Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8985 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 15/05/2020), n.8985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6658-2018 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ISOLE DEL

CAPO VERDE 26, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO DI BENEDETTO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA già MILANO ASSICURAZIONI SPA,

G.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 16935/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 12/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V.A. nel 2007 convenne dinanzi al Giudice di pace di Roma G.V. e la società Milano Assicurazioni s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in UnipolSai s.p.a., e come tale sarà d’ora innanzi indicata), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale avvenuto il 19 dicembre 2005, ed ascritto a responsabilità del convenuto.

2. Con sentenza 7 maggio 2013 il Giudice di pace accolse la domanda e condannò i convenuti al pagamento in favore dell’attrice di 4.172,21 Euro, oltre spese di lite e di c.t.u..

3. La sentenza venne appellata da V.A., la quale si dolse di una sottostima del quantum debeatur.

Il Tribunale di Roma con sentenza 12 settembre 2017 n. 16935 rigettò il gravame.

Per quanto in questa sede rileva, il Tribunale ritenne che:

-) correttamente il giudice di pace avesse detratto, dal credito risarcitorio per danno biologico, gli importi pagati alla vittima dall’Inail, ed erogati a titolo di indennizzo della medesima voce di danno;

-) non era dovuto il risarcimento per spese mediche, in quanto queste ultime non erano mai state provate;

-) correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto di compensare le spese di lite per un terzo, sul presupposto che la società assicuratrice aveva già adempiuto parte della propria obbligazione ante causam.

4. Ricorre per cassazione avverso tale sentenza V.A. con ricorso fondato su un solo motivo ed illustrato da memoria.

Le parti intimate non si sono difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso V.A. lamenta la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13.

Sostiene che erroneamente il giudice di merito ha omesso di liquidare il danno morale da essa sofferto.

Deduce di avere formulato sin dal primo grado la richiesta di tale voce di danno; che il Giudice di pace non provvide in merito ad essa; che aveva proposto appello su questo punto; che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto corretto l’operato del primo giudice, il quale determinò il risarcimento sottraendo dal credito risarcitorio per danno biologico l’importo pagato alla vittima dall’Inail, ma senza tener conto di quanto dovuto a titolo di danno morale; che quest’ultimo pregiudizio ha natura autonoma e distinta rispetto al danno biologico, e che pertanto il Tribunale non poteva trascurare tale voce di danno nella complessiva determinazione del risarcimento.

2. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo esso è inammissibile perchè la sua prolissa esposizione non consente di stabilire con certezza se, attraverso esso, la ricorrente abbia inteso dolersi di una omessa pronuncia sul motivo di appello concernente la mancata liquidazione del danno morale (e quindi d’una violazione dell’art. 112 c.p.c.); oppure abbia inteso dolersi tout court del rigetto della relativa domanda (e quindi d’una violazione dell’art. 2059 c.c.).

E già tale ambiguità. impedisce di esaminare il motivo nel merito, dal momento che l’esatta individuazione delle ragioni per le quali si assume che il giudice di merito abbia violato la legge non può essere lasciata all’intuizione della Corte di cassazione, ma quelle ragioni devono essere esposte in modo “chiaro, intelligibile ed esauriente” (così Sez. 1 -, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016, Rv. 642805 – 02; nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 2 -, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018, Rv. 651379 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

2.1. In ogni caso, se col ricorso oggi in esame la ricorrente avesse inteso dolersi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, d’un error in procedendo consistito nell’omessa pronuncia su un motivo d’appello, esso sarebbe infondato.

Col primo motivo del proprio appello, infatti, V.A. aveva lamentato una “erronea determinazione del danno differenziale”, e su tale questione il giudice d’appello ha espressamente provveduto, alla p. 2 della sentenza qui impugnata.

Se, poi, nel provvedere alla stima del danno differenziale, il giudice di merito dovesse avere trascurato di prendere in esame una o più voci di danno, questo errore non costituirebbe una “omessa pronuncia”, ma un error in indicando.

2.2. Parimenti inammissibile dovrebbe reputarsi il ricorso, se lo si interpretasse nel senso che con esso la ricorrente abbia inteso dolersi d’una violazione di legge, consistita nella sottostima del danno non patrimoniale.

La ricorrente sembra muovere dal presupposto che, avendo sofferto un danno alla salute, le sarebbe dovuto per ciò solo, oltre il risarcimento del danno biologico, anche il risarcimento d’un pregiudizio ulteriore, consistito nella sofferenza interiore e definito morale.

Ne trae la conseguenza che, avendo ella dedotto in giudizio l’esistenza di lesioni personali, non avrebbe potuto il giudice di merito negarle il ristoro di questo pregiudizio ulteriore.

2.3. L’attrice è nel vero quando assume che la liquidazione del danno biologico può non esaurire il ristoro del danno non patrimoniale complessivamente provocato da una lesione della salute, e che ad esso possa affiancarsi la necessità di risarcire un ulteriore pregiudizio “morale”.

Erra, però, quando mostra di ritenere che il secondo sia un corollario indefettibile del primo.

Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che:

(a) in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione);

(b) questa seconda voce di danno, tuttavia, può essere liquidata solo se sia stata “correttamente dedotta ed adeguatamente provata” l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale (così, testualmente, Sez. 3 -, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018, Rv. 648303 – 01; nello stesso senso, ex multis e da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 32125 del 10.12.2019).

2.4. Da questa ricostruzione sostanziale discende, sul piano processuale, che colui il quale intenda dolersi, in sede di legittimità, dell’erroneo rigetto della sua domanda di integrale risarcimento del danno non patrimoniale scaturito da una lesione della salute, non può limitarsi a dedurre di avere chiesto “il (danno) biologico ed il morale”, e di essersi visto ingiustamente accordare solo il primo.

Ha invece l’onere, impostogli dall’art. 366 c.p.c., n. 3, di indicare quale concreto pregiudizio non patrimoniale, non avente fondamento medico-legale, aveva dedotto in primo grado, ed in quale modo aveva inteso provarlo.

Ha, altresì, l’onere, impostogli dall’art. 366 c.p.c., n. 6, di indicare da quale atto processuale risultasse la deduzione e la prova del suddetto pregiudizio.

In mancanza di tali allegazioni, nessuna violazione dell’art. 2059 c.c. potrebbe nemmeno concepirsi, prima ancora che esaminarsi, dal momento che mai potrebbe dirsi erronea in diritto una sentenza che non liquidi un danno il quale non sia stato nè correttamente dedotto, nè correttamente provato.

2.5. Nel caso di specie, però, l’odierna ricorrente in nessun punto del proprio ricorso indica quali sarebbero stati i pregiudizi concreti, non aventi fondamento medico-legale, dedotti nel giudizio di primo grado, e non risarciti dal giudice di merito.

Anzi, dalla p. 2 del ricorso si apprende che, in primo grado, l’attrice si era limitata domandare “il risarcimento di tutti i danni fisici (..), che si quantificano Euro 9.332,50 per I.P., in Euro 2.409,60 per I.T.A., in Euro 1.004 per I.T.P., Euro 3.806,21 per danno morale (..)”.

Una deduzione, dunque, totalmente generica e ben lungi dal canone della “corretta deduzione ed adeguata prova” richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte poc’anzi ricordata.

2.6. I rilievi che precedono non vengono superati dalle deduzioni svolte dalla ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Ivi la ricorrente deduce – in estrema sintesi – che, avendo ella patito in conseguenza del sinistro stradale del 19.12.2005 lesioni di non lieve entità, “era più che verosimile” presumere che da quelle lesioni fossero derivati paura, tristezza, sofferenza interiore.

Si tratta d’una deduzione teoricamente corretta, in quanto la prova regina in tema di danno non patrimoniale non può che essere la presunzione semplice. Tale deduzione, però, non è pertinente rispetto al problema qui in esame, cioè l’ammissibilità del ricorso.

In questa sede, infatti, non mette conto stabilire se il danno non patrimoniale fosse stato nel giudizio di merito adeguatamente provato; è invece rilevante stabilire se nel giudizio di merito quel danno fosse stato correttamente dedotto, ed a tal fine sarebbe stato onere della ricorrente, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, riferire non quali prove avesse offerto, ma quali pregiudizi concreti avesse dedotto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

3. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di V.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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