Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8971 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. III, 19/04/2011, (ud. 24/02/2011, dep. 19/04/2011), n.8971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3011-2009 proposto da:

COMUNE SAN DONA’ DI PIAVE (OMISSIS), in persona del Sindaco,

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI

GABRIELE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIANCHINI ALFREDO giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ANDREETTA GIANCARLO COSTRUZIONI METALLICHE DITTA, in persona del

legale rappresentante sig. A.G., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 30, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO GIZZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DE CASTELLO VALENTINO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 497/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, 3^

Sezione Civile, emessa il 25/02/2008, depositata il 28/03/2008;

R.G.N. 1007/2004; udita la relazione della causa svolta nella

pubblica udienza del 24/02/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI

CARLEO;

udito l’Avvocato PAFUNDI GABRIELE;

udito l’Avvocato GIZZI FABRIZIO (per delega Avvocato DE CASTELLO

VALENTINO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 16 novembre 1993 il Comune di San Donà di Piave appaltava all’impresa edile Bortoluzzi Comm. Pietro S.r.l. la realizzazione di lavori di ampliamento del Museo della Bonifica. Il 17 marzo 1994 la società appaltatrice cedeva alla ditta Andreetta Giancarlo i crediti futuri che sarebbero maturati nei confronti del Comune per i citati lavori fino alla concorrenza di L. 200 milioni. L’atto di cessione veniva notificato al Comune il 5 aprile 1994 ed il Comune provvedeva a pagare al cessionario la somma complessiva di L. 119.082.110 in virtù delle fatture emesse in base agli stati di avanzamento. Il (OMISSIS) la società Bortoluzzi era dichiarata fallita. Con citazione notificata in data 13 settembre 1999 la ditta Andreetta conveniva in giudizio il Comune chiedendo il pagamento dell’ulteriore somma di L. 55.355.301 oltre interessi legali.

In esito al giudizio, in cui si costituiva il Comune deducendo l’insussistenza del credito dedotto, il Tribunale di Venezia rigettava la domanda attrice. Avverso tale decisione proponeva appello la ditta Andreetta ed in esito al giudizio, in cui si costituiva il Comune, la Corte di Appello di Venezia con sentenza depositata in data 28 marzo 2008 accoglieva parzialmente l’impugnazione dichiarando il Comune tenuto a corrispondere all’ A. la somma di Euro 28.588,63 oltre interessi legali.

Avverso la detta sentenza il Comune di San Donà di Piave ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso l’ A.. Entrambe le parti hanno infine depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 del c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima delle doglianze, svolte dal ricorrente, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova, si fonda sulla considerazione che la Corte di merito si sarebbe sbagliata quando ha riformato la sentenza di primo grado “sul presupposto che non sussisterebbe traccia in istruttoria del pagamento del predetto ammontare di 28.588,63 Euro”. Ed invero – così continua il ricorrente Comune – risulta dagli atti di causa come non vi fosse contestazione tra le parti in ordine alla corresponsione della somma, sussistendo il contrasto solo sulla circostanza se di tale importo, corrisposto dal Comune all’impresa Bortoluzzi a titolo di anticipazione contrattuale, si dovesse o meno tener conto nel determinare l’eventuale saldo.

La censura è inammissibile. E ciò, per svariate considerazioni.

In primo luogo, perchè non è assolutamente in relazione con la ratio decidendi della sentenza, fondata sulla completa mancanza di prova riguardo all’effettività della corresponsione della somma, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello precisa a chiare lettere che “in considerazione di detta produzione, emerge, in modo evidente, che esiste ancora spazio per il credito della ditta Andreetta, ammontante a L. 55. 355. 301/E. 28.588,63” (cfr pag. 9).

In secondo luogo, perchè si contrappone alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte territoriale, mirando nella sostanza delle cose ad una rivalutazione del merito della causa, non consentita in sede di legittimità. In terzo luogo, per difetto di autosufficienza, nella misura in cui il ricorrente ha completamente omesso di indicare in ricorso in quale atto processuale il controricorrente A. avrebbe riconosciuto la circostanza dell’avvenuto pagamento dell’importo in questione.

Con la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1248 c.c., il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe altresì errato nel ritenere l’applicabilità, alla compensazione impropria, delle norme di cui all’art. 1241 e ss. c.c. e dell’art. 1248 in particolare.

La doglianza è infondata. La compensazione impropria, che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un unico rapporto, rende inapplicabili le sole norme processuali che pongono preclusioni o decadenza alla proponibilità delle relative eccezioni. Ed invero, in caso di compensazione impropria, si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, potendo il calcolo delle somme a credito e a debito essere compiuto dal giudice anche d’ufficio, in sede di accertamento della fondatezza della domanda. (Cass. n. 11030/2006, n. 17390/07).

Ne deriva che la compensazione impropria non osta all’applicabilità della regola di cui all’art. 1248 c.c., ai sensi del quale se il debitore ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore ha fatto delle sue ragioni ad un terzo, così come è avvenuto nella vicenda in esame, non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente.

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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