Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8964 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15979-2018 proposto da:

COMUNE DI CHIVASSO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE PECORILLA, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIO CHIARELLO, MARIA SUPPA;

– ricorrente –

contro

A.T.C. AGENZIA TERRITORIALE PER LA CASA DEL PIEMONTE CENTRALE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati LUCA CATTALANO, GIUSEPPE

BONGIOANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1661/5/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RUSSO

RITA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- La ATC, Agenzia territoriale per la casa del Piemonte, ha impugnato il diniego di rimborso dell’IMU pagata al Comune di Chiavasso per l’anno 2012, relativa ad immobili assegnati per la ricettività sociale ad un canone inferiore al 50% di quello di mercato. La ATC deduce di non essere tenuta al pagamento dell’imposta in applicazione del D.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i). Il ricorso della Agenzia è stato respinto in primo grado.

La ATC ha proposto appello e la sentenza è stata riformata c del Piemonte, con sentenza del 21.11.2017 ha accolto l’appello della Agenzia, ritenendo sussistenti i requisiti per fruire della agevolazione fiscale prevista dall’art. 7, lett. i); in particolare il giudice d’appello ha ritenuto che il presupposto oggettivo dell’esenzione ricorra anche qualora l’immobile sia utilizzato per finalità non commerciali, atteso che il concetto di utilizzazione diretta deve essere riferito al conseguimento della attività istituzionale; inoltre si ritiene che è da intendersi svolta con modalità non commerciali la locazione dietro un corrispettivo simbolico o comunque non superiore, come nella specie, alla metà dei corrispettivi medi praticati nel territorio.

2.- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il Comune affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso l’ATC. Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, si osserva quanto segue.

Diritto

RITENUTO

CHE:

3.- Con il primo motivo del ricorso, il Comune lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al D.lgs. n. 23 del 2011, art. 9, comma, del D.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. I), e della L. n. 27 del 2012, art. 91 bis, nella parte in cui riconosce la esenzione in parola pur in assenza di utilizzazione diretta degli immobili.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. 27 del 2012, art. 91 bis, comma 3, nella parte in cui si ritiene che è venuta meno la necessità del requisito della utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore, ai fini della esenzione.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 10, per avere ritenuto spettante il diritto all’esenzione nonostante la norma speciale preveda specificamente per gli immobili di edilizia popolare la sola detrazione di imposta.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto spettante il diritto alla esenzione senza tenere conto del carattere di specialità della di imposta rispetto alla norma di esenzione. I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono fondati nei termini di cui appresso.

La contribuente invoca infatti la applicazione della agevolazione prevista dal D.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i), che nella versione modificata ad opera del D.L. n. 1 del 2012, art. 91 bis, convertita con L. n. 27 del 2012, applicabile ratione temporis all’annualità oggetto di causa, recita: “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, 4 didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a).”

Deve quindi osservarsi che le norme fiscali agevolatrici, come quella in esame, hanno natura eccezionale, e come tali non sono soggette a interpretazione analogica, in virtù del disposto dell’art. 14 preleggi (Cass. 15407/2017; Cass. 2821/2012).

Questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha ripetutamente affermato, con riferimento ad immobili gestiti da IACP e cioè da azienda per l’edilizia residenziale pubblica, che non spetta l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), che esige la duplice condizione – insussistente per questa categoria di beni – dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Gli immobili medesimi possono, invece, beneficiare della riduzione di imposta, prevista dal medesimo decreto, art. 8, comma 4. In particolare è stato affermato che “in materia di ICI, l’esenzione di cui al D.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), opera alla duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito, escludendo che il beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse” (cfr. Cass. S.U. n. 28160/2008, e anche Cass. n. 7385/2012, n. 12313/2017).

Esclusa dunque, per le case popolari concesse in locazione dagli enti di edilizia residenziale pubblica la sussistenza del requisito oggettivo dell’utilizzazione diretta, che contrariamente a quanto ritiene la CTR, continua ad essere presupposto necessario della applicazione della esenzione in parola (Cass. 1083/2016), si osserva che le finalità di carattere sociale svolte per legge dagli enti di edilizia residenziale pubblica non escludono che la attività di concedere in locazione le unità abitative a loro disposizione, sia pure ad un canone locativo moderato o convenzionato, in quanto parametrato alla situazione economica dell’assegnatario, sia un’attività di carattere economico ai sensi di legge (Cass. 20135/2019); pertanto ha errato il giudice di appello a ritenere l’applicabilità della invocata esenzione.

Erra in particolare la CTR nel ritenere la equivalenza, ai fini che qui interessano, del concetto di corrispettivo simbolico con quello di corrispettivo inferiore, anche nella misura della metà, alla media dei prezzi praticati nella zona. Il corrispettivo puramente simbolico infatti non è il corrispettivo tenue o modesto, ma quello che escludendo completamente il rapporto sinallagmatico equivale all’assenza di corrispettivo (in termini Cass. 392/1986; cfr. in tema di esenzione ICI anche Cass. N. 4066/2019).

Ne consegue, in accoglimento del ricorso la cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito, rigettando l’originario ricorso della contribuente. Le spese del doppio grado del giudizio di merito possono essere compensate e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della controricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente e condanna parte controricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge. Compensa le spese del doppio grado di merito.

Così deciso in Roma, camera di consiglio, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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