Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8951 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/03/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 31/03/2021), n.8951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 588/2020 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 6,

presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE COMPETENTE AL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3488/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/05/2019 R.G.N. 682/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte territoriale di Roma, con sentenza pubblicata il 24.5.2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da F.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva disatteso le domande del medesimo, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, premesso che l’appellante ha dichiarato di essere nato a (OMISSIS) e di essere di religione musulmana e di etnia (OMISSIS), ha osservato che i fatti narrati dal medesimo attengono alla sfera personale ed appaiono “vaghi nei contenuti e scarsamente credibili, avendo egli riferito di avere lasciato il Ghana a causa delle tensioni familiari, per essersi rifiutato di andare a lavorare nei campi; di essere stato colpito dallo zio con un martello e richiuso in una stanza, dalla quale era riuscito a fuggire e di avere raccolto i soldi per partire chiedendo l’elemosina”; pertanto, la Corte di merito ha reputato che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non potendosi ravvisare, nella fattispecie, atti di persecuzione riconducibili a motivi politici, o di razza, di religione o di appartenenza ad un gruppo sociale;

3. la Corte ha, altresì, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c), poichè l’appellante non ha rilasciato alcuna dichiarazione dalla quale poter evincere la sussistenza di una condanna a morte nei confronti dello stesso, o il rischio di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti; nè dal racconto del medesimo è emerso il timore di una minaccia grave alla vita o alla persona a causa di situazioni di conflitto armato in corso e tali da determinare un concreto rischio per la vita dell’appellante nel caso di rientro nel Paese di origine;

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità fisica o psicologica atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; e che, peraltro, il F. “non sembra essersi inserito in Italia neanche dal punto di vista lavorativo, avendo egli dichiarato di vivere a Pontinia e di non fare nulla”;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso F.A. articolando tre motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. n. 13 del 2017 “per mancata convocazione in Corte di Appello per il libero interrogatorio in sede giudiziale in assenza della videoregistrazione della audizione personale in Commissione, che non è stata resa disponibile da quest’ultima”;

1.1. la censura non è meritevole di accoglimento; ed invero, posto che il ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine al fatto che la Commissione non avrebbe “reso disponibile, la videoregistrazione”, va osservato che l’obbligo per il giudice di fissare l’udienza di comparizione delle parti, a pena di nullità per violazione del principio del contraddittorio, non implica l’automatica necessità di dare corso all’audizione: v., tra le altre, Cass. n. 5973/2019, in cui si sottolinea che il giudice può esimersi dalla audizione del richiedente se al medesimo sia stata data la facoltà – come nel caso di specie, in cui lo stesso ricorrente ha ammesso di essere stato sentito personalmente (v. pag. 3 del ricorso) in sede amministrativa – di rendere le proprie dichiarazioni dinanzi alla Commissione territoriale e siano disponibili il verbale, ovvero la trascrizione del colloquio e la documentazione acquisita; ed altresì se la domanda sia manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo, oltre che da quelli eventualmente assunti nella fase giudiziale;

2. con il secondo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11, lett. E) ed f) “per carenza e lacunosità della motivazione della motivazione per avere la Corte di Appello rigettato la richiesta di status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita””;

2.2. il motivo è inammissibile; premesso, infatti, che in nessuna parte della motivazione della sentenza oggetto del presente giudizio si trova scritto che “va rigettata la richiesta dello status di rifugiato non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita”, i giudici di seconda istanza hanno, invece, condivisibilmente motivato il rigetto per i motivi esplicitati in narrativa ed hanno confermato la valutazione già compiuta in prima istanza dell’esame delle dichiarazioni del richiedente, ritenendole non credibili e, comunque, non idonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta. Pertanto, la censura, che non specifica i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, che si assumono violati nella valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese, costituisce una mera contrapposizione alla valutazione effettuata dai giudici di merito, preclusa anche per la ricorrenza della c.d. “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c., u.c.; v., tra le molte, Cass. n. 23021/2014);

3. con il terzo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a); art. 4 e art. 14, comma 1, lett. c), perchè “il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria è stato emesso sulla base di un giudizio prognostico futuro ed incerto e non sullo stato effettivo del Paese di origine”;

3.3. il motivo è inammissibile, perchè del tutto generico e non in grado di incidere le rationes decidendi, compiutamente e condivisibimente motivate e basate, quanto all’esclusione di confitti armati nella zona da cui proviene il ricorrente, sul rapporto aggiornato di Amnesty International (v. ultima pagina della sentenza);

4. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

5. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, poichè l’Avvocatura dello Stato ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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