Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8984 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 15/05/2020), n.8984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6589-2018 proposto da:

CONDOMINIO VIA (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 24, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO MIGLIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO GALLO;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAOLO

PANNINI 19, presso lo studio dell’avvocato MARIO DI LUZIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO DEL PRINCIPE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONDOMINIO VIA (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 24, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO MIGLIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO GALLO;

– controricorrente al ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 23480/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 15/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2014 S.F. convenne dinanzi al Giudice di pace di Roma il condominio del fabbricato sito a (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti per la durata di anni otto, a causa della presenza di muffe ed umidità nel proprio appartamento, ricompreso nel fabbricato condominiale (evidentemente sul presupposto, inespresso nel ricorso, che i suddetti fenomeni fossero da ascrivere a un difetto di manutenzione imputabile al condominio).

2. Con sentenza 31 marzo 2016 il Giudice di pace accolse la domanda. La sentenza venne appellata dal condominio.

3. Il Tribunale di Roma con sentenza 15 dicembre 2017, n. 23480 accolse il gravame e rigettò la domanda risarcitoria proposta da S.F., condannando quest’ultima alle spese del doppio grado.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione in via principale dal condominio, con ricorso fondato su un solo motivo; ed in via incidentale da S.F., con ricorso fondato su due motivi. Il condominio ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va esaminato per primo, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., comma 2, il ricorso incidentale.

2. Col primo motivo di ricorso incidentale S.F. lamenta la violazione dell’art. 113 c.p.c..

Sostiene che il Tribunale di Roma ha esaminato nel merito, ed accolto, l’appello proposto dal condominio, invece di dichiararlo inammissibile. Quell’appello, sostiene la ricorrente, si sarebbe dovuto dichiarare inammissibile, perchè proposto avverso una sentenza pronunciata in una causa di valore inferiore ad Euro 1.100.

2.1. Il motivo è infondato.

Secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente incidentale, in primo grado essa non quantificò la propria pretesa, limitandosi a domandare la condanna del condominio al risarcimento del danno “da valutarsi in via equitativa e comunque entro i limiti della competenza per valore del giudice”. Deve quindi trovare applicazione nel caso di specie il principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c., e senza tenere conto del valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato.

Pertanto, ove l’attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a 1.100 Euro, accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente “maggior somma che sarà ritenuta di giustizia” od altra equivalente, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c. – di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude è appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 c.p.c. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3290 del 12/02/2018, Rv. 647509 01; nello stesso senso Sez. 3, Sentenza n. 9432 del 11/06/2012, Rv. 622846 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 9138 del 17/04/2007, Rv. 596643 01; Sez. 3, Sentenza n. 15698 del 11/07/2006, Rv. 591242 – 01).

2.2. I principi appena ricordati non appaiono infirmati da quanto dedotto dalla ricorrente incidentale alle pagine 5-6 del proprio ricorso, sostenendo che la sentenza di primo grado era inappellabile perchè il decisum aveva ad oggetto una somma inferiore a 1.000 Euro.

La tesi è infondata, dal momento che ai fini di cui all’art. 339 c.p.c., come già detto, per stabilire se il giudice di pace abbia deciso secondo equità occorre avere riguardo al modo in cui venne formulata la domanda, e non certo al quantum della decisione di primo grado.

3. Col secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione dell’art. 1226 c.c..

Al di là di tale riferimento normativo, oggettivamente non pertinente, nell’illustrazione del motivo si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

Deduce la ricorrente che le infiltrazioni d’acqua e l’umidità dell’appartamento costrinsero lei ed i suoi familiari a reiterati interventi di manutenzione; che ciascuno di questi interventi li obbligava a lasciare l’appartamento durante il tempo occorrente per i lavori; che comunque le infiltrazioni di acqua erano state nocive per la sua salute e che tale circostanza sarebbe “talmente notoria da non richiedere alcuna prova al riguardo”.

3.1. Il motivo è infondato.

Con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado, per come qualificata dal tribunale, l’attrice chiese la condanna del condominio al risarcimento del danno “per la compromissione o limitazione del bene della

– salute per aver vissuto per diversi anni in ambienti resi insalubri dalle infiltrazioni” (così la sentenza impugnata, pagina 2, tredicesimo rigo).

Dopo aver così qualificato la domanda attorea, il Tribunale ha ritenuto “non risultare prove documentali” della compromissione del bene della salute o sull’insorgenza di patologie o sull’aggravarsi di queste ultime, che fossero “in nesso di consequenzialità rispetto alle infiltrazioni”.

Così ricostruito il contenuto oggettivo della sentenza impugnata, ne discende che il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui sostiene che il tribunale avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale consistito nel “disagio” causato dall’infiltrazione, è inammissibile perchè estraneo alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata. Il Tribunale, infatti, ha ritenuto che una domanda di risarcimento del danno “da disagio” non fu mai formulata dalla odierna ricorrente. Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa rappresenta una autonoma ratio decidendi, idonea a sorreggere la sentenza, e che pertanto doveva essere impugnata con un motivo di ricorso ad hoc, e non lo è stata.

Nella parte, poi, in cui il motivo in esame lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno alla salute, esso è inammissibile perchè investe il modo in cui il giudice di merito ha valutato le prove e ricostruito i fatti.

Ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

4. Con l’unico motivo il ricorrente principale sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di omessa pronuncia.

Lamenta che il Tribunale non ha provveduto sulla domanda, proposta dal condominio, di condanna di S.F. alla restituzione della somma versatale dal condominio in esecuzione della sentenza di primo grado.

4.1. Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già ripetutamente affermato il principio secondo cui la mancata statuizione, nel dispositivo della sentenza, in ordine ad un determinato capo della domanda configura il vizio di omessa pronuncia riguardo a quel capo, denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non potendo la esistenza della relativa decisione desumersi da affermazioni contenute nella sola motivazione (Sez. 3 -, Sentenza n. 9263 del 11/04/2017, Rv. 643847 – 01).

Nel caso di specie, il Condominio aveva domandato in appello la restituzione della somma pagata a S.F. in esecuzione della sentenza di primo grado (circostanza inoltre non contestata dalla odierna controricorrente), e nondimeno il Tribunale ha omesso di provvedere sulla relativa domanda.

4.2. L’accoglimento del ricorso principale non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, condannando S.F. a restituire al condominio la somma (non 1.975,68.

Non è luogo a provvedere sugli interessi pagamento alla data della presente ordinanza, dal momento che la domanda di interessi non è stata formulata nella presente sede, nè, trattandosi di obbligazione di valuta, essi possono essere attribuiti d’ufficio.

Spetteranno ovviamente al condominio ope legis, ex art. 1282 c.c., gli interessi legali sulla suddetta somma dalla dat di deposito della presente ordinanza.

5. Per quanto attiene alle spese processuali concernenti i due gradi di merito (le quali vanno regolate in questa sede per effetto dell’avvenuta decisione nel merito della controversia), per esse va qui confermata la liquidazione compiuta dal tribunale, tanto per il primo che per il secondo grado di giudizio.

Tuttavia non è luogo a pronunciare condanna in merito ad esse, avendo S.F. dichiarato (p. 3 del controricorso), con affermazione non contrastata dal Condominio, di avere già versato i relativi importi.

5.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico di S.F. ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso incidentale costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso incidentale;

(-) accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna S.F. al pagamento, in favore del Condominio di via (OMISSIS), della somma di Euro 1.975,68, oltre interessi legali dalla data della presente ordinanza;

(-) dichiara non luogo a provvedere in merito alle spese processuali dei due gradi di merito, per essere già state corrisposte dalla parte soccombente;

(-) condanna S.F. alla rifusione in favore di Condominio di via (OMISSIS) delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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