Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8981 del 06/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/04/2017, (ud. 02/02/2017, dep.06/04/2017),  n. 8981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3301/2016 proposto da:

OSTUNI COSTRUZIONI S.U.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, P.ZZA APOLLODORO 26, presso lo studio dell’avvocato NURI

VIUNTURELLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1452/6/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di BARI, depositata il 23/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

depositata del 02/02/2017 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO

MANZON.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 27 aprile 2015 la Commissione tributaria regionale della Puglia respingeva l’appello proposto da Ostuni Costruzioni surl avverso la sentenza n. 1776/11/14 della Commissione tributaria provinciale di Bari che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRES ed altro 2009. La CTR osservava in particolare che le riprese fiscali de qibus erano fondate e correlativamente infondati i motivi di gravame sottoposti al suo esame di appello, riscontrandoli puntualmente con riguardo all’inerenza/deducibilità dei costi oggetto delle riprese fiscali medesime (spese di ristorazione, sponsorizzazioni di società sportive, prestazioni di sub-appaltatori) ed alle sanzioni irrogate.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 109, comma 5 T.U.I.R., poichè la CTR ha ritenuto non deducibili le spese per somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti.

La censura è inammissibile.

Va infatti ribadito che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis, da ultimo v. Sez. 5, n. 26110 del 2015); altresì che “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

Il mezzo in esame mira ad elidere tali principi di diritto ed è perciò inammissibile.

Con esso infatti viene messa in discussione la valutazione meritale del giudice di appello sulla quaestio facti della riferibilità dei costi in oggetto all’attività dell’impresa, rilevando appunto in fatto la CTR che nel caso concreto ciò non era predicabile in quanto non provata la presenza in servizio del personale dipendente, ma peraltro più in generale, sempre in punto di fatto, avendo affermato che la società contribuente non aveva assolto l’onere – pacificamente spettantele – di provare l’inerenza alla sua attività imprenditoriale dei costi medesimi.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione dell’art. 108 T.U.I.R. e L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, poichè la CTR ha affermato la non inerenza/indeducibilità delle spese di sponsorizzazione di società sportive dilettantistiche oggetto della ripresa fiscale.

La censura è fondata.

Non è infatti dubbio che la seconda disposizione legislativa evocata abbia sancito una presunzione legale di inerenza/deducibilità delle spese de quibus sino alla concorrenza di Euro 200.000, qualora erogate a associazioni sportive dilettantistiche, “se (a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, (b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, (c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor, (d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.)” (così Sez. 5 n. 5720/2016).

Orbene, risultando nel caso di specie incontestata la ricorrenza di detti presupposti ricavabili dalla disposizione legislativa in esame, sono da ritenersi ultronee le considerazioni fatte sul punto dalla CTR con riguardo alla registrazione e la certezza di data del contratto con la sponsee ASD Libertas Calcio a 5 e la omissione della dichiarazione reddituale annuale da parte dell’altra sponsee Polisportiva Nuova Puglia Sport.

Ugualmente irrilevante deve considerarsi l’ulteriore considerazione del giudice di appello circa la “antieconomicità” della spesa in esame, in ragione della affermata irragionevole sproporzione tra l’entità della stessa rispetto al fatturato/utile di esercizio della società contribuente. In ordine a quest’ultimo profilo deve infatti ribadirsi che quella sancita dalla L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, è una “presunzione assoluta” oltre che della natura di “spesa pubblicitaria”, altresì di inerenza della spesa stessa fino alla soglia, normativamente prefissata, dell’importo di Euro 200.000, trattandosi nel caso di specie di esborsi che sono pacificamente ben al di sotto di tale limite.

Per tali ragioni, accogliendosi il mezzo de giro la sentenza impugnata merita cassazione in relazione allo stesso.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente denuncia vizio motivazionale, poichè la CTR non ha adeguatamente argomentato in ordine alla contestata indeducibilità di costi per operazioni inesistenti.

La censura è inammissibile.

Trattandosi di “doppia conforme” sulle medesime “questioni di fatto” il mezzo non è infatti proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 5 e 4 (cfr. Sez. U. 8053/2014).

Peraltro va notato che, onde evitare la pronuncia di inammissibilità così giuridicamente fondata, la ricorrente nemmeno ha evidenziato che le “questioni di fatto” esaminate dal primo e dal secondo giudice siano diverse (v. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014, Rv. 630359-01).

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 9, comma 1, poichè la CTR ha confermato la legittimità della irrogazione delle sanzioni.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito il principio di diritto che “In tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale – e, dunque, non è punibile ex art. 10 dello Statuto del contribuente – ove essa non comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo” (Sez. 5, Sentenza n. 27211 del 22/12/2014, Rv. 633939-01).

Nel caso di specie la contestazione ha riguardato la contabilizzazione di fatture passive per operazioni inesistenti, sicchè ne risulta evidente la irregolarità sostanziale della contabilità aziendale in parte qua, da cui la piena sussistenza dell’illecito sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 9, comma 1, come correttamente interpretato ed applicato dalla CTR pugliese.

In conclusione, il ricorso deve dunque essere accolto limitatamente al secondo motivo, rigettati il primo, il terzo ed il quarto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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