Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 896 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 20/01/2021), n.896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11178-2020 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIAGRAZIA STIGLIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 510/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso depositato il 29.11.16 B.L., cittadino della Costa D’Avorio, propose ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego dell’istanza di riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria che il Tribunale di Bari rigettò, confermando la valutazione di non credibilità dell’istante effettuata dalla Commissione.

Con sentenza depositata il 3.3.2020 la Corte d’appello ha respinto l’appello del Lemofi, osservando che: non era riconoscibile la protezione internazionale e quella sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b) data l’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente in quanto incoerente e contraddittorio (il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal paese d’origine per il timore di essere ucciso da esponenti di un gruppo politico che appoggiava il Presidente dello Stato – essendo stati uccisi due suoi fratelli – anche perchè in caso di rimpatrio egli avrebbe cercato di vendicare l’uccisione dei fratelli da parte dei suddetti esponenti); tale inattendibilità esimeva il giudice dall’onere della cooperazione istruttoria; non era riconoscibile la protezione sussidiaria, suddetto art. 14, ex lett. c) poichè dai report internazionali non si desumeva una situazione di violenza generalizzata in Costa D’Avorio; non era riconoscibile la protezione umanitaria in mancanza dell’allegazione di condizioni individuali di vulnerabilità.

B.L. ricorre in cassazione con due motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo è denunziata violazione degli artt. 115,214 ss., 118 e 258 c.p.c., art. 2699 c.c., art. 1, punto A2 Conv. Di Ginevra, D.Lgs. n. 251, art. 2, lett. c) e f), e art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 251, art. 3, comma 5, avendo la Corte d’appello ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente circa la matrice politica dell’omicidio, perpetrato dal gruppo FRCI, dei suoi due fratelli, uno dei quali era autista a servizio di un generale inviso al gruppo politico vicino al Presidente, uccisi in due distinti scontri a fuoco nel corso dei quali rimase uccisa anche la figlia di 4 anni del ricorrente.

Quest’ultimo lamenta altresì che la Corte di merito avrebbe potuto desumere tale vicenda dal certificato di morte dei fratelli in ordine all’indicazione del lavoro di uno di essi (autista) e tenuto conto delle fonti informative sul paese d’origine circa gli omicidi compiuti dal suddetto gruppo FRCI, sicchè la motivazione della sentenza impugnata era solo apparente.

Con il secondo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 5, comma 6, poichè la Corte territoriale, nell’escludere la protezione umanitaria, non aveva effettuato la comparazione tra l’attuale situazione del ricorrente e quella in caso di rimpatrio in ordine alla privazione dei diritti fondamentali. Al riguardo, il ricorrente, a sostegno dell’istanza di riconoscimento del permesso umanitario, invoca la vicenda dell’uccisione dei suoi due fratelli quale indice di vulnerabilità, e l’integrazione sociale raggiunta attraverso un contratto di lavoro a tempo indeterminato dal 2017 con le mansioni di inserviente da cucina.

Il primo motivo è inammissibile, avendo il Tribunale pronunciato, anche esaminando i documenti prodotti, sui fatti oggetto del ricorso ed escluso i presupposti di ogni forma di protezione internazionale per la ritenuta inattendibilità del racconto reso innanzi alla Commissione territoriale. La censura tende, comunque, al riesame dei fatti in ordine all’interpretazione dei documenti esaminati ed alle fonti informative utilizzate dal Tribunale.

Il secondo motivo è del pari inammissibile, perchè non è stata censurata la ratio della decisione impugnata ovvero il difetto d’integrazione nel nostro paese. Invero, la Corte territoriale non ha effettuato la comparazione tra l’attuale situazione del ricorrente e quella che vi sarebbe in caso di rimpatrio, poichè la decisione di primo grado non era stata impugnata con riguardo al profilo dell’integrazione sociale.

Nulla per le spese, in quanto il Ministero dell’Interno non ha depositato il controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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