Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8952 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano P. – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17534-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SAVINA BOMBOI e ALBERTO PICCININI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1171/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/01/2016, R.G.N. 740/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

con sentenza in data 19 gennaio 2016, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione al decreto dello stesso Tribunale che le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 11.159,00 oltre accessori di legge, in favore del dipendente C.G. per retribuzioni dal 1 ottobre 2012 al 28 febbraio 2013, sul presupposto dell’illegittimità del trasferimento del ramo di azienda dalla predetta società a Hewlett Packard Distributed Computing Service (HP – DCS) s.r.l., accertata dalla sentenza n. 129/2012 della medesima Corte, che l’aveva pure condannata alla reintegrazione del lavoratore, che aveva formalmente offerto la propria prestazione con lettere del 6 aprile 2012 e del 9 maggio 2013;

avverso tale sentenza la società, con atto notificato il 13 luglio 2016, ricorreva per cassazione con tre motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 431 e 282 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto titolo idoneo all’emissione del decreto ingiuntivo opposto la sentenza 8 marzo 2012 della stessa Corte d’appello, in quanto priva di esecutività in via provvisoria fino alla formazione del giudicato (con sentenza della Corte di Cassazione 31 luglio 2015, n. 16262), siccome non di condanna ma di mero accertamento dell’illegittimità della cessione di ramo d’azienda da Telecom Italia s.p.a. a HP – DCS s.r.l., con ordine di ripristino del rapporto di lavoro di C.G., sempre rimasto nella titolarità datoriale della società cedente: con la conseguente inesistenza di alcun obbligo, prima del giudicato, di ripristino del rapporto di lavoro e pertanto di pagamento delle retribuzioni ovvero di insorgenza di una responsabilità per risarcimento del danno (primo motivo);

2. esso è infondato;

2.1. secondo consolidato orientamento, meritevole di continuità in quanto condiviso per la sua correttezza, questa Corte reputa che, prima ancora del passaggio in giudicato, qualsiasi pronuncia giurisdizionale sia dotata di propria autorità, dato che la sentenza esplica un’efficacia di accertamento al di fuori del processo. Sicchè, la stabilità della sentenza impugnata, anche se provvisoria, costituisce naturale proprietà dell’atto giurisdizionale, che esprime la volontà della legge nel caso concreto, e con questa l’esigenza di una sua immediata, pur se temporanea, attuazione, nell’attesa del formarsi del giudicato e indipendentemente da questo (da ultimo: Cass. 25 giugno 2018, n. 16694; Cass. 3 luglio 2019, n. 17785). Nè a ciò osta l’eventuale contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi, in gradi differenti, dei procedimenti di accertamento del diritto e del quantum conseguente, posto che tra essi sussiste solo un rapporto di pregiudizialità in senso logico, e non anche in senso tecnico-giuridico, sicchè non ricorre un’ipotesi di sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.: essendo eventualmente applicabile l’art. 337 c.p.c., comma 2 (di sospensione facoltativa, come si desume dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l’art. 282 c.p.c., poichè il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso rispetto allo stato iniziale della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado: Cass. 3 novembre 2017, n. 26251; Cass. 4 gennaio 2019, n. 80), che, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, ne prevede soltanto la possibilità di sospensione facoltativa, con esclusione del rischio di un conflitto di giudicati in quanto, a norma dell’art. 336 c.p.c., comma 2, la riforma o la cassazione della sentenza sull’an debeatur determina l’automatica caducazione di quella sul quantum (Cass. s.u. 26 luglio 2004, n. 14060; Cass. 21 febbraio 2017, n. 4442);

3. la ricorrente deduce poi nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale, non osservando il principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, accertato il diritto ad un risarcimento del danno del lavoratore, che aveva invece domandato (tanto nel ricorso in via monitoria, tanto nelle memorie difensive nei giudizi di opposizione in primo grado e di appello) la condanna della datrice cedente il ramo d’azienda al pagamento delle retribuzioni maturate nello stesso periodo dal 1 ottobre 2012 al 28 febbraio 2013 (secondo motivo);

4. anch’esso è infondato;

4.1. occorre premettere, in linea generale, il principio per il quale il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità dalle indicazioni delle parti, incorrendo nel vizio di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta nè allegata in giudizio dalle parti (Cass. 17 luglio 2007, n. 15925; Cass. 3 agosto 2012, n. 13945; Cass. 21 febbraio 2019, n. 5153);

4.2. nel caso di specie, non sussiste la violazione denunciata, per avere la Corte territoriale esercitato un tale potere di qualificazione giuridica della domanda del lavoratore, sulla base dell’identità dei fatti allegati senza immutarli nè alterarli: senza pertanto integrazione della violazione denunciata, la quale, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8148);

4.3. in accoglimento sul punto del motivo di appello di Telecom Italia s.p.a. (illustrato al p.to 2.3. di pg. 2 della sentenza), essa ha, infatti, qualificato come risarcitorio il credito pecuniario del lavoratore (per le ragioni esposte al p.to 6. di pgg. 4 e 5 della sentenza), che aveva ottenuto dal Tribunale di Bologna, conformemente alla sua domanda nei confronti della predetta società, un decreto ingiuntivo di Euro 11.159,00 oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di retribuzioni dal 1 ottobre 2012 al 28 febbraio 2013 (sulla base della sentenza n. 129/2012 della medesima Corte felsinea, di accertamento dell’illegittimità del trasferimento del ramo di azienda dalla citata società a HP – DCS, con ordine di ripristino del rapporto di lavoro con la cedente), avverso il quale Telecom Italia s.p.a. aveva proposto opposizione, rigettata dal Tribunale con la sentenza (che ribadiva la natura retributiva del credito pecuniario del lavoratore) gravata di appello, rigettato con la decisione, qui ricorsa;

4.4. in ogni caso, questa Corte ha risolto la questione relativa alla natura, se retributiva ovvero risarcitoria, dei crediti che i lavoratori abbiano ingiunto in pagamento a Telecom Italia s.p.a., a titolo di emolumenti loro dovuti per effetto del mancato ripristino del rapporto da parte della società predetta (nonostante l’ordine del Tribunale con la citata sentenza di accertamento di illegittimità della cessione del ramo d’azienda) con decorrenza dalla messa in mora da parte dei lavoratori medesimi, nel senso della natura retributiva e non più risarcitoria (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 25 giugno 2018, n. 16694), sulla scorta dell’insegnamento posto recentemente dalle Sezioni unite civili di questa Corte (sentenza 7 febbraio 2018, n. 2990): con la conseguente indetraibilità di quanto percepito dai lavoratori a titolo di retribuzione per l’attività prestata alle dipendenze della predetta società, già cessionaria del ramo d’azienda; sicchè, essa ha ritenuto che, in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente a detto accertamento ed alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non produca effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784; Cass. 7 agosto 2019, n. 21158);

5. la ricorrente deduce infine nullità della sentenza per violazione dell’art. 230 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ammesso l’interrogatorio formale del lavoratore, espressamente richiesto dalla società datrice con specifica capitolazione di circostante in primo grado (e reiterazione in appello), in merito alla prestazione di attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria del ramo d’azienda, ai fini della detrazione dell’aliunde perceptum (terzo motivo);

5.1. esso è assorbito dalla ragione di infondatezza esposta all’ultimo capoverso del precedente mezzo;

6. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con compensazione delle spese di giudizio tra le parti, per la novità della soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità, in epoca successiva alla proposizione del ricorso e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta e dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra le parti. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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