Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8969 del 05/05/2015
Civile Sent. Sez. 6 Num. 8969 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE
SENTENZA
sul ricorso 27176-2013 proposto da:
D’AMORE SEBASTIANO DMRSST51TO7B227Q, POCCHIA
GABRIELE PCCGRL61A10F839C, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio dell’avvocato
ALESSANDRO FERRARA, rappresentati e difesi dall’avvocato
SILVIO FERRARA, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
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Data pubblicazione: 05/05/2015
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto nel procedimento R.G. 62377/09 della CORTE
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.
Ric. 2013 n. 27176 sez. M2 – ud. 28-01-2015
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I
D’APPELLO di ROMA del 21.1.2013, depositato il 12/04/2013;
IN FATTO
Con ricorso del 24.12.2009 Gabriele Pocchia e Sebastiano D’Amore
adivano, insieme con altri ricorrenti, la Corte d’appello di Roma per ottenere
la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo
all’art.6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(CEDU), del 4.1_1.1950, ratificata con legge n.848/55, per l’eccessiva durata
di una causa di lavoro instaurata innanzi al Pretore di Napoli il 17.4.1989 e
definita con sentenza di questa Corte Suprema con sentenza del 25.5.2009.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 12.4.2013 la Corte d’appello (accolta la domanda degli
altri ricorrenti) dichiarava inammissibile il ricorso di Gabriele Pocchia e di
Sebastiano D’Amore, per difetto di legittimazione attiva, poiché essi non
risultavano essere stati parti del giudizio presupposto né avevano replicato
all’eccezione sollevata al riguardo dall’Avvocatura distrettuale dello Stato.
Per la cassazione di tale decreto ricorrono Gabriele Pocchia e Sebastiano
D’Amore, in base a quattro motivi.
Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 2, comma 2 legge n.
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89/01, 99, 100, 115 e 182 c.p.c., 24 e 111 Cost., 6, par. 1 e 13 CEDU, in
connessione col vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria”
motivazione. Si deduce, in particolare, che la Corte territoriale abbia
sostanzialmente applicato il principio di non contestazione all’eccezione di
difetto di legittimazione attiva sollevato dall’Avvocatura dello Stato, senza
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indennizzo, ai sensi dell’art.2 della legge 24 marzo 2001, n.89, in relazione
esaminare ed analizzare gli atti del giudizio presupposto prodotti dalla parte
ricorrente.
2. – Il motivo è fondato.
Il principio di non contestazione (posto dapprima dall’art. 416, 3 0 comma,
comma c.p.c., novellato dalla legge n. 353/90, e infme dall’art. 115, 1°
comma, come modificato dalla legge n.69/09) mira a selezionare i fatti
pacifici e a separarli da quelli controversi, per i quali soltanto si pone
l’esigenza dell’istruzione probatoria; e ad escludere, all’atto della decisione,
l’applicabilità della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. nei casi in cui il
fatto costitutivo della domanda, benché non provato, sia da ritenersi
implicitamente pacifico. Il che si verifica in maniera direttamente
proporzionale al grado di specificità dell’allegazione (id est, deduzione
volitiva) del fatto e alla possibilità di sue narrazioni alternative.
Tale principio opera in un ambito non solo soggettivamente ma anche
oggettivamente dominato dalla disponibilità delle parti, nel senso che sono
suscettibili di non contestazione soltanto i fatti storici la cui ricostruzione ex
post richieda il dispendio dell’attività probatoria, la quale a sua volta è
normalmente rimessa alle parti (non a caso, potere dispositivo della prova e
principio di non contestazione condividono la medesima norma di legge: art.
115, 1° comma c.p.c.).
Ciò non significa affatto, però, che ad essere disponibile sia la verità
storica e che, dunque, sia sottratto al giudice ogni potere di verificarla. Ciò di
cui una parte dispone attraverso la non contestazione è solo la prova del fatto
contrario a quello allegato dall’altra. E non essendovi equivalenza concettuale
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come sostituito dalla legge n. 533/73 sul rito del lavoro, poi dall’art. 167, 1°
tra fatto non contestato e fatto provato, il primo essendo un a priori rispetto al
secondo, che costituisce la risultante eventuale dell’istruzione probatoria, il
giudice deve in ogni caso sottoporre a controllo il fatto non contestato, e ciò —
si badi — indipendentemente dalla possibilità di esercitare poteri istruttori
Tre (in larga approssimazione) le conseguenze. Il principio di non
contestazione non è applicabile alla mera negazione di un fatto, che .è essa
stessa contestazione; esso si attenua drasticamente nell’ambito delle questioni
rilevabili d’ufficio; e l’emergere di elementi (logici ovvero di prova indiretta o
documentale) di segno opposto alla non contestazione reclama il controllo
terzo sulla verità storica del fatto, che non è negoziabile e che nessuna tecnica
processuale può porre al riparo dalla valutazione del giudice.
2.1. – Pertanto, la questione della legittimazione attiva e passiva, attenendo
al contraddittorio e dovendo essere verificata anche d’ufficio in -ogni stato e
grado del processo col solo limite della formazione del giudicato interno
(giurisprudenza di questa Corte del tutto ferma al riguardo: cfr. ex pluribus,
Cass. n. S.U. n. 1912/12), come sfugge alla disponibilità delle parti così si
sottrae all’operatività del principio di non contestazione. E a fortiori questo
non è applicabile all’eccezione di carenza di legittimazione, che è essa stessa
una contestazione.
2.1.1. – La Corte territoriale ha disatteso ogni indicazione al riguardo,
poiché ha considerato non contestata, implicitamente per gli effetti dell’art.
115, 1° comma c.p.c., la mera negazione della legittimazione attiva degli
odierni ricorrenti, per di più in materia rilevabile d’ufficio e senza riscontrare
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d’ufficio.
la relativa eccezione a stregua degli atti del giudizio presupposto prodotti in
copia.
3. – L’accoglimento del suddetto motivo assorbe l’esame delle restanti
censure (peraltro inutilmente sovrabbondanti e iterative: violazione degli artt.
comma e 13 CEDU; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, commi 1°,
2° e 3°, e 3 legge n. 89/01 e 6, par. 1 CEDU; e violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 6, par. 1 CEDU, 2, commi 1°, 20 e 3 0 , e 3 legge n.
89/01).
4. – S’impone, pertanto, la cassazione del decreto impugnato con rinvio ad
altra sezione della Corte d’appello di Roma, che farà applicazione del
seguente principio di diritto: “in materia di equa riparazione la contestazione
della legittimazione attiva del ricorrente, di cui il Ministero convenuto neghi
l’assunzione della qualità di parte nel giudizio presupposto, non integra un
fatto cui a sua volta sia applicabile il principio di non contestazione sancito
dall’art. 115, 1° comma c.p.c., ma un’eccezione processuale in senso ampio,
la cui fondatezza o meno il giudice deve valutare attraverso lo specifico
esame degli atti di quel processo acquisiti al procedimento camerale”.
3.1. – Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di cassazione, il cui
regolamento questa Corte gli rimette ai sensi dell’art. 385, 3 0 comma c.p.c.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa il decreto
impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che
provvederà anche sulle spese di cassazione.
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2, 2° comma legge n. 89/01, 115, 182, 737 e 738 c.p.c., 24 e 111 Cost. e 6, 1°
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –
2 della Corte Suprema di Cassazione, il 28.1.2015.