Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8990 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 31/03/2021), n.8990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12021-2020 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato GIANLUCA VITALE;

– ricorrente –

Contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE di CASSAZIONE;

– intimato –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1344/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 31/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI

FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.K. ricorre per cassazione con due motivi contro la sentenza della corte d’appello di Torino che ne ha respinto il gravame in tema di protezione internazionale;

il Ministero dell’Interno ha depositato un semplice atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nella parte in cui è stata disattesa l’istanza di nuova audizione finalizzata a spiegare le circostanze emerse nel giudizio di primo grado, e ivi ritenute non credibili; col secondo motivo denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e del t.u. imm., artt. 5 e 19, oltre che il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della protezione umanitaria;

II. – il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, è nella prospettiva della protezione umanitaria manifestamente fondato;

III. – occorre premettere che il richiedente aveva incentrato il proprio racconto sulla fuga dal Senegal per sottrarsi a vessazioni da parte di parenti, i quali, profittando della morte del padre, avevano avanzato pretese illegittime sui terreni di famiglia;

la corte d’appello ha ritenuto non credibile tale racconto poichè generico e confuso, e ha motivato il diniego di rinnovo dell’audizione osservando che non erano state censurate le modalità con le quali questa si era svolta dinanzi alla commissione territoriale, nè erano stati indicati elementi rilevanti in vista di un possibile approfondimento;

codesta motivazione, per quanto associata alla incontroversa non obbligatorietà dell’audizione e alla necessità di rendere specifica la relativa istanza al fine di ottenerne un vaglio dettagliato (cfr. di recente Cass. n. 25312-20), può considerarsi congruente solo in rapporto alla domanda di protezione sussidiaria;

non lo è invece ove parametrata a quella di protezione umanitaria, poichè in tal caso risulta dalla stessa sentenza che il ricorrente aveva criticato la decisione di primo grado per l’omessa considerazione di una ben precisa situazione di vulnerabilità, discendente da una patologia da grave stress traumatico consolidatasi a seguito delle sevizie subite durante la detenzione (per oltre due anni) nelle carceri libiche, in condizioni inumane;

IV. – ora va detto che una simile situazione è (in astratto) sicuro indice di vulnerabilità, e come tale avrebbe dovuto essere adeguatamente vagliata dalla corte territoriale nell’ambito del giudizio che le si richiedeva;

in particolare avrebbe dovuto esserlo per la ragione che non può razionalmente escludersi il rilievo preminente della gravità di una condizione soggettiva siffatta sol perchè si sia determinata durante la permanenza in un paese di transito (cfr. Cass. n. 1104-20);

V. – un vaglio in tal senso è mancato, nel caso di specie, avendo l’impugnata sentenza liquidato ogni questione in punto di protezione umanitaria con la semplice affermazione che la garanzia del diritto alla salute dello straniero (che era stata associata anche a una patologia oculistica) impedisce l’espulsione solo di chi possa subire da questa un danno irreparabile;

l’affermazione, nella sua asciuttezza, è tuttavia generica e rimane astratta dal contesto dell’allegazione; cosicchè è infine inidonea a esprimere la ratio decidendi;

a tal proposito deve osservarsi che è ben vero che la sentenza ha stabilito che la patologia oculistica non supponeva interventi indifferibili e urgenti, nè era connotata da necessità di cure mediche di tale natura; nondimeno è anche vero che solo da ciò la corte territoriale ha desunto che gli sforzi di integrazione compiuti dal richiedente e i risultati raggiunti, seppur ritenuti “senz’altro apprezzabili”, non potessero determinare la protezione in difetto di una condizione di vulnerabilità soggettiva;

dal ricorso per cassazione si evince invece che il richiedente aveva prospettato di essere vulnerabile per una ragione specifica parzialmente diversa, corredata da una relazione psicologica;

questa relazione aveva diagnosticato – si dice nel ricorso un disturbo post traumatico da stress gravissimo, resistente alla terapia, complicato da stato depressivo e da ansia libera e somatizzata; il che era stato dedotto come complementare a riscontrati esiti di tagli da lama di coltello e ustioni da ferro rovente, oltre che da minori bruciature di sigaretta, ed era stato allegato a supporto di sevizie subite durante una lunga detenzione in Libia;

ne consegue che lo stato di vulnerabilità era stato allegato in termini più complessi di quanto ritenuto dal giudice a quo; ed esso avrebbe dovuto essere valutato in rapporto a codeste deduzioni, di cui invece non v’è traccia in sentenza;

VI. – il ricorso offre l’occasione per affermare che il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto dal migrante nel Paese di accoglienza e la situazione oggettiva del Paese di origine (di cui a Cass. Sez. U n. 29549-19) si pone (giuridicamente) in termini necessariamente attenuati, quando non recessivi, di fronte a eventi in grado di incidere, per il forte grado di traumaticità, sulla condizione di vulnerabilità della persona;

in altre parole, l’assunto delle Sezioni unite, per il quale ai fini della protezione umanitaria occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, ben convive con la constatazione che, a fini comparativi, non è mai irrilevante la circostanza che la persona si trovi in stato di vulnerabilità per cause intrinseche, come sono quelle discendenti da consolidati postumi di esperienze traumatiche vissute in condizioni inumane (v. Cass. n. 13565-20, Cass. n. 13096-19);

e altrettanto è da affermare che ogni giudizio, in tema di protezione umanitaria, deve essere infine contestualizzato in rapporto all’allegazione, poichè l’umanitaria è la forma tutoria che il legislatore ha inteso come atipica e personalizzata per far fronte, giustappunto, a condizioni di vulnerabilità non uniformate nè uniformabili;

VII. – tenuto conto dei detti principi, l’impugnata sentenza è manchevole;

essa, pur dando atto del livello di integrazione ricercato dal ricorrente con risultati definiti “apprezzabili”, ha menzionato come ostativa l’inesistenza del rischio di violazioni di diritti umani in Senegal; sottolineatura che però non è decisiva, in quanto la persona può considerarsi vulnerabile anche per la vicenda vissuta, laddove questa sia incentrata sulla concreta compressione (e sul concreto patimento) di quei diritti e sulle gravi conseguenze traumatiche da ciò discese e consolidatesi;

un tale grado di vulnerabilità, se constato in giudizio, viene anzi normalmente ad aggravarsi in esito allo sradicamento dello straniero dal paese di accoglienza, nel quale la persona si stia integrando e curando; e anche questo va considerato da parte del giudice del merito nel quadro della valutazione comparativa;

VIII. in conclusione, quindi, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza cassata; segue il rinvio alla medesima corte d’appello, la quale, in diversa composizione, rinnoverà l’esame uniformandosi ai principi esposti; essa provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione alla corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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