Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8952 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/03/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 31/03/2021), n.8952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 733/2020 proposto da:

A.M.Z., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ORNELLA FIORE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1014/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/06/2019 R.G.N. 1145/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte territoriale di Torino, con sentenza pubblicata il 17.6.2019, ha rigettato l’appello proposto da A.M.Z., cittadino (OMISSIS), avverso la decisione di primo grado, resa il 26.4.2018, che aveva respinto il ricorso del medesimo A. avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno-Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Novara, con il quale erano state disattese le domande del medesimo dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha confermato l’assunto del giudice di prima istanza, secondo il quale – come già ritenuto dalla Commissione territoriale – il racconto del ricorrente sarebbe viziato da contraddizioni; ha osservato, inoltre, che “le ragioni addotte dal medesimo a sostegno dell’espatrio non integrano in alcun modo il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiose, razziali o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, secondo quanto dispone del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, ma appaiono collegate ad una vicenda familiare precaria per ragioni economiche compromesse, che hanno spinto l’ A. a cercare fortuna verso l’Europa”, avendo, peraltro, il medesimo dichiarato di non aver ricevuto minacce da parte di nessuno, o costrizioni che possano essere ricomprese nella normativa sulla quale si basano i provvedimenti;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha escluso che nel luogo di provenienza dell’appellante – “la parte interna della provincia del Punjab pakistano” – fosse riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata tale da creare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile; pertanto, ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perchè “la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, nè ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere”;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.M.Z. articolando due motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis; D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6; art. 16 della direttiva 2013/32/UE, “per la falsa applicazione delle norme concernenti l’omessa audizione personale del richiedente”, avendo i giudici di merito evidenziato che la narrazione del richiedente era stata caratterizzata da aspetti contraddittori e che il medesimo “non avesse chiarito quali dichiarazioni sarebbero state male interpretate dalla Commissione ed avesse, anzi, introdotto elementi nuovi che, oltre a non trovare riscontro alcuno nella sua narrazione, appaiono intrinsecamente contraddittori”, senza considerare che, nell’atto di appello, “la difesa provvedeva a chiarire le apparenti contraddizioni, ad indicare quali fossero le dichiarazioni male interpretate, nonchè ad evidenziare l’importanza dei nuovi elementi della storia del richiedente asilo, completamente ignorati dall’autorità giudicante”;

2. con il secondo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e art. 32 Cost., “per la violazione dei criteri legali per il riconoscimento della protezione umanitaria”, avendo la Corte di merito erroneamente affermato che “non risulta provato che il rimpatrio possa esporre l’appellante, anche in considerazione del luogo di nascita e provenienza, a trattamenti quali quelli contemplati nella normativa di riferimento”, senza tuttavia addurre alcuna motivazione alla base del suo ragionamento se non quella del “non particolare inserimento sociale o lavorativo, tale da giustificare di per sè il riconoscimento della protezione umanitaria”;

3. il primo motivo è inammissibile, in quanto – premessa la non necessità della rinnovazione dell’audizione del richiedente in sede giudiziale, conformemente agli arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 17717/2018), condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – lo stesso difetta del requisito di specificità (o autosufficienza), non essendo stato precisato nel ricorso quali fossero “gli elementi ulteriori rispetto a quelli già esaminati dal Tribunale e dalla Commissione Territoriale, idonei a far valutare diversamente le dichiarazioni che l’appellante ha reso nell’ambito dell’istruttoria amministrativa”; ed invero, il ricorrente asserisce di avere provveduto a “chiarire nell’atto di appello le apparenti contraddizioni rilevate dal primo giudice” ed altresì “ad evidenziare l’importanza dei nuovi elementi della storia del richiedente asilo, completamente ignorati dal giudicante”. Ma anche a prescindere dalla mancata produzione dell’atto di gravame, neppure trascritto o indicato tra l’elenco dei documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso di legittimità, in violazione, appunto, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (cfr., tra le altre, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare compiutamente la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente – nel ricorso (v., in particolare, pag. 11) si fa espresso riferimento a presupposti di fatto che riguardano la credibilità del racconto fornito dal richiedente, espressamente negata dai giudici di merito, con un apprezzamento che non può essere rivisitato in sede di legittimità in mancanza di censure appropriate (cfr., tra le molte, Cass. nn. 8020/2020; 29279/2019). E, peraltro, le vicende addotte a sostegno della pretesa sono di carattere strettamente privato (la persistenza dello stato di tossicodipendenza del padre e le conseguenze attuali di tale condizione sul benessere e sulla incolumità dei propri familiari e conviventi; la cessione della casa ai creditori per necessità economiche) e, rispetto ad esse, il ricorrente non ha fornito alcun elemento da cui si possa evincere l’impossibilità di ottenere tutela dalle autorità dello Stato (v. Cass. n. 14680/2020);

4. egualmente inammissibile, per difetto di specificità, deve considerarsi il secondo mezzo di impugnazione, poichè il ricorrente non ha chiarito nel ricorso dove e quando, nel corso del processo, avrebbe fornito elementi delibatori a sostegno della circostanza del proprio inserimento, anche lavorativo, in Italia, o di particolari situazioni afferenti a beni primari dello stesso ovvero di una situazione di particolare vulnerabilità, anche di carattere temporaneo, da tutelare (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 25311/2020; 7831/2019);

5. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

6. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, poichè l’Avvocatura dello Stato ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

7. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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