Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8971 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 15/05/2020), n.8971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26760/2018 R.G. proposto da:

A.GE.CO.S. S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Gianpaolo

Tancredi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via

Giovanni Caselli, n. 39 (c/o Avv. Caterina Gigante);

– ricorrente –

contro

Comune di Foggia, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Domenico

Dragonetti e Antonio Puzio, con domicilio eletto in Roma, viale

Mazzini, n. 6, presso lo studio dell’Avv. Vania Romano;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 1039/2018,

depositata l’11 giugno 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 149/2012 emesso dal Tribunale di Foggia, su ricorso della A.GE.CO.S. S.p.A., nei confronti del Comune di Foggia, per il pagamento della somma di Euro 1.615.000, oltre accessori, pretesa in base ad atto di transazione del (OMISSIS).

Rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del gravame, la Corte territoriale ha nel merito rilevato che l’atto di transazione, intervenuto tra le parti a seguito del pignoramento di somme dovute dal Comune a una terza società (Amica S.p.A.), non aveva effetto novativo delle precedenti obbligazioni, con la conseguenza che la dichiarazione dello stato di insolvenza della società debitrice esecutata, ancorchè intervenuta successivamente all’assegnazione del credito pignorato ai sensi dell’art. 553 c.p.c., giustificava la sospensione dei pagamenti dovuti alla creditrice pignorante, che altrimenti, se eseguiti, avrebbero dovuto ritenersi inopponibili ai creditori concorsuali della società debitrice esecutata, ai sensi della L. Fall., art. 44.

2. Avverso tale decisione la società soccombente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste il Comune di Foggia, depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la A.GE.CO.S. S.p.A. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, “nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè; motivazione mancante che integra violazione della legge processuale; motivazione apparente che si è estrinsecata in argomentazioni non idonee a rilevarne la ratio decidendi; motivazione nulla siccome omessa ed inesistente”, per avere la Corte territoriale ritenuto validamente proposto l’appello, sebbene, secondo la ricorrente, ne fosse manifesta l’inammissibilità, senza chiarire il motivo.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè “motivazione errata e contraddittoria, non avendo la Corte fatto buon governo dei principi indicati dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 22199 del 16/11/2017, quantunque apoditticamente richiamati in sentenza”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in riferimento all’art. 553 c.p.c., e art. 2697 c.c., in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, e dell’art. 1218 c.c.”.

Lamenta che la Corte d’appello, nell’accogliere l’appello, ha omesso di considerare che il creditore che agisce in giudizio per l’inadempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e che, nella specie, tale onere era stato da essa ricorrente assolto attraverso la produzione dell’atto di transazione versato in atti, essendo stato invece l’opponente a non assolvere l’onere su di esso gravante di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1372, e degli artt. 1965 e 1976 c.c., per avere “il provvedimento impugnato… applicato la transazione intercorsa tra le parti travisandone il contenuto e ritenendo non estinti per transazione novativa i rapporti obbligatori preesistenti e sorta, per effetto della scrittura privata del (OMISSIS), una nuova obbligazione a carico rispettivamente delle parti e segnatamente, quanto alla posizione del Comune di Foggia, un debito a carico di esso Comune di Foggia riconosciutosi con tale scrittura… debitore nei confronti della soc. Agecos S.p.A.”.

5. Devesi preliminarmente rilevare che, nella memoria, parte ricorrente ha ampliato le deduzioni fondanti dei motivi, avendo riprodotto a conforto del suo argomentare atti del giudizio di merito che non aveva evocato nel ricorso (v. in particolare pagg. 12-15, 1821, 21-22 della memoria), così violando la norma dell’art. 380-bis c.p.c., la quale assegna alle memorie lo stesso contenuto e, dunque, gli stessi limiti, di quelle di cui all’art. 378 c.p.c..

Occorre al riguardo rammentare che, come questa Corte ha già ripetutamente affermato, l’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 2, la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di ratio – è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (v. da ultimo Cass. 28/11/2018, n. 30760, che ha dichiarato inammissibile il gravame ai sensi dell’art. 366 c.p.c., poichè il ricorrente, che aveva impugnato la sentenza di appello per omessa pronuncia sulla domanda di corresponsione degli interessi, solo con la memoria integrativa aveva precisato in quale atto e fase del giudizio di secondo grado aveva proposto tale domanda; conf. Cass. 07/03/2018, n. 5355; 23/08/2011, n. 17603; v. già, con riferimento all’art. 378 c.p.c., ex multis Cass. 25/02/2015, n. 3780; 15/04/2011, n. 8749; 29/03/2006, n. 7237; 07/03/1996, n. 1793).

6. Ciò precisato in premessa, e passando dunque allo scrutinio dei motivi di ricorso, deve rilevarsi l’inammissibilità del primo.

6.1. Anzitutto per la palese inosservanza dell’onere di specifica indicazione dell’atto cui esso fa riferimento (ossia dell’atto di appello), in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6: violazione sulla quale appresso ancora si tornerà nell’esame del secondo motivo.

6.2. Indipendentemente da tale pur preliminare e assorbente rilievo può comunque osservarsi che il dedotto vizio di carenza o radicale anomalia motivazionale, in relazione al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello (per aspecificità dei motivi), non è neppure in astratto configurabile.

Trattandosi, infatti, di questione di diritto (processuale), la mancanza o erronea motivazione, quand’anche ravvisabile, risulterebbe irrilevante qualora il giudice di merito i” comunque pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.

7. Il secondo motivo è poi inammissibile – come s’è anticipato – per inosservanza dell’onere di specifica indicazione dell’atto (atto d’appello) cui esso fa riferimento, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Occorre rammentare al riguardo che, come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, anche la proposizione dei motivi di ricorso con cui si denuncia error in procedendo “resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della Corte”.

Nemmeno in tal caso viene meno, infatti, “l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4,… sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato” (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077, con riferimento a fattispecie non ancora soggetta all’applicazione delle novellate norme sopra citate; v. anche ex multis Cass. 29/09/2017, n. 22880; 20/07/2012, n. 12664; 20/09/2006, n. 20405).

Nel caso di specie la ricorrente si limita a trascrivere un breve stralcio dell’atto di appello (e ciò fa peraltro nell’esposizione del terzo motivo: v. pagg. 17-18 del ricorso), senza neppure confrontarsi con la sentenza impugnata che, nel riferire il contenuto del secondo motivo di gravame (v. sentenza, pag. 4, quarto cpv.), ne postula evidentemente un contenuto ben più ampio.

Il contenuto dell’atto di appello non è riprodotto nè direttamente nè indirettamente con rinvio alla parte dell’atto corrispondente.

Omette, peraltro, la ricorrente di localizzare l’atto nel fascicolo processuale, essendo invece come noto necessario che si provveda anche alla individuazione dell’atto con la precisazione dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937). A tale necessaria localizzazione la parte non provvede nemmeno dichiarando di volere fare riferimento alla presenza o nel fascicolo di controparte o in quello d’ufficio (come ammette possa farsi Cass. Sez. U. 03/11/2011, n. 22726, per il caso che non si fosse voluto produrne direttamente copia ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4).

8. E’ altresì inammissibile il terzo motivo.

8.1. Anche per esso vale il preliminare rilievo dell’inosservanza dell’onere di specifica indicazione dell’atto evocato a fondamento (la transazione), come detto imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

8.2. L’aspecificità è, comunque, anche in tal caso apprezzabile sotto altro concorrente profilo, rappresentato dalla incoerenza della prospettazione censoria rispetto alla effettiva ratio decidendi posta a fondamento della sentenza.

La Corte d’appello ha, infatti, come detto, escluso che l’atto di transazione potesse valere a giustificare, nel contesto effettuale descritto, caratterizzato dalla dichiarazione dello stato di insolvenza della società debitrice esecutata, la pretesa monitoriamente azionata.

Rispetto a tale motivazione del tutto eccentrica si appalesa l’argomentazione critica della ricorrente – reiterata nella memoria -tutta improntata sul riparto degli oneri probatori in materia di obbligazioni ex contractu, non avendo la Corte d’appello affatto applicato una regola di giudizio in contrasto con i relativi noti principi, ma bensì motivato su di un piano totalmente diverso che non mette in gioco tali principi, nè si pone con essi in contrasto.

Pur dando atto, infatti, della sussistenza di un fatto processuale (l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato) idoneo in astratto a fondare la pretesa, ha nondimeno ritenuto giustificata la sospensione del pagamento da parte del terzo pignorato per ragioni, come detto, legate al sopravvenire di una procedura concorsuale e alla conseguente inefficacia di atti satisfattivi di crediti assoggettati al concorso al di fuori delle procedure che lo regolano.

Giustificazione quest’ultima non fatta segno in ricorso di alcuna specifica e coerente censura e comunque conforme a costante interpretazione giurisprudenziale (v. Cass. 22/01/2016, n. 1227; 31/03/2011, n. 7508; 14/02/2000, n. 1611).

9. E’ infine inammissibile il quarto motivo.

9.1. Anche per esso rimane inosservato l’onere di specifica indicazione dell’atto (atto di transazione) cui fa riferimento, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Nella memoria depositata ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, la ricorrente obbietta in proposito di avere “operato una minuziosa ricostruzione della vicenda mediante espresso richiamo delle parti di motivazione errate”, con ciò però evidentemente non cogliendo il senso del rilievo operato nella qui condivisa proposta del relatore (e del requisito di forma-contenuto che si è detto inosservato) con il quale si rimarcava la mancata riproduzione (non già delle parti della sentenza impugnata investita della censura, quanto piuttosto) del contenuto dell’atto di transazione richiamato, oltre che la sua mancata localizzazione nel fascicolo processuale.

9.2. La violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto non è poi dedotta nei termini in cui tale vizio è detto deducibile dalla costante giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 09/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539; 26/10/2007, n. 22536).

Mette conto al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni censurabili per omesso esame di fatto controverso e decisivo (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 09/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539); con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o sul vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).

Ciò in quanto nella specie accade atteso che non è in alcun modo illustrato, anche per la vista omessa specifica indicazione del contenuto della transazione, in quale parte e per quale motivo l’interpretazione data dalla Corte di merito all’atto negoziale debba considerarsi in contrasto con ciascuno dei criteri legali d’interpretazione di cui genericamente si assume, in rubrica, la violazione.

Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.

10. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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