Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8972 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. III, 31/03/2021, (ud. 28/09/2020, dep. 31/03/2021), n.8972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33039-2018 proposto da:

REGIONE ABRUZZO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

Q.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIAMBATTISTA RAMUSIO N. 6, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO

TINARI, rappresentato e difeso dagli avvocati EMIDIO GUASTADISEGNI,

LORENZO D’ANGELO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 733/2018 del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata

il 16/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16/8/2018 il Tribunale di L’Aquila ha respinto il gravame interposto dalla Regione Abruzzo in relazione alla sentenza G. di P. Vasto 12/2/2015, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dal sig. Q.M. di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della collisione del proprio autoveicolo Ford Mondeo tg. (OMISSIS) con un cinghiale, avvenuta il (OMISSIS) mentre percorreva la S.S. (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la Regione Abruzzo propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso il Q..

Con conclusioni scritte del 22/9/2020 il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” della L. n. 157 del 1992, artt. 1 e 9 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta redatto in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione ritualmente notificato”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

L’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono pertanto dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Deve sotto altro profilo porsi in rilievo che, a fronte della responsabilità dell’odierna ricorrente nella specie dai giudici di merito ritenuta sussistente ai sensi dell'”art. 2043 c.c., stante l’incompatibilità del regime tracciato dall’art. 2052 c.c. con il carattere selvatico degli animali in questione”, il giudice dell’appello avendo espressamente posto in rilievo che “il fatto storico dello scontro con l’animale risulta provato, così come il nesso eziologico tra l’impatto e i danni presenti all’autoveicolo ed il loro ammontare”, come del pari l'”elemento della colpa, necessario ai fini della configurabilità dell’illecito e dell’imputazione alla Regione delle conseguenze dannose del fatto” (al riguardo argomentando dal rilievo che “l’odierno appellato dedusse in primo grado come nella zona d’interesse, all’epoca dei fatti, si era riscontrato un significativo incremento del numero dei cinghiali e che la strada de quo era stata teatro di numerosi sinistri da essi causati, analoghi a quello oggetto del giudizio. Tali decisive circostanze, indicative di una negligenza dell’Ente nell’espletamento dei propri compiti di controllo, non sono state specificamente contestate in primo grado dall’odierna appellante, sicchè devono ritenersi pacifiche, che “dagli atti non risultano elementi per affermare un concorso di colpa dell’odierno appellato: la stessa sopravvivenza dell’animale all’impatto attesta la moderata andatura del conducente”; che non sono d’altro canto “motivate le doglianze dell’appellante circa l’entità del danno, attestato dalla documentazione in atti”), l’odierna ricorrente incentra invero la propria censura in ordine alla ravvisata sua legittimazione passiva, che ascrive al recente revirement di questa Corte in ordine alla configurabilità della “responsabilità della pubblica amministrazione per i danni da fauna selvatica” in base alla regola posta all’art. 2052 c.c., in deroga al principio generale ex art. 2043 c.c., al riguardo lamentando che, facendo di quest’ultimo applicazione, “con due decisioni proprio riguardanti la Regione Abruzzo” la S.C. ha recentemente imputato invece la responsabilità alla Provincia, “in quanto ente a cui erano stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell’ambito del territorio di sua competenza”.

Si duole dell’erroneità della qualificazione della responsabilità per i danni da fauna selvatica in termini di responsabilità presunta ex art. 2052 c.c. lamentando che “lo stato di libertà della selvaggina” è invero “incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia”, nonchè “mancando… il presupposto fondamentale per l’applicazione della norma, ossia il potere di uso, di controllo e di sorveglianza della selvaggina in capo alla pubblica amministrazione”, oltre che in ragione della gravosità dell'”onere probatorio… richiesto in capo alla Regione in sede di prova liberatoria”, in luogo della “regola di imputazione generale dettata dall’art. 2043 c.c.”, viceversa idonea ad assicurare “il bilanciamento degli interessi tra il privato danneggiato e il soggetto pubblico responsabile, anche sotto il profilo probatorio”.

Orbene, emerge con tutta evidenza come la doglianza dell’odierna ricorrente risulti invero non correlata all’impugnata decisione, fondata – come sopra posto in rilievo – sulla ravvisata responsabilità in concreto, nel caso, dell’odierna ricorrente proprio ai sensi dell'”art. 2043 c.c., stante l’incompatibilità del regime tracciato dall’art. 2052 c.c. con il carattere selvatico degli animali in questione”.

A tale stregua, la detta ratio decidendi dell’impugnata sentenza risulta invero dall’odierna ricorrente quantomeno non idoneamente censurata, con conseguente inammissibilità del ricorso, atteso il consolidato principio in base al quale è sufficiente che anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di idonea censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602, e, conformemente, Cass., 27/12/2016, n. 27015; Cass., Sez. Un., 22/2/2018, n. 4362, nonchè, da ultimo, Cass., 6/6/2020, n. 13880 e Cass., 2/12/2020, n. 27563).

L’inammissibilità del ricorso preclude la relativa disamina nel merito.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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