Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8992 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/07/2020, dep. 31/03/2021), n.8992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MAURLLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3899/2016 proposto da:

L.C.A.M., R.F.R.M., e

R.L.A.M., elettivamente domiciliati in Roma presso

lo studio degli avvocati Tonio di Iacovo, e Gabriele Bricchi, che li

rappresentano e difendono giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI LESMO – SOCIETA’ COOPERATIVA,

elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’avvocato

Nicola Marotta, rappresentata e difesa dall’avvocato Gaetano Maria

Giovanni Presti, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza 4149/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO

depositata il 29/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2020 dal cons. Dott. MARULLI MARCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza 4149/2015 del 29.10.2015 ha respinto il gravame proposto dai litisconsorti R. avverso la decisione del Tribunale di Monza che, in relazione a tre operazioni di investimento finanziario portate a termine nel (OMISSIS) attraverso l’intermediazione della BCC-Banca di Credito Cooperativo di Lesmo ed aventi ad oggetto, le prime due, sottoscrizione di bonds (OMISSIS) e, la terza, obbligazioni emesse dal gruppo (OMISSIS), aveva rigettato la domanda dei medesimi intesa a far dichiarare la responsabilità della banca per violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 21 TUF relativa alle prime due operazioni e l’aveva invece accolta in relazione alla terza, pur limitando la condanna alla restituzione del solo capitale versato all’atto dell’operazione senza accordare il risarcimento del danno per lucro cessante.

1.2. La Corte territoriale, disattendendo il gravame, ha fatto previamente osservare – circa l’operazione in bonds (OMISSIS) – che al fine di affermare la responsabilità della banca deve “in primo luogo sussistere un nesso causale tra il fatto dedotto (ossia l’inadempimento) e il danno patito” e, su questo presupposto, chiarito il quadro circostanziale della vicenda (i R., all’atto di smobilitare un’ingente somma pari a cinque miliardi di lire avevano chiesto che fosse impiegata in investimenti più redditizi; avevano diversificato in più direzione l’investimento, sottoscrivendo, oltre alle obbligazioni (OMISSIS), quote di fondi di investimento in emissioni di paesi emergenti; le obbligazioni (OMISSIS) avevano un rating indicativo di un rischio medio; l’accondiscendenza della banca verso un cliente importante e l’adozione di prassi informali nella gestione del rapporto, l’inconferenza dell’accertata falsità del formulario su rischi, ecc.), ha escluso la responsabilità della banca sull’assunto che “non emerge alcuna opera di convincimento da parte della BCC per il tramite del funzionario che da anni si occupava degli investimenti dei R. che in nessun caso possono essere considerati investitori “sprovveduti”, movimentando grandi somme di denaro non solo come imprenditori, ma anche nella vita privata. Correttamente la banca ha quindi suggerito l’acquisto di obbligazioni a più alto rendimento, ritenendo che i clienti (si ricordi che proprio loro avevano richiesto maggiori guadagni) fossero ben in grado non solo di comprendere le conseguenze rischiose di investimenti più redditizi, ma anche di sopportarne eventuali conseguenze negative”.

La Corte territoriale ha del pari rigettato l’appello in relazione alla domanda risarcitoria, proposta a margine della condanna della banca in relazione all’operazione in obbligazioni (OMISSIS), osservando che del lucro cessante, a tale titolo preteso, “manca la quantificazione” e non essendo del tutto “verosimile”, a fronte del fatto che i R. erano alla ricerca di investimenti più redditizi, che essi “avrebbero scelto titoli AAA”, tanto più che a causa del brusco calo dei tassi di interesse non vi era riguardo ad essi “certezza alcuna sul ritorno economico”.

1.3. Per la cassazione di detta sentenza i R. si affidano a cinque motivi di ricorso, ai quali resiste con controricorso la banca intimata. Memorie di entrambe le parti ex art. 380-bis1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso – che occupa le pagine da 40 a 60 del ricorso – i R. lamentano la violazione degli artt. 6 e 21 TUF e degli artt. 26,28,29 e 31 Reg. Consob 11 luglio 1998, n. 11522, nonchè degli artt. 1453 e 1455 c.c. sul presupposto che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la banca non fosse tenuta nella specie all’osservanza degli obblighi di informazione attiva e passiva previsti dalle norme richiamate a carico dell’intermediario in considerazione del fatto che, tenuto conto di tutte le peculiarità del caso concreto, i R. erano in grado da soli di comprendere che investimenti più redditizi avrebbero comportato maggiori rischi: “così facendo, tuttavia, la Corte d’Appello ha negato l’esistenza della norma contenuta nell’art. 28, comma 2, Reg. Consob che detta specifiche circostanze che debbono formare oggetto di altrettante specifiche informazioni ed ha attribuito ad essa un significato che essa non ha, poichè essa non contiene alcuna previsione che permetta di omettere la dazione di tali informazioni presumendo che esse siano già note, nè che possano essere sostituite da una generica presunzione di consapevolezza che maggiori redditività equivalga a maggior rischio”. I R. lamentano inoltre che “il nesso di causalità non avrebbe potuto essere valutato (come pacificamente ha mostrato di fare il giudice del merito) limitatamente al solo inadempimento agli obblighi di informazione passiva di cui al richiamato art. 28, comma 1, lett. b) quanto invece in relazione all’inadempimento degli ancora più rilevanti obblighi di informazione attiva di cui all’art. 28, comma 2, poichè specificatamente relativi alla concreta operazione da compiersi, atteso che l’intermediario è tenuto a previamente fornire all’investitore informazioni sulla natura e sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione”.

2.2. Censure analoghe i R. sviluppano con il secondo motivo di ricorso, deducendo nuovamente la violazione degli artt. 6 e 21 TUF e 26, 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998, allorchè lamentano che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la banca non fosse parimenti tenuta all’osservanza dei predetti obblighi e, tra questi, di quello afferente ai rischi generali degli investimenti in considerazione delle prassi instaurate con i clienti, che contemplavano l’inoltro di ordini telefonici, la mancata restituzione dei documenti relativi alle operazioni effettuate e sin’anco l’esigenza di non contrariare un investitore particolarmente facoltoso: “così statuendo la Corte d’Appello è incorsa ancora una volta in violazione delle norme richiamate in epigrafe perchè a) nega l’esistenza della norma stessa, ritenendo che l’obbligo di fornire il documento sui rischi generali o altri documenti (insomma le informazioni) che illustrassero le operazioni ed il rischio concreto non fossero rilevanti ai fini della decisione; b) attribuisce ad esse un significato che non hanno, allorquando desume da esse una pretesa irrilevanza delle informazioni fornite dalla banca, nessuna di tali norme esonera l’intermediario dell’adempiere agli obblighi informativi nel rapporto con gli investitori al dettaglio”.

3.1. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente, per unitarietà della censura, sono fondati e vanno pertanto accolti.

3.2. Va invero osservato che l’art. 28, comma 2, Reg. Consob 11522/1998 – sotto la cui vigenza hanno avuto luogo le transazioni di che trattasi – nel delineare il complesso delle informazioni attive che l’intermediario è obbligato a rendere note all’investitore – che la terminologia corrente all’epoca definiva non qualificato per distinguerlo da quello qualificato a cui in forza dell’art. 31, comma 1, Reg. Consob 11522/1998 la norma non si applicava – prima di dar corso all’operazione commissionatagli dal cliente, si dà cura di prescrivere “che gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento e di disinvestimento”.

Da ciò la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. I, 28/02/2018, n. 4727; Cass., Cass., Sez. I, 24/04/2018, n. 10111; Cass., Sez. I, 17/04/2020, n. 7905) ha tratto la convinzione – destinata significativamente a rafforzarsi alla stregua della successiva evoluzione del panorama normativo, ove, in più fedele sintonia con le indicazioni di fonte sovranazionale, si è precisato, dapprima, che le informazioni devono consentire al cliente di prendere le decisioni in materia di investimenti “in modo consapevole” (art. 27, comma 2, Reg. Consob 29 ottobre 2007, n. 16190) e, di seguito, “con cognizione di causa” (art. 36, comma 2, Reg. Consob 18 febbraio 2018, n. 20307) – quanto alla latitudine degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, che essi, dovendo offrire un’informazione veritiera in modo da orientare le scelte dell’investitore in modo consapevole, impongono all’intermediario, una volta acquisite le informazioni passive atte a consentire la profilazione del cliente secondo gli indicatori di cui all’art. 28, comma 1, Reg. Consob 11522/1998, di offrire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto non solo in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, ma in relazione alle caratteristiche del prodotto verso cui si indirizza l’investimento. Solo esemplificativamente l’intermediario deve perciò rendere edotto l’investitore del rating, dell’eventuale offering circolar e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato, di eventuali situazioni di grey market e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario, senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli. In breve, gli obblighi d’informazione posti a carico dell’intermediario impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno. Non vi può essere, perciò, un investimento consapevole se non vi sia stata un’informazione adeguata, rivelandosi ininfluente sul piano della stretta cogenza degli obblighi informativi la considerazione dell’elevata propensione al rischio dell’investitore dalla quale desumere che quest’ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità. Sia l’adeguatezza dell’operazione al profilo di rischio del cliente, sia la buona conoscenza del mercato finanziario da parte sua sono infatti circostanze totalmente prive di valore inferenziale quanto al fatto che il cliente stesso, se informato, avrebbe comunque proceduto all’acquisto. Il fatto che un investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie che egli selezioni tra gli investimenti rischiosi quelli a suo giudizio aventi maggiori probabilità di successo, grazie appunto alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli o altrimenti a reperire. Parimenti, la buona conoscenza del mercato finanziario è indizio, semmai, della capacità di distinguere tra investimenti consigliabili e sconsigliabili, sempre che, però, si disponga delle necessarie informazioni sullo specifico prodotto oggetto dell’operazione, che dunque si ha tutto l’interesse a ricevere.

3.3. Il quadro di principio che si delinea in tal modo ha portato ad affermare che l’inosservanza degli obblighi informativi, una volta che sia provata in uno con essi anche il pregiudizio sofferto, sia di regola foriera di responsabilità dell’intermediario nei confronti dell’investitore che lamenti di essere stato danneggiato in conseguenza dell’operazione effettuata. Nell’ottica controfattuale cui ubbidisce l’accertamento del nesso di causalità si impone secondo una sequenza causale che si conforma all’id quod plerumque accidit la considerazione che l’investitore avrebbe scelto senz’altro un investimento meno rischioso di quello che è stato per lui fonte di danno se fosse stato adeguatamente informato. In questa impostazione il nesso di causalità, in guisa del quale il danno patito dall’investitore è senz’altro posto a carico della condotta omissiva dell’intermediario – senza che ciò, tuttavia, valga a mutare la responsabile di quest’ultimo in responsabilità oggettiva, stante la salvezza in suo favore prevista dall’art. 23, comma 6 TUF – pur se in conformità allo schema caratteristico della responsabilità negoziale dell’art. 1218 c.c. è onere del danneggiato provare, si rivela frutto di una presunzione legale iuris tantum, giustificata in considerazione della funzione sistematica che nel disegno normativo gli obblighi informativi a carico dell’intermediario e, segnatamente il loro adempimento incarnano al fine di riequilibrare le asimettrie informative correnti tra le parti in modo da orientare consapevolmente le scelte finanziarie dell’investitore (Cass., Sez. I, 17/04/2020, n. 7905).

3.4. Ora, volendo tirare le fila di questo discorso con riguardo al caso che ne occupa, vien fatto di osservare che la sentenza oggetto di ricorso si mostra doppiamente manchevole.

Lo è innanzitutto sotto il profilo della lamentata violazione degli obblighi informativi, posto che, pur avendo incentrato il discorso decisorio sul profilo della carente dimostrazione del nesso di causalità, nondimeno era compito del decidente sottoporre a verifica anche il doveroso adempimento degli obblighi informativi cui l’intermediario era tenuto nel dar seguito alle operazioni ordinate dai R., non potendo egli farsi scudo, per giustificarne l’esenzione, dell’esperienza finanziaria del cliente e dell’elevata propensione al rischio da questo mostrata in precedenti occasioni, perchè, si è detto, non vi può essere investimento consapevole se l’intermediario non assolva previamente il dovere informativo gravante su di sè.

Lo è inoltre sotto il profilo della negata ricorrenza nella specie del nesso di causalità, giustificata dal decidente, si è visto, sul presupposto che, non potendo i R. reputarsi degli investitori sprovveduti in ragione degli assets patrimoniali movimentati, essi fossero per questo perfettamente in grado non solo di comprendere le conseguenze rischiose di investimenti più redditizi ma anche di sopportarne eventuali conseguenze negative. Se, invero, come si crede, l’accertamento del nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi informativi e pregiudizio derivatone al cliente è frutto di una presunzione iuris tantum, la prova contraria in grado di sovvertirla che certo non può, per le ragioni già spiegate, inferirsi dall’attitudine dell’investitore ad impegnarsi in operazione speculative e ad alto tasso di rischiosità o da un atteggiamento di supina accondiscendenza verso un cliente facoltoso o, peggio, ancora dal compimenti di veri e propri atti illeciti – deve intanto tenere presente le finalità più generalmente perseguite dalla legislazione di presidio, onde nel darle ingresso, segnatamente quando sia la risultante di un ragionamento critico, occorre considerare che gli obblighi informativi sono preordinate a salvaguardare non solo i diritti del singolo, ma la trasparenza, l’efficienza e la sicurezza, l’integrità dei mercati nel loro complesso. Quando la prova attinga partitamente questo livello, occorre poi avere a mente i canoni che presiedono al ragionamento inferenziale secondo il modello enunciato dagli artt. 2727 c.c. e segg., di guisa che la presunzione altrimenti operante sul piano causale possa essere vinta da una prova contraria ricavata anche indiziariamente solo se il quadro circostanziale a tal fine rappresentato soddisfi i criteri della gravità, della precisione e della concordanza. Non ultimo va ricordato che è proprio della logica controfattuale, cui ubbidisce l’accertamento del nesso di causalità in caso di responsabilità omissiva, dare al relativo giudizio un’impostazione rispettosa delle peculiarità del caso concreto, di modo che a fronte della sua chiamata in responsabilità per violazione degli obblighi informativi è onere dell’intermediario – che voglia sovvertire gli effetti a proprio danno della presunzione in punto di nesso causale – provare che l’investitore, pur se debitamente informato, avrebbe comunque posto in essere l’attività rivelatasi pregiudizievole.

3.5. La sentenza impugnata non si allinea, nè sotto l’uno nè sotto l’altro profilo, allo stato attuale dell’arte e va per questo debitamente cassata.

4.1. Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso i R. imputano alla decisione impugnata, rispettivamente, un vizio di omessa pronuncia e un vizio di motivazione omessa, poichè la Corte d’Appello, pur investita della domanda intesa a conseguire la risoluzione dei contratti aventi ad oggetto l’acquisto delle obbligazioni (OMISSIS) per il conflitto di interessi in cui ne era avvenuta la negoziazione da parte dell’intermediario, da un lato avrebbe omesso di statuire sulla relativa domanda, dall’altro, ove la domanda fosse stata ritenuta inaccoglibile per insussistenza della denunciata condizione, avrebbe omesso di fornire al riguardo qualsiasi motivazione.

Entrambi i motivi, esaminabili congiuntamente per unitarietà della censura, sono inammissibili.

4.2. Ancorchè alla stregua degli insegnamenti di questa Corte in materia (Cass., Sez. IV, 4/07/2014, n. 15367) possa ritenersi che la spiegata doglianza soddisfi il precetto dell’autosufficienza, posto che nell’esposizione del motivo ne sono riprodotti i termini essenziali mediante testuale trascrizione dei relativi passaggi della memoria di replica di primo grado e della comparsa conclusionale d’appello, si impone tuttavia di osservare che, ove la domanda ora pretesamente non statuita abbia formato oggetto di declinazione in primo grado, essa era coperta da giudicato non potendo considerarsi tempestiva la sua impugnazione a mezzo della comparsa conclusionale d’appello e quindi rettamente la Corte d’Appello ne avrebbe ricusato la cognizione; ove, al contrario, la domanda sia stata proposta solo in quest’ultimo grado, altrettanto rettamente la Corte ne avrebbe ricusato la congnizione stante il divieto dei nova in appello.

Il che rende nell’uno e nell’altro caso i detti motivi incontrovertibilmente inammissibili.

5.1. Con il quinto motivo di ricorso oggetto di doglianza è la determinazione assunta dalla Corte d’Appello, quanto all’operazione avente ad oggetto le obbligazioni (OMISSIS), in punto di lucro cessante, avendone questa negato il ristoro malgrado si fosse provveduto ad una quantificazione di esso in modo specifico e ne fosse possibile la valutazione in via equitativa.

5.2. Il motivo è affetto da pregiudiziale inammissibilità non investendo esso tutte le rationes decidendi che sorreggono la decisione sul punto.

La Corte d’Appello, nel dare conto dei motivi di rigetto, ha non solo rilevato la mancata quantificazione del lucro cessante il cui ristoro era stato reclamato dagli appellanti, ma, onde rafforzare il suo convincimento, ha fatto pure notare che, l’assunto sviluppato dai R. a conforto della pretesa, intenzionati se non avessero investito nei titoli (OMISSIS) ad investire in titoli AAA, “non è del tutto verosimile proprio a causa della diversa tendenza iniziata nel corso del 2000, volta per l’appunto a preferire investimenti più redditizi, sebbene più rischiosi”; ed inoltre che “visti gli esiti della pesante crisi finanziaria ed il brusco calo dei tassi di interesse (anche nell’ambito dei titoli di Stato), non vi è certezza alcuna sul ritorno economico di tali ipotetici titoli tripla A”.

In tal modo l’impugnato deliberato di rigetto si correda di ulteriori ragioni di decisione che non essendo state oggetto di impugnazione – e l’impugnazione, quando mai esperita, non avrebbe potuto trovare alcun seguito in questa sede impingendo in una valutazione di merito – sono autonomamente in grado di sorreggere ex se l’esito del giudizio, di modo che i ricorrenti non hanno interesse a veder scrutinata la doglianza in rassegna, atteso che, anche nel caso in cui essa si rivelasse fondata, ciò non inficerebbe la decisione, essendosi formato il giudicato per difetto di impugnazione riguardo alle altre statuizione che la sorreggono.

7. All’esito vanno dunque accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso infondati o inammissibili risultando i restanti.

8. La causa, cassata perciò la decisione nei limiti del motivo accolto, va rimessa al giudice a quo per un nuovo giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i restanti motivi di ricorso, cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Milano che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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