Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8961 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. II, 19/04/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 19/04/2011), n.8961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C. & C. s.a.s. di Ceravolo Giovanni Pietro (P. IVA: (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dall’Avv. Fuscà Antonio in virtù di procura speciale a

margine del ricorso ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Gianfranco Passalacqua, in Roma, v. G. Viteleschi, n. 26;

– ricorrente –

contro

C.D. (C.F.: (OMISSIS)), S.C.

(C.F.: (OMISSIS)), F.M. (C.F.

(OMISSIS)), tutti rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Ferdinando

Pietropaolo ed elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Piet

Jan Schutzmann, in Roma, via Livorno, n. 20;

– controricorrenti –

e

L.A., F.A. e A.M.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catanzaro

n. 188 del 2009, depositata il 14 marzo 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 7 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con la sentenza n. 188 del 2009 (depositata il 14 marzo 2009), la Corte di appello di Catanzaro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da C.D., S.C., L.A., F.M. e F.A. avverso la sentenza n. 372/1999 del Tribunale di Vibo Valentia, in parziale accoglimento dell’impugnazione e in parziale riforma della predetta sentenza, dichiarava tenuti e condannava i convenuti ad arretrare la porzione di fabbricato oggetto di giudizio secondo le prescrizioni imposte dalla sentenza n. 59/1993 del Tribunale di Vibo Valentia, confermata con sentenza n. 448/1995 della stessa Corte di appello di Catanzaro.

Avverso la menzionata sentenza di secondo grado n. 188/2009 (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (consegnato per la notifica a mezzo posta alle plurime parti intimate personalmente il 26 aprile 2010, con ultima notificata effettuata il 4 maggio 2010, con successivo deposito in data 21 maggio 2010) la C. & C. di Ceravolo Giovanni Pietro s.a.s., articolandolo su due motivi.

Si sono costituiti in questa fase con controricorso gli intimati C.D., S.C. e F.M., i quali hanno dedotto, in linea pregiudiziale, la nullità della notificazione dell’avverso ricorso e hanno insistito, in ogni caso, per il rigetto dello stesso alla stregua dell’infondatezza dei motivi formulati. Non risultano costituite le altre parti intimate.

Con il primo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, allegando la pretesa legittimità della decisione assunta in primo grado che, dopo aver riconosciuto che il giudicato formatosi sulle pronunce che avevano deciso il precedente contenzioso relativo al preesistente fabbricato edificato dal dante causa di essa società ricorrente copriva il dedotto e deducibile relativamente all’accertamento del diritto al rispetto delle distanze con la conseguenza che si doveva considerare legittima la porzione di costruzione realizzata a distanza inferiore a quella legale, aveva escluso che tale effetto si fosse, nella specie, prodotto poichè vi era una porzione di fabbricato posta al livello del terreno perchè interrata su tre lati, cosicchè la stessa non avrebbe potuto essere considerata sporgente e non era soggetta alle regole sui distacchi tra fabbricati. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 356 e 210 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sull’assunta indebita utilizzazione da parte della Corte territoriale di un documento, e segnatamente della relazione di c.t.u. espletata nel corso del giudizio deciso con sentenza passata in giudicato, di cui era stata disposta l’acquisizione in una fase in cui il processo di appello non si era ancora correttamente e validamente incardinato per effetto della nullità della prima notifica dell’atto introduttivo. Ritiene il relatore che (al di là della valutazione di fondatezza della questione di nullità della notificazione del ricorso per cassazione notificato alle parti personalmente, quanto meno nei confronti di quelle non costituitesi in questa fase, potendosi ritenere sanato il vizio nei riguardi di quelle costituite: cfr. Cass. SS.UU. n. 12593/1993 e Cass. n. 8071/1997) sembrano sussistere, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare (in modo assorbente) inammissibile il ricorso, con riferimento a tutti i motivi proposti, nelle forme del procedimento camerale, per manifesta inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e ratione temporis applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs.).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), si rileva che il ricorrente non si è attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., non avendo supportato i due distinti motivi proposti rispettivamente con la necessaria sintesi dell’assunto vizio motivazionale (quanto al primo) e con il quesito di diritto specificamente attinente alla violazione processuale prospettata (con riguardo al secondo).

Ne consegue, quindi, che detti motivi devono considerarsi inammissibili, non risultando il secondo sorretto da quesito la cui formulazione deve essere idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009), e non risultando – quanto al primo – specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, nè essendo indicati i profili di rilevanza di tali fatti, essendosi il ricorrente limitato ad enunciare la necessaria esaustività della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che avrebbe dovuto portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa minore (cioè i fatti rilevanti su cui vi sarebbe stata omissione) e, soprattutto, senza svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della specifica censura.

In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. (nella versione ante L. n. 69 del 2009), potendosi ravvisare l’inammissibilità in toto del ricorso”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici; precisandosi, altresì, che la questione dei vizi di nullità della notificazione del ricorso per cassazione alle parti non costituite può ritenersi superata, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, stante l’evidente inammissibilità del ricorso stesso (cfr. Cass., SU, ord. n. 6826/2010);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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