Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8963 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. II, 19/04/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 19/04/2011), n.8963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dagli Avv.ti Bonon Ferdinando e Andrea Manzi in virtù di procura

speciale a margine del ricorso ed selettivamente domiciliato presso

lo studio del secondo, in Roma, alla v. A. Gonfalonieri, n. 5;

– ricorrente –

contro

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI PADOVA, in persona del Prefetto

pro tempore, e MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliati presso il relativo ufficio in Roma, alla v. dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Venezia n. 963 del

2009, depositata il 7 aprile 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

Sentite le conclusioni dell’Avv. Federica Manzi, comparsa per delega

nell’interesse del ricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso aderendo alla

relazione.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 21 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con la sentenza n. 963 del 2009 (depositata il 7 aprile 2009), il Tribunale di Venezia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da C.G. nei confronti del Prefetto di Padova + 1 avverso la sentenza del giudice di pace di Padova n. 3329/2006, rigettava il proposto gravame e, nel confermare la decisione di prime cure, condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

Nei riguardi della menzionata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 19 maggio 2010 e depositato il 17 maggio successivo) C.G., articolandolo su quattro motivi.

In questa fase si sono costituiti con controricorso gli intimati Prefetto di Padova e Ministero dell’Interno.

Con il primo motivo il ricorrente ha prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avuto riguardo all’errata individuazione di una causa di interruzione della prescrizione, nonchè la violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 28 e dell’art. 3943 c.c.. In proposito ha posto il seguente quesito di diritto: dica la S.C. se il verbale di contestazione dell’infrazione sia stato correttamente considerato atto interruttivo della prescrizione o se, viceversa, conformemente al dettato della L. n. 689 del 1981, art. 28, u.c., e quindi dell’art. 2943 c.c., non si debba considerare tale solo la notifica dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento.

Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla supposta violazione del combinato disposto della L. n. 689 del 1981, art. 18 e della L. n. 386 del 1990, art. 8 bis formulando il seguente quesito di diritto: accerti la S.C. se l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione senza la previa audizione dell’interessato, che pure era stata richiesta, sia conforme alla corretta applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 18 e della L. n. 386 del 1990, art. 8 bis o e, viceversa, violi il combinato disposto di detti articoli.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero la valutazione della carente e/o insufficiente motivazione delle ordinanze-ingiunzioni, in relazione alla violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 sottoponendo a questa Corte la questione relativa all’accertamento sul se la sentenza di secondo grado è viziata da carenza di motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione alla mancata valutazione dell’insufficiente motivazione delle ordinanze- ingiunzioni opposte. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8 formulando il seguente quesito di diritto: accerti la S.C. se la conferma della sentenza di primo grado, nella parte in cui non ha ritenuto applicabile la L. n. 689 del 1981, art. 8 non sia in contrasto con la corretta applicazione e interpretazione dell’articolo stesso.

Gli intimati costituitisi in questa fase hanno chiesto dichiararsi l’inammissibilità e, comunque, hanno insistito per il rigetto del ricorso.

In via pregiudiziale bisogna evidenziare che il ricorso risulta chiaramente inammissibile nei confronti del Ministero dell’Interno poichè nel giudizio di opposizione avverso i provvedimenti sanzionatori per violazioni della disciplina relativa agli assegni bancari e postali (del D.Lgs. n. 507 del 1999, artt. 28 e 29 che hanno sostituito la L. n. 386 del 1990, artt. 1 e 2), unico legittimato passivo è il Prefetto, non soltanto per il giudizio di primo grado, ma per l’intero arco del processo (cfr. Cass. 16 agosto 2006, n. 18168).

Ritiene, poi, il relatore che sembrano sussistere, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il terzo motivo del ricorso e manifestamente infondati gli altri tre per come proposti nei confronti del Prefetto di Padova.

Posto che tutti e quattro i motivi si prospettano assistiti dal sufficiente assolvimento del requisito previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (ratione temporis applicabile nella fattispecie), si ritiene, innanzitutto, palesemente infondato il primo motivo, avendo questa Corte ripetutamente statuito (v. Cass. n. 1081/2007 e Cass. n. 28238/2008) che, in tema di sanzioni amministrative, ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto della P.A. alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esso esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 c.c., con conseguente effetto interruttivo della prescrizione. E’ stato conseguentemente statuito (v. Cass. n. 17054/2005) che, atteso che l’ordinanza-ingiunzione ha la funzione di consentire la riscossione coattiva del credito mediante la formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale, la notificazione della stessa è certamente atto idoneo ad interrompere la prescrizione, ma tale efficacia va riconosciuta anche ad atti diversi (quali la notificazione del verbale di contestazione dell’infrazione) – comunque da individuarsi specificamente quanto a tutte le concrete caratteristiche e alla data – e in generale, in forza del rinvio operato dalla L. n. 689 del 1981, art. 28 a tutti gli atti previsti dagli artt. 2943 e 2944 c.c..

Pertanto, non sussiste nella fattispecie la dedotta violazione di legge, avendo il tribunale di Venezia correttamente ritenuto che la notifica dei verbali di accertamento costituivano idonei e tempestivi atti interruttivi del termine di prescrizione quinquennale. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato sulla scorta della pacifica giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 12017/2005), alla quale si è attenuto il suddetto tribunale, secondo la quale, nel procedimento di applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista nel caso di emissione di assegni bancari privi di provvista, la L. n. 386 del 1990, art. 8 bis introdotto dal D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 33 non prevede il diritto della parte di essere sentita dal prefetto, ma soltanto la facoltà di presentare scritti difensivi e documenti, in virtù di una scelta ispirata dalla natura essenzialmente documentale della prova e dalla necessità di apprestare un sistema snello, in considerazione dell’elevato numero dei procedimenti (rilevandosi anche la manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale di detta disposizione, sollevata in riferimento alle norme costituzionali che tutelano il diritto di difesa, dato che il contraddittorio pieno è rinviato alla fase eventuale dell’opposizione). I terzo motivo è inammissibile avendo con lo stesso il ricorrente dedotto un vizio di motivazione a fronte di una doglianza riferibile ad un’omessa pronuncia del giudice di appello sulla supposta deficienza della motivazione dell’impugnata ordinanza-ingiunzione. In proposito si ricorda che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione per relationem resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame, con la conseguenza che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (come nella specie) in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela sul punto inammissibile (cfr. Cass. n. 12952/2007 e Cass. n. 26598/2009).

L’ultimo motivo è manifestamente infondato avendo il tribunale di Venezia fatto corretta applicazione del consolidato principio affermato da questa Corte (v. Cass. n. 12844/2008 e Cass. n. 13672/2007), alla stregua del quale, in materia di sanzioni amministrative, non è applicabile l’art. 81 cpv. c.p. relativo alla continuazione ma esclusivamente il concorso formale, in quanto espressamente previsto nella L. n. 689 del 1981, art. 8 che richiede l’unicità dell’azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni, con la conseguenza che non è configurabile la continuazione in caso di contestazione di plurime emissioni di assegni senza provvista o senza autorizzazione, in quanto la L. 15 dicembre 1990, n. 386, art. 5 come mod. dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, regolamenta il caso di plurime emissioni di assegni senza autorizzazione o senza provvista, al solo fine di aggravare il trattamento sanzionatorio di ulteriori sanzioni amministrative accessorie, analogamente a quanto stabilito, per la cosiddetta reiterazione degli illeciti amministrativi, dalla L. n. 689 del 1981, art. 8 bis. In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. (nella versione ante L. n. 69 del 2009), potendosi ravvisare l’inammissibilità del ricorso con riguardo a terzo motivo e il rigetto dello stesso con riferimento agli altri tre motivi per loro manifesta infondatezza”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, aggiungendosi, con riferimento al secondo motivo, che le Sezioni unite (cfr. sentenza n. 1786/2010) hanno stabilito che l’omessa audizione richiesta dall’interessato in sede amministrativa non produce, in generale, la nullità della conseguente ordinanza-ingiunzione, e, con riferimento, al terzo motivo, che le stesse Sezioni unite (con la medesima sentenza n. 1786/2010) hanno statuito che, in ogni caso, i vizi di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento sanzionatorio, poichè il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice delle deduzioni difensive dell’interessato in sede giudiziale;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti del Ministero dell’Interno e respinto nei riguardi del Prefetto di Padova, con la conseguente condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese in favore delle Amministrazioni controricorrenti, nella misura liquidata come in dispositivo (con il computo del dovuto aumento per la difesa congiunta effettuata dall’Avvocatura generale).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti del Ministero dell’Interno e lo rigetta nei riguardi del Prefetto di Padova, condannando il ricorrente al pagamento dei compensi in favore delle Amministrazioni controricorrenti in solido che liquida in complessivi Euro 1.800,00, oltre spese eventualmente prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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