Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 897 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 17/01/2020), n.897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.R., S.I. e dalla S.D.F. S.R.,

G.M. E S.I. nella persona del rappresentante

legale sig. S.R., tutti rappresentati e difesi, in via

sia congiunta che disgiunta fra loro, per procura in calce al

ricorso, dall’avv. Giuseppe Marra e dall’avv. Francesca Marra,

elettivamente domiciliati in Roma, via dei Monti Parioli n. 28

presso lo studio dell’avv. Roberto Folchitto;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE

– intimata –

avverso la sentenza n. 4349/7/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 27 ottobre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI;

udito il P.M. Dott. SANLORENZO RITA, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Giuseppe Marra per i ricorrenti;

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di un processo verbale di constatazione, emesso dalla Guardia di finanza di Varese con cui veniva riscontrata l’esistenza di una società di fatto denominata “s.d.f. S.R., G.M. e S.I.” (di seguito s.d.f.), l’Agenzia delle entrate emise avviso di accertamento, relativo alla annualità 2007, con i quali accertava maggiori imponibili ai fini IRAP e IVA ed emetteva analoghi avvisi, ai fini IRPEF, a carico di S.R. e S.I..

Gli accertatori avevano delineato, sulla scorta di elementi probatori documentali e testimoniali, l’esistenza di una società di fatto che, mediante l’interposizione fittizia di un’articolata struttura di imprese e cooperative, avrebbe avuto il fine dell’omesso pagamento di imposte dirette e indirette ai danni dello Stato; in particolare G.M., S.R. e S.I. avrebbero creato il CIS S.c.a.r.l.(Consorzio Italiano Servizi s.r.l.) e poi la GES s.r.l. (Gruppo Elaborazione Servizi s.r.l.) con lo scopo di far confluire i ricavi in numerose cooperative appositamente costituite che venivano poi sciolte prima della scadenza dei due anni (limite entro il quale tali enti dovevano essere obbligatoriamente sottoposti al controllo del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale); sottraendosi, così, al pagamento delle imposte e dell’IVA dovute all’Erario in quanto, secondo la ricostruzione dell’Ufficio, i ricavi, confluiti nelle cooperative venivano dirottati nella disponibilità della società di fatto e per il tramite di essa in quella dei presunti soci.

I ricorsi proposti dalla presunta Società di fatto e dai tre soci vennero rigettati dalla Commissione tributaria provinciale e la decisione, appellata dalla società di fatto e da S.R. e S.I., integralmente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.) la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, ribadiva l’esistenza di una società di fatto tra i S. e il G. nonchè la correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, la quale aveva posto, a base dell’accertamento, i versamenti e i prelevamenti riscontrati tramite indagini sui conti correnti bancari.

Avverso la sentenza propongono ricorso, articolato su sei motivi, la Società di fatto nonchè S.R. e S.I. e G.M.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Con il primo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata perchè del tutto priva di motivazione, o con motivazione solo apparente, in violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in punto di accertamento dei requisiti necessari per la sussistenza della contestata società di fatto. In particolare, si contesta al Giudice di appello di avere recepito integralmente la ricostruzione della vicenda, come operata dall’Amministrazione finanziaria, senza esternare il procedimento logico conseguenziale che lo ha indotto a pervenire a tale risultato.

1.1 la censura è inammissibile. Dalla lettura integrale della sentenza impugnata emerge che il Giudice di appello ha diffusamente motivato sugli elementi posti a base della sua decisione, con idonea esternazione del processo logico che lo ha condotto alla soluzione della controversia laddove il mezzo di impugnazione, nei termini in cui è formulato appare, in realtà, teso inammissibilmente a contrastare l’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di merito. Peraltro, secondo la giurisprudenza, ormai consolidata, di questa Corte non sussiste motivazione apparente nell’ipotesi in cui la sentenza sia motivata per relationem agli scritti difensivi di una delle parti, purchè il Giudice li faccia propri, condividendoli, e dimostri di avere tenuto conto delle contrapposte allegazioni difensive; ipotesi, questa, integrata nella motivazione della sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omessa pronuncia in ordine alla giuridica configurabilità di una società di fatto come delineata dall’ente impositore per non essersi il Giudice d’appello pronunciato sull’eccezione di nullità del contratto sociale come delineato dalla Guardia di finanza, non essendo configurabile una società di fatto avente quale unico fine quello di evadere il fisco.

2.1. Il motivo è infondato. Per la giurisprudenza consolidata di questa Corte, di recente ribadita da Cass. n. 15255 del 04/06/2019 “non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine a un motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto”(cfr. Cass. n. 20718 del 2018; Cass. n. 17956 del 2015 e Cass. n. 13425 del 2016).

3. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2247,2697 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto sussistente fra S.R., S.I. e G.M. una società di fatto.

3.1 Dal rigetto dei primi due motivi discende l’inammissibilità del terzo. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di prova dell’esistenza di una società di fatto, “nonostante nei rapporti interni, la costituzione del fondo comune e la c.d. affectio societatis, cioè la volontà di esercitare in comune una determinata attività economica, siano da considerarsi elementi essenziali ai sensi dell’art. 2247 c.c. nei rapporti esterni, che vengono in rilievo nella presente fattispecie (non già come riflesso del generale principio dell’affidamento dei terzi ma ai fini dell’individuazione del soggetto effettivo titolare del reddito prodotto dalla specifica attività economica), l’esistenza del vincolo sociale può desumersi dalla sua mera esteriorizzazione” (Cass., Sez. 5, n. 9604 del 13/04/2017 la quale ha rilevato che in tema di imposte sui redditi, ai fini dell’individuazione del soggetto effettivo titolare del reddito prodotto da una specifica attività economica, l’esistenza di una società di fatto può ben essere desunta da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovraindividuale indiscutibilmente consociativa, assunte non per una loro autonoma valenza, ma quali elementi apparenti e rivelatori, sulla base di una prova logica, dei fattori essenziali di un rapporto di società nella gestione dell’azienda, in quanto ciò che viene in considerazione non sono gli elementi essenziali del contratto di società (costituzione di, un fondo comune ed “affectio societatis”), rilevanti esclusivamente nei rapporti interni, ma l’esteriorizzazione del vincolo sociale, rilevante nei rapporti esterni. Cass. sez. 5, n. 2200 del 31/01/2014).

Inoltre, questa Corte è ferma nel ritenere che l’indagine circa l’esistenza di una società non formalizzata, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non sia censurabile in sede di legittimità quando sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici. (cfr. Cass., Sez. 6-1, 8981 del 05/05/2016)

3.2 Nella specie, l’accertamento in fatto compiuto dal Giudice d’appello e la relativa sussunzione dei vari elementi rinvenuti in quelli richiesti dall’art. 2247 c.c. appare esaustivo e giuridicamente corretto, in quanto effettuato nel rispetto dei principi sopra enunciati onde va esente da censure. Peraltro, il mezzo, nei termini in cui è formulato, appare teso a contrastare inammissibilmente l’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di merito e a suggerire una diversa ricostruzione fattuale della vicenda.

4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2 e 7, laddove la C.T.R., recependo acriticamente l’operato dell’Ufficio che aveva determinato il reddito della s.d.f. attraverso movimentazioni bancarie della GES s.r.l. (società non sottoposta ad accertamento), aveva violato le norme invocate (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 37 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51), in quanto nessuna prova era stata fornita sulla circostanza che i movimenti sui conti intestati alla GES fossero riferibili all’attività che la presunta società di fatto avrebbe svolto e ancora prima nessuna prova era stata fornita in ordine alla stessa esistenza del possessore del reddito.

4.1 La censura è infondata. Il Giudice di appello, nel passo motivazionale attinto dal mezzo, premessa l’interpretazione di questa Corte delle norme rilevanti (artt. 32 e 37 cit.), ha, espressamente, affermato che, nella fattispecie in causa, acclarata l’esistenza di una società di fatto tra i tre soggetti poc’anzi indicati e la circostanza che le movimentazioni bancarie sottostanti ad operazioni economiche poste in essere dai soci formalmente in proprio ma in realtà per conto (e cioè nell’interesse) della società stessa e, tenuto conto, che i predetti soci non svolgevano alcuna attività produttiva di reddito nè avevano operato dismissioni patrimoniali nè erano divenuti beneficiari di atti di liberalità costituenti fonte di flussi finanziari sui propri c/c bancari questo decidente riconosce la piena legittimità dell’applicazione del disposto normativo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Correttamente dunque l’AGE con gli avvisi di accertamento impugnati ha, nella previsione degli articoli ut supra posto a base dell’accertamento i versamenti e i prelevamenti (questi ultimi quelli di cui la parte non era stata in grado di indicare il beneficiario) che non erano stati contabilizzati nelle scritture obbligatorie della società, pari a complessivi Euro 49.152.815,00.

4.2. In materia, questa Corte (cfr. Cass. n. 7758 del 20.3.2019; id. n. 30098 del 21.11.2018) è ferma nel ritenere che “in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perchè la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa” (cfr., in precedenza, Cass., sez. 5, n. 26829 del 18/12/2014, Cass., sez. 6-5, n. 1898 del 01/02/2016).

Si è, poi, specificato che “in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2″ (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 5, n. 1519 del 20/01/2017; Cass. Sez. 5, n. 29572 del 16/11/2018)

Ed infine, con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le altre Cass. Sez. 5, n. 27625 del 30/10/2018 e Cass. Sez. 5, n. 15830 del 29/07/2016) sostiene che ” in tema di controllo delle dichiarazioni, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, è valido l’accertamento con il quale il fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto, quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che il contribuente ne sia l’effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale”.

4.3 Nel caso in esame la C.T.R., seppur con motivazione a tratti involuta, ha fatto corretta applicazione di tali principi sia nel ritenere perfettamente legittimi gli accertamenti bancari, debitamente autorizzati, nei confronti delle cooperative e della società GES s.r.l., siccome riferibili alla s.d.f., sia nel ritenere, in base agli elementi probatori raccolti, la sussistenza dell’interposizione e l’attribuibilità del reddito della GES s.r.l. alla s.d.f.; laddove, di contro, nessuna prova di segno contrario è stata fornita dalla società di fatto ovvero dai singoli soci.

5. Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine alla competenza territoriale dell’Agenzia delle entrate.

In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. non avrebbe pronunciato in ordine all’eccezione, proposta in entrambi i gradi del giudizio, relativa all’incompetenza dell’Ufficio di Varese a sottoporre a controllo la GES s.r.l. che aveva sede e domicilio fiscale a Roma.

5.1 Il motivo è inammissibile. In particolare, a fronte del silenzio serbato sul punto dalla sentenza impugnata e del difetto di specificità del mezzo di impugnazione (non specificandosi come, quando e dove tale eccezione sia stata proposta nei gradi di merito) va rilevata l’inammissibilità del motivo, per la novità della questione dedotta.

D’altronde, secondo il costante orientamento di questa Corte, di recente ribadito da Cass. n. 15255 del 04/06/2019, “non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr. in termini, anche Cass. n. 20718 del 2018, Cass. n. 13425 del 2016).

6. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente, in punto di imputazione, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, comma 3, al contribuente dei redditi formalmente appartenenti ad altre persone. In particolare, i ricorrenti deducono la mera apparenza della motivazione laddove la C.T.R. aveva semplicemente condiviso il principio affermato, in materia, da questa Corte con la sentenza n. 8683/2002, senza farlo proprio con autonoma e critica valutazione.

6.1 Il motivo è, all’evidenza, infondato. La C.T.R. ha, invero, espressamente motivato, sul punto, facendo corretta applicazione, alla fattispecie sottoposta al suo esame, del principio enunciato da questa Corte in materia di imputazione dei redditi che, evidentemente ha condiviso e fatto proprio quale precedente autorevole, senza che ciò possa configurarsi come motivazione acritica per relationem ad altra sentenza.

7. Alla stregua delle considerazioni che precedono e alla luce dei principi sanciti da Cass. Sez. U. n. 7155 del 21.03.2017, il ricorso va dichiarato inammissibile.

8. La declaratoria di inammissibilità del ricorso rende superfluo il rilievo ufficioso della mancata integrità del contraddittorio (solo in grado di appello e nel presente giudizio) nei confronti del litisconsorte G.M., in ossequio ai principi sanciti dalle Sezioni Unite di questa Corte a Sezioni Unite n. 6826 del 22/03/2010. “nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio.

9. Non vi è pronuncia sulle spese in mancanza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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