Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8955 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/03/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 31/03/2021), n.8955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21467/2017 proposto da:

L.G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA ROSARIA CIPRIANO;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTRANTO 18, presso lo studio

dell’avvocato ROSSELLA RAGO, rappresentata e difesa dall’avvocato

PASQUALE LAMONICA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 27/04/2017 R.G.N. 225/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 112/2017, depositata il 27 aprile 2017, la Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto la domanda proposta da L.G.V. nei confronti di ANAS S.p.A. per ottenere l’inquadramento nella superiore posizione organizzativa A (“responsabile amministrativo) dell’Area Quadri, in luogo della posizione A1 (“coordinatore amministrativo”) in cui risultava inquadrato, con le pronunce conseguenti;

– che la Corte di appello, esaminate le risultanze istruttorie e le declaratorie contrattuali nei loro elementi distintivi, ha escluso il diritto del ricorrente al superiore inquadramento, poichè esso richiedeva la preposizione a complesse unità operative, ad uffici di particolare rilevanza e di notevole complessità, ovvero ad aree in cui il ruolo di vertice non è di direzione di un singolo ambito di competenza ma di intera organizzazione di più settori, mentre lo stesso L.G., nel proprio atto introduttivo, aveva dedotto di essere l’unico e solo responsabile amministrativo dell’Ufficio Espropri (e, quindi, di essere preposto ad un ufficio e non ad un complesso di uffici), descrivendo un’attività che, in quanto priva di qualsiasi connotato di autonomia funzionale, era da ritenersi correttamente ricompresa nel livello di appartenenza;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il L.G. con tre motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito ANAS S.p.A. con controricorso;

rilevato:

che con il primo motivo viene dedotto il vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che il ricorrente non avesse proceduto ad una specifica contestazione della sentenza di primo grado, quando invece con l’atto di appello ne erano stati posti in evidenza gli errori di applicazione dell’art. 2103 c.c. e di interpretazione delle norme collettive regolatrici della fattispecie; per avere inoltre omesso ogni riferimento a queste ultime, nel proprio percorso motivazionale, e avere affermato l’inesistenza di un’idonea prova senza considerare gli ordini di servizio prodotti dal ricorrente, non disconosciuti nè contestati dalla società;

– che con il secondo viene ancora dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.: la Corte di appello aveva errato a considerare non assolto l’onere della prova, poichè i documenti prodotti (ordini di servizio e provvedimenti dirigenziali) dimostravano come il ricorrente fosse stato adibito alle mansioni superiori, ed errato altresì a ritenere infondata la domanda, poichè la società datrice di lavoro non aveva fornito al proprio assunto, pur essendone gravata, alcun supporto probatorio;

– che con il terzo, deducendosi la violazione e falsa applicazione di varie norme collettive, dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 36 Cost., il ricorrente si duole della mancata nomina di un consulente tecnico contabile da parte della Corte di appello, sebbene la domanda dovesse ritenersi fondata ed egli avesse conseguentemente diritto alle differenze retributive richieste;

osservato:

in via preliminare che devono essere disattesi i rilievi di nullità del controricorso formulati dal ricorrente con memoria ex art. 380 bis c.p.c.: ANAS risulta, infatti, avere depositato attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, dell’atto e dei documenti nello stesso indicati; inoltre il ricorrente, al quale il controricorso è stato notificato all’indirizzo di posta elettronica dal medesimo indicato (e che ha avuto notizia effettiva dell’atto, come emerge dalla memoria), non deduce che l’indirizzo pec adottato dalla controparte, mediante estrazione dal pubblico elenco (OMISSIS), sia diverso da quello risultante dal ReGindE;

– che il primo e il secondo motivo, là dove denunciano il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, risultano inammissibili per la preclusione stabilita dall’art. 348 ter c.p.c., u.c. (c.d. “doppia conforme”); nè il ricorrente, al fine di evitare la declaratoria di inammissibilità, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi);

– che inoltre i medesimi motivi, come anche il terzo, dietro lo schermo della denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione a varie norme di diritto e di contratti e accordi collettivi, lungi dal dedurre una violazione in senso proprio, sotto il profilo dell’affermazione o negazione dell’esistenza della norma in contestazione, ovvero di una falsa applicazione determinata da un errore di sussunzione, hanno inteso rimettere in discussione l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte di merito, sollecitando una rivisitazione e una diversa valutazione del materiale di prova, testimoniale e documentale, acquisito al giudizio e cioè l’esercizio di un’attività giurisdizionale che è estranea alla funzione della Corte di legittimità e al ruolo che la stessa riveste nell’ordinamento;

– che, d’altra parte, è del tutto consolidato il principio, per il quale compete al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e l’efficacia concludente delle prove, scegliere – tra le complessive risultanze del processo – quelle ritenute più idonee a dimostrare la verità dei fatti, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le molte conformi);

– che la sentenza impugnata, diversamente da quanto dedotto con il secondo motivo, ha poi correttamente applicato le regole di ripartizione dell’onere probatorio, poichè è il lavoratore, il quale “agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore”, come nella specie, che “ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto” (Cass. n. 8025/2003); nè il ricorrente ha indicato le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contrasto con tali regole di riparto e ne costituirebbero violazione;

– che la sentenza risulta altresì avere correttamente applicato il procedimento c.d. “trifasico”, esaminando il contenuto delle declaratorie contrattuali in relazione ai livelli e alle qualifiche in discussione, ponendone in rilievo i tratti differenziali e ad esse rapportando, con adeguata motivazione, gli esiti dell’istruttoria svolta;

– che infine il terzo motivo è inconferente, là dove censura la sentenza di appello per non avere dato ingresso ad una consulenza tecnica contabile, avendo la Corte escluso la fondatezza della domanda e, pertanto, il presupposto essenziale che avrebbe potuto determinare la necessità di un accertamento di tale natura;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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