Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8987 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. III, 19/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 19/04/2011), n.8987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13228-2006 proposto da:

V.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA P. MASCAGNI 7, presso lo studio dell’avvocato FERRI

FERDINANDO, rappresentato e difeso dall’avvocato CAROSI MICHELANGELO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.M., ZURIGO ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 59/2005 DEL TRIBUNALE di ANCONA SEDE

DISTACCATA DI SENIGALLIA, emessa il 5/5/2005, depositata il

05/05/2005, R.G.N. 11019/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato MICHELANGELO CAROSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Il ricorrente impugna la sentenza del Tribunale di Ancona, depositata il 5 maggio 2005, la quale sui punti che qui rilevano: a. ha confermato il rigetto della domanda di danno patrimoniale da mancato guadagno; b. ha respinto la domanda di rivalutazione delle somme riconosciute in quanto espresse in valori attuali; c. ha ritenuto non documentate le spese di “trasferta”.

Il ricorrente propone due motivi di ricorso; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c., per avere il giudice di appello escluso, a favore dell’assicurato alcune voci di danno subite e documentate di seguito specificate.

a. mancato guadagno per forzata sospensione e riduzione dell’attività lavorativa. Sul punto, la Corte territoriale, tenuto conto della minima portata invalidante delle lesioni, ha ritenuto non dimostrate la concreta incidenza delle stesse sulla capacità di lavoro, nè le specifiche occasioni di lavoro perdute; ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni dei redditi, sia perchè provenienti dalla parte, sia perchè non attestanti che il minor reddito avesse trovato causa nel sinistro e generica la prova testimoniale articolata; nè a detto onere probatorio avrebbe potuto assolversi invocando la L. n. 39 del 1977, art. 4 che si limita ad indicare criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa che incombe ad danneggiato e che, nel caso di micro permanenti, non può essere data in via presuntiva. Non sussiste la dedotta violazione di norme di diritto. Il ricorrente si limita a riproporre le proprie doglianze, logicamente e correttamente disattese dalla Corte territoriale, con decisione conforme al consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui i postumi permanenti di modesta entità (cd. micropermanenti) non si traducono, di regola, in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica, restando ovviamente ferma la possibilità per il danneggiato di dimostrare che il danno, sia pur lieve, ha una concreta incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico (Cass. n. 20317/05; 15418/04; 3434/02). Invero, i postumi di invalidità personale di piccola entità (cd. micropermamente), non incidendo sulla capacità di produrre reddito, non hanno rilevanza sul danno di natura patrimoniale, ma, riguardando la menomazione del bene salute, possono essere valutati soltanto sotto l’aspetto del danno biologico (Cass. n. 23293/2004), salva prova contraria, di cui è onerato il danneggiato, fondata su specifiche circostanze, che essi abbiano prodotto conseguenze anche sulla capacità lavorativa specifica e, quindi, anche un danno patrimoniale: danno che, quindi, non può essere allegato con argomentazioni apodittiche e astratte e, come tali, inammissibili (Cass. n. 13431/10; 3428/2003), quale, nella specie, la semplice invocazione del ricorso alla liquidazione presuntiva o il ricorso alla L. n. 39/77, art. 4, essendo quest’ultima una norma che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato e che può essere data anche in via presuntiva (Cass. n. 120/06), ma solo con riferimento ai postumi incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, dato che l’invalidità micropermanente è, come si è detto, una componente del danno biologico (Cass. n. 13409/01; 1764/98).

b. mancato rimborso di spese ed interessi bancari passivi dal 6.8 al 31.12.2001. La censura, proposta anch’essa sotto il profilo della violazione di legge, non è suscettibile d’esame, non cogliendo la ratio decidendi emergente sul punto dalla sentenza impugnata: la relativa domanda è stata dichiarata inammissibile dalla Corte territoriale perchè formulata per 1 prima volta dal danneggiato nella conclusionale di primo grado. Questa ragione non è stata impugnata nel presente ricorso.

c. mancata corresponsione spese vive per sottoporsi alla C.T.U.. La generica invocazione del fatto notorio non appare valida motivazione per censurare, peraltro per violazione di legge, la statuizione di rigetto di detto capo dell’istanza per mancata documentazione di tali spese.

d. mancato riconoscimento di interessi compensativi al tasso legale dal sinistro all’ottenimento dell’acconto. Questa censura è formulata in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo la parte precisato in ricorso se ed in quali termini precisi sia stata formulata nelle fasi di merito. Invero, dalla sentenza impugnata risulta essere stata respinta una diversa richiesta del ricorrente, di riconoscimento di interessi legali sulla somma rivalutata con decorrenza dal fatto illecito (correttamente respinta dalla Corte territoriale sulla base dell’orientamento di cui a Cass. S.U. n. 1712/95, precisato da Cass. n. 6662/97, secondo cui “al danneggiato da fatto illecito extracontrattuale spetta un risarcimento per equivalente pecuniario, da rapportare al momento della liquidazione; se poi egli dimostra di aver subito un ulteriore pregiudizio per non aver ricevuto tale risarcimento fin dal momento in cui gli spettava, ossia dal fatto illecito, per il corrispondente periodo di ritardo gli spetta una somma a titolo di interessi cosiddetti compensativi, da stabilire in base ai criteri indicati dall’art. 2056 c.c., e che perciò non coincide con l’ammontare degli interessi legali sul capitale rivalutato, con decorrenza dal fatto illecito, perchè gli interessi legali moratori (art. 1224 c.c.) costituiscono una sanzione per il ritardo nel pagamento di un’obbligazione originariamente pecuniaria”, ribadito costantemente:

Cass. n. 4791/07).

Privo di pregio si rivela anche il motivo relativo alla determinazione delle spese del doppio grado: la questione della liquidazione operata dal primo giudice non è stata prospettata sotto il profilo dell’error in procedendo, come avrebbe dovuto essere, posto che di essa non vi è menzione nella sentenza impugnata e questa Corte non è in grado di conoscere se la stessa sia stata (e come) prospettata anche in appello; quella delle spese di secondo grado è stata motivatamente decisa dalla Corte con il riferimento alla reciproca soccombenza.

Ne deriva il rigetto dei ricorsi. Nulla per le spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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