Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8974 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 15/05/2020), n.8974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27342/2018 R.G. proposto da:

C.A., C.G. e Co.An., rappresentati e difesi

dall’Avv. Tommaso Bancheri e dall’Avv. Tina Chiarelli;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Acquaviva, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ceresio, n. 24;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 4169/2018,

depositata il 18 giugno 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da Co.Gi. (proseguita in appello dagli eredi C.A., C.G. e Co.An.) nei confronti del (OMISSIS), per i danni dal primo subiti in conseguenza del sinistro occorsogli in data (OMISSIS), alle ore 18,30, allorquando, uscendo dalla farmacia comunale sita all’interno di un centro commerciale in (OMISSIS), cadde per la presenza di un gradino, non visto, negli spazi comuni antistanti gli esercizi commerciali, affidati alla gestione del condominio.

Ha infatti ritenuto, anzitutto, non adeguatamente provato il nesso di causalità tra cose in custodia ed evento dannoso, atteso che nessun testimone aveva dichiarato di avere assistito direttamente al momento della caduta e non aveva pertanto offerto informazioni in ordine alle modalità della stessa.

Ha inoltre rilevato che, quanto allo stato dell’illuminazione: non era emerso un quadro concordante; il farmacista che operava all’interno del complesso commerciale aveva dichiarato che sia la movimentazione che l’illuminazione erano, al momento dell’accaduto, in buono stato; non vi erano riscontri fotografici che confermassero l’assunto di parte attrice; la conformazione del centro commerciale (di piccole dimensioni), l’effettiva operatività degli esercizi e la fascia oraria nella quale si era verificato l’episodio non deponevano nel senso che si trattasse di luogo scarsamente illuminato.

Ha infine soggiunto “ad abundantiam” che, anche a ritenere che il luogo fosse scarsamente illuminato, il Core risultava essere cliente abituale della farmacia e pertanto “verosimilmente a conoscenza dello stato dei luoghi e della presenza di percorsi privi di gradini, alternativi a quello utilizzato”.

Ha quindi concluso che, essendo “pacifico che il gradino non fosse nè rotto nè presentasse altre anomalie, l’infortunio non può che essere imputato al comportamento colposo del danneggiato”, per non avere questi “prestato quella particolare attenzione che si richiedeva a colui che si apprestava a camminare in un luogo scarsamente illuminato, circostanza certamente percepibile dal danneggiato che era poco prima entrato nella farmacia”.

2. Avverso tale decisione C.A., C.G. e Co.An. propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste il (OMISSIS)Valmontone(OMISSIS), depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il Condominio controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Lamentano che la Corte d’appello ha omesso di considerare fatti rilevanti per la prova della infondatezza della responsabilità di parte resistente e “l’esistenza del nesso causale nella verificazione dell’evento lesivo”.

Richiamano al riguardo le deposizioni dei testi C.G. (figlio del defunto Co.Gi.), M.M. (farmacista che lavorava nella farmacia presente nel complesso commerciale), P.P. (commesso di una cartolibreria ivi pure situata) e R.F., sostenendo che dalle stesse era desumibile prova dell’esistenza di un nesso causale tra le condizioni dei luoghi e la caduta e della non prevedibilità del pericolo.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto; errata applicazione dell’art. 2051 c.c.”.

Affermano che la caduta si è verificata a causa della scarsa illuminazione, per via di un lampione non funzionante, che non aveva permesso di vedere il gradino pericoloso, la cui presenza non era segnalata, nè era visibile, data l’oscurità e la mancanza di illuminazione, dovuta al mancato funzionamento del lampione.

Dopo ampia illustrazione, corredata da citazioni di giurisprudenza, dei presupposti e della natura della responsabilità per i danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c., (pagg. 6-10) e dopo avere nuovamente trascritto la motivazione della sentenza impugnata (pagg. 10-11), lamentano i ricorrenti che “la Corte d’appello… contravviene alla prevalente posizione della giurisprudenza di legittimità che qualifica l’ipotesi come quella in oggetto… come ipotesi di responsabilità oggettiva”; sostengono che “è chiaro che ci si trovi di fronte ad un caso di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia”, essendo il danneggiato “caduto a causa di un gradino nascosto dall’oscurità a causa di un lampione malfunzionante e in mancanza anche di segnalazione” e che, “di conseguenza, il danneggiato deve dimostrare solo il nesso eziologico che intercorre tra causa ed evento a nulla rilevando l’eventuale colpa o negligenza del danneggiato”.

3. E’ pregiudiziale – in quanto attinente alla procedibilità del ricorso – il rilievo del mancato deposito, da parte dei ricorrenti, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata della notificazione (che si afferma essere stata effettuata a mezzo p.e.c. in data 19/6/2018), in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.

Manca invero qualsiasi documentazione (anche in copia semplice) relativa alla notifica della sentenza.

Copia di tale relazione non è stata nemmeno aliunde acquisita.

La notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza (Cass. 10/07/2013, n. 17066), essendo stata effettuata in data 18/9/2018, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza (18/6/2018), pur considerata la sospensione dei termini per il periodo feriale.

4. Può comunque rilevarsi che, ove il ricorso non fosse stato improcedibile, sarebbe andato incontro a declaratoria di inammissibilità.

Il primo motivo si appalesa infatti inammissibile sotto vari profili.

4.1. Anzitutto per l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti (verbali di prova testimoniale) richiamati: onere, come noto, imposto a pena di inammissibilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

I ricorrenti omettono infatti di trascrivere, se non per brevi stralci, le deposizioni testimoniali richiamate, e mancano comunque di localizzare i relativi verbali all’interno del fascicolo processuale, laddove è, come noto, al riguardo necessario che si provveda alla individuazione degli atti o documenti su cui ricorso si fonda anche con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla loro formazione e produzione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, Con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

4.2. La censura è peraltro formulata secondo la previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, inapplicabile ratione temporis nel caso di specie, per il quale trova applicazione la nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, (“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”) in relazione alla quale/ come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), non è più consentito il sindacato della Corte se non nei casi di anomalia motivazionale talmente grave da risolversi in vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusi quindi i casi di motivazione insufficiente o contraddittoria.

5. Anche il secondo motivo si appalesa inammissibile.

Lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata, si allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, ma piuttosto alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass. 23/10/2018, n. 26770; 26/03/2010, n. 7394; 30/12/2015, n. 26110), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo essi propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

6. Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da nota spese depositata.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara improcedibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.935 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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