Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8962 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/03/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24602/2015 proposto da:

T.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA N. 15, presso lo studio dell’avvocato SUSANNA LOLLINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE NIERI;

– ricorrente –

contro

CROCE ROSSA ITALIANA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 138/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/04/2015 R.G.N. 439/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per accoglimento del primo motivo,

assorbito il secondo motivo, rigetto del terzo motivo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 28 aprile 2015 n. 138 la Corte d’Appello di Genova riformava la sentenza del Tribunale di Massa e per l’effetto condannava la CROCE ROSSA ITALIANA (in prosieguo: CRI) al pagamento del compenso incentivante maturato in favore di T.P. in costanza del rapporto a termine intercorrente tra le parti dal maggio 2006, oggetto di ripetute proroghe; rigettava la domanda del T. per l’accertamento del diritto alla stabilizzazione.

2. In via preliminare la Corte territoriale accoglieva l’appello incidentale di CRI, con il quale l’ente deduceva l’insussistenza del diritto del T. alla stabilizzazione ai sensi delle leggi L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519 e L. n. 244 del 2007, art. 3, comma 90, per carenza dell’anzianità di servizio triennale.

3. Benchè tale requisito non fosse stato inizialmente contestato da CRI, non era applicabile la regola della esclusione dal thema decidendum dei fatti non contestati, in quanto il Tribunale avrebbe potuto autonomamente accertarne l’insussistenza, sulla base delle stesse allegazioni del T. e dei documenti prodotti.

4.Per avere diritto alla stabilizzazione occorreva una anzianità di tre anni di servizio a tempo determinato in forza di contratto stipulato prima del 28 settembre 2007. Il T. era stato assunto con contratto del 9 maggio 2006, con scadenza al 14 novembre 2007; non poteva essere considerata la proroga del contratto, in quanto avvenuta dopo il 28 settembre 2007 (il 5 novembre 2007).

5. In tal senso disponeva anche l’avviso pubblico di CRI per la stabilizzazione, del 25 giugno 2008.

6. L’appello principale del T. andava respinto quanto alla domanda di condanna di CRI a corrispondere il trattamento economico dovuto ai dipendenti a tempo indeterminato, in quanto la domanda era stata formulata come effetto dell’accoglimento della domanda di stabilizzazione.

7. La domanda relativa al pagamento del compenso incentivante era fondata, trattandosi di compenso dovuto anche ai dipendenti a termine.

8. Apparivano condivisibili le osservazioni di CRI in ordine al quantum del compenso. La quota individuale andava determinata dividendo idealmente l’ammontare complessivo del fondo per il numero degli aventi diritto; dalla inclusione nella platea degli aventi diritto dei numerosissimi dipendenti a termine derivava, pertanto, una inevitabile riduzione del compenso individuale. Il ctu nominato nel grado di appello aveva quantificato la misura del compenso, seguendo tali indicazioni.

9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza T.P., articolato in tre motivi cui CRI non ha opposto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione degli artt. 333,334,343,435 c.p.c..

2. Si espone che l’appello incidentale di CRI era tardivo (la sentenza di primo grado era stata depositata il 14.3.2014 e l’appello incidentale era stato depositato dopo il 14.9.2014) ed avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. L’appello incidentale tardivo poteva essere proposto soltanto in relazione alla medesima domanda oggetto dell’appello principale (ovvero ad una domanda connessa); nella fattispecie di causa, invece, l’appello di CRI riguardava una domanda (la stabilizzazione) autonoma rispetto a quella oggetto dell’appello principale (il compenso incentivante).

3. Il motivo è inammissibile.

4. Non viene riportato con la necessaria specificità l’atto di appello del T., onde consentire a questa Corte di valutare l’esistenza o meno di una connessione con l’appello incidentale di CRI.

5. Peraltro, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’appello principale non riguardava soltanto il compenso incentivante – come in questa sede si assume – ma anche diritti patrimoniali consequenziali alla stabilizzazione riconosciuta dal Tribunale (diritto al trattamento economico dei dipendenti a tempo indeterminato).

6. Con il secondo mezzo il ricorrente ha dedotto:

– ai sensi dell’art. 360, n. 3 – violazione o falsa applicazione della normativa sulla stabilizzazione del personale precario (per l’anno 2007: L. n. 296 del 2006; per l’anno 2008: L. n. 244 del 2007; per il rilascio della autorizzazione alle assunzioni: L. n. 449 del 1997) e degli artt. 112 e 416 c.p.c.;

nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

7. Ha assunto che l’eccezione relativa al difetto del requisito della anzianità triennale, dedotta da CRI soltanto in appello, non avrebbe potuto essere esaminata, in quanto tardiva.

8. Ha contestato l’interpretazione della normativa sulla stabilizzazione accolta nella sentenza impugnata, sostenendo che il fatto che la prima proroga fosse intervenuta dopo il 28 settembre 2007 non ne precludeva la rilevanza ai fini della maturazione del triennio di servizio; ha dedotto la illegittimità della diversa disposizione contenuta nell’avviso pubblico per la stabilizzazione, richiamato dal giudice dell’appello.

9. Da ultimo, in ipotesi di accoglimento della censura, ha riproposto le allegazioni sul proprio diritto alla stabilizzazione ed ha insistito per la condanna di CRI al pagamento dalla data della stabilizzazione del trattamento economico dovuto ai dipendenti a tempo indeterminato.

10. Il motivo è infondato.

11. Quanto al denunciato vizio procedurale, deve preliminarmente ribadirsi in questa sede il consolidato principio secondo cui la contestazione da parte del convenuto di tutti o di alcuni degli elementi della fattispecie costitutiva del diritto azionato rientra fra le mere difese, non soggette, nel rito del lavoro, al divieto del jus novorum in grado d’appello, il quale riguarda le domande e le eccezioni in senso stretto e non anche le difese e le eccezioni in senso lato (Cass. 28 maggio 2019 n. 14515; Cass. 01 ottobre 2018 n. 23796; Cass. 15 aprile 2015 n. 7621; Cass. SU 16 febbraio 2016 n. 2951).

12. Del resto, nella fattispecie di causa il richiamo al principio di non contestazione non è pertinente. CRI non contestava i fatti storici allegati dall’attore ma piuttosto le conseguenze giuridiche derivanti da quei fatti, che nel suo assunto difensivo, recepito dal giudice dell’appello, non fondavano il diritto alla stabilizzazione.

13. Quanto alla interpretazione della normativa di riferimento, questa Corte (Cassazione civile sez. lav., 13/03/2020, n. 7246) ha già chiarito che la platea dei destinatari delle procedure di stabilizzazione doveva essere cristallizzata alla data del 29 settembre 2006, poi differita dalla L. n. 244 del 2007 al 28 settembre 2007. Tale conclusione è fondata su un’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519 e della L. n. 244 del 2007, art. 3, comma 90, alla stregua della quale, così come affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 277 del 2013, la platea dei destinatari delle procedure di stabilizzazione deve essere cristallizzata alla data indicata dal legislatore, con esclusione di qualsiasi rilevanza di proroghe disposte successivamente a detta data, sia pure in relazione a contratti stipulati anteriormente.

14. A tale principio si intende assicurare continuità in questa sede.

15. L’esegesi delle norme sulla quale si fonda il ricorso, oltre a non essere rispettosa della ratio della norma – volta a sanare situazioni di precariato già sorte o in via di consolidamento – finisce per attribuire alle amministrazioni il potere di individuare esse stesse, attraverso le proroghe, i destinatari della procedura di accesso speciale, in spregio ai principi di imparzialità e trasparenza che devono presiedere al reclutamento del personale nell’ambito del rapporto di pubblico impiego ed in assenza di quelle ragioni di interesse pubblico che sole possono giustificare, in casi eccezionali individuati dal legislatore, la deroga al concorso pubblico per le assunzioni a tempo indeterminato.

16. Con la terza critica si impugna la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, comma 1 e della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato nonchè per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

17. Si contesta la quantificazione del compenso incentivante operata dalla Corte territoriale, attraverso la nomina di un CTU, nella quale le somme annualmente disponibili erano state divise considerando nel numero degli aventi diritto tutti i dipendenti a termine.

18. Il ricorrente ha esposto che l’importo attribuitogli era considerevolmente inferiore a quello che nei fatti era stato erogato ai dipendenti a tempo indeterminato, in quanto liquidato sulla base di una fictio iuris (la distribuzione delle risorse anche tra i dipendenti a termine) mentre i pagamenti erano avvenuti considerando i soli dipendenti di ruolo.

19. Sotto altro profilo, si evidenzia che la entità del fondo era stata sempre determinata annualmente in base al numero degli aventi diritto sicchè ove i dipendenti a termine fossero stati ammessi alla fruizione del compenso incentivante l’importo del fondo sarebbe stato sicuramente maggiore, come nei fatti accaduto con il CCNI 2011. Del pari rilevava la diversa distribuzione del fondo tra le varie aree, posto che nell’aera C vi era un esiguo numero di dipendenti a termine.

20. Il motivo è fondato.

21. Il criterio di calcolo del compenso incentivante spettante al T. adottato dal giudice dell’appello è puramente teorico: si divide il quantum delle risorse destinate negli anni di riferimento al pagamento del compenso incentivante per il numero complessivo dei dipendenti in servizio negli stessi anni, sia a termine che a tempo indeterminato.

22. Nei fatti, invece, le risorse disponibili sono state distribuite solo tra i dipendenti a tempo indeterminato, sull’erroneo presupposto che i dipendenti a termine non contribuissero al raggiungimento degli obbiettivi. Il compenso unitario percepito dal dipendente a tempo indeterminato è stato, pertanto, più elevato, in quanto calcolato su un divisore più basso, rispetto a quello riconosciuto al T. dalla sentenza.

24. L’obiettivo perseguito dal giudice dell’appello – la redistribuzione del fondo, a capienza limitata, tra tutti gli aventi diritto in modo che l’errore della amministrazione non comporti il superamento delle risorse disponibili – presupporrebbe la previa ripetizione di una quota di tutti i maggiori compensi corrisposti e la successiva distribuzione di quanto recuperato tra tutti gli aventi diritto originariamente esclusi, individuabili sulla base del dictum del giudice. Trattasi di determinazioni estranee all’ambito oggettivo e soggettivo della controversia.

25. Invece la possibilità che da una controversia relativa ai rapporti di pubblico impiego privatizzato derivino oneri aggiuntivi di spesa è contemplata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 61, commi 1 bis e successivi, che prevede i necessari interventi, in corso di causa e consequenziali, per il ripristino dell’equilibrio di spesa, ove necessario.

26. Il criterio adottato finisce con il determinare una discriminazione in danno dei dipendenti a termine che, all’esito della azione esercitata per vedere riconosciuti i loro diritti, si vedrebbero attribuito un compenso inferiore a quello percepito dai dipendenti a tempo indeterminato.

27. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in accoglimento del terzo motivo, respinti gli altri e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione affinchè, adeguandosi al principio sopra esposto, calcoli il quantum dovuto all’odierno ricorrente per compenso incentivante sulla base di quanto corrisposto ai dipendenti a tempo indeterminato comparabili.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo; dichiara inammissibile il primo, rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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