest’ultimo rilievo porta a dar sfogo anche ad un’altra osservazione critica che evidenzia l’anomalia motivazionale che vizia il ragionamento decisorio e lo rende inosservante dell’obbligo imposto dall’art. 111 Cost. secondo la nota interpretazione delle SS.UU. 8053/14 e 8054/14.

Seguendo per vero il filo del ragionamento svolto dal decidente del grado – e volendone perciò condividere l’asserto conclusivo in guisa del quale si motiva la novità della domanda risarcitoria proposta in sede di riassunzione rispetto alla domanda risarcitoria originaria per la novità che infirma la domanda di risoluzione – la Corte territoriale avrebbe dovuto chiedersi quali fossero le ragioni legittimanti la nuova domanda – la causa petendi, per intenderci – e se avesse operato una lettura minimamente coerente con le risultanze processuali e adesiva alle allegazioni della parte – oltre che rispettosa del sottostante quadro di diritto nel frattempo consolidatosi – non avrebbe tardato ad accorgersi che alla radice della domanda di risoluzione era posta la medesima inosservanza degli obblighi informativi originariamente posta dalla C. a fondamento dell’iniziale domanda risarcitoria. Sicchè il ragionamento che ha portato il decidente a ricusare la cognizione di quest’ultima si rivela logicamente viziato, risultandone perciò minata la coerenza interna, da un duplice errore consistente, l’uno, nel fatto di non aver individuato la fonte causale della domanda risoluzione, tanto che la relativa asserzione sul punto è priva di uno stabile ancoraggio, l’altro, nel non aver considerato che anche la domanda “nuova” ripeteva la sua fonte dall’originaria denuncia di inosservanza degli obblighi informativi spiegata dalla C..

6. L’impugnata sentenza va per questo cassata e la causa va rinviata al giudice a quo per il nuovo giudizio ove andrà disaminata la domanda risarcitoria erroneamente ritenuta dal decidente inammissibile.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Napoli che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

 

 

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