Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8950 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4141/2017 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO e ROBERTO ROMBI;

– ricorrente –

contro

T.D., B.A.A., C.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio

dell’avvocato SAVINA BOMBOI, che li rappresenta e difende unitamente

agli avvocati BRUNO COSSU e ALBERTO PICCININI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 697/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/08/2016, R.G.N. 890/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Bologna accoglieva i ricorsi in opposizione proposti da Telecom Italia s.p.a. e, per l’effetto, revocava i decreti ingiuntivi ottenuti da B.A.A., C.P. e T.D. per il pagamento, rispettivamente, di Euro 17810,02, Euro 13720,63, Euro 15.187,21 sulla base di sentenza n. 129/2012 della Corte d’appello di Bologna, passata in giudicato, che aveva dichiarato la nullità della cessione del loro rapporto di lavoro ad HP DCS ed ordinato il ripristino del rapporto di lavoro in capo alla cedente Telecom Italia s.p.a., cui i lavoratori avevano, con lettera del 6.4.2012, inutilmente offerto la loro prestazione di lavoro. Il Tribunale poneva a fondamento di detta revoca la circostanza, incontestata, che i lavoratori avevano continuato a prestare attività lavorativa alle dipendenze della società cessionaria, da cui erano stati regolarmente retribuiti, e l’ulteriore considerazione che non era stato assolto dai predetti l’onere probatorio relativo ad eventuali danni sofferti per avere percepito somme inferiori rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della cedente;

2. la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 19.8.2016, accoglieva il gravame dei lavoratori, sul rilievo che gli stessi non avevano continuato a prestare attività lavorativa alle dipendenze della società cessionaria dalla quale non erano stati retribuiti con riferimento ai periodi dedotti in causa, essendo cessati i relativi rapporti di lavoro per dimissioni, collocamento in mobilità, risoluzione consensuale incentivata in epoca addirittura antecedente alla emissione della sentenza 129/2012;

2.1 la Corte qualificava come risarcitoria l’azione intentata dagli appellanti e riteneva che non fossero emersi fatti integranti il cd. aliunde perceptum e/o percipiendi idonei ad elidere o diminuire il danno. Per la B. e per il T., in particolare, non potevano essere portate in detrazione le somme percepite a titolo di indennità previdenziali alla stregua di consolidato orientamento di legittimità, nè erano stati forniti elementi che consentissero di trasmettere gli atti al competente Istituto previdenziale;

2.2. anche le modalità di risoluzione del rapporto con la cessionaria dovevano, secondo la Corte, considerarsi irrilevanti ai fini voluti, in quanto il rapporto con quest’ultima era di mero fatto, come tale inidoneo ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere e rimasto in vita con il solo cedente, sebbene quiescente di fatto per effetto della illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale di nullità della stessa;

3. di tale decisione domanda la cassazione la s.p.a. Telecom Italia, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resistono, con controricorso, i lavoratori che hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, la società denunzia violazione degli artt. 2112 e 2126 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la condotta dei lavoratori che avevano prestato il proprio consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro con la cessionaria fosse irrilevante per l’odierno giudizio: richiama orientamento di legittimità in forza del quale il diritto al risarcimento del danno in favore dei lavoratori non sussiste qualora gli stessi abbiano accettato l’estinzione dell’unico rapporto di lavoro, di fatto proseguito con l’impresa cessionaria, sottoscrivendo insieme a quest’ultima un verbale di messa in mobilità, situazione equiparabile a quella che aveva interessato la posizione dei tre lavoratori; sostiene che la estinzione è il risultato di una manifestazione di volontà del medesimo lavoratore, che non può pretendere il pagamento di una controprestazione retributiva per un rapporto il cui sinallagma genetico sia stato consensualmente, ovvero addirittura unilateralmente, risolto;

2. con il secondo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha dichiarato il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno, quando i lavoratori avevano richiesto il pagamento delle retribuzioni, sostenendo che la Corte d’appello non si è limitata ad interpretare la domanda giudiziale, ma ne ha operato una totale trasmutazione, poichè i lavoratori avevano espressamente qualificato la loro azione in termini di adempimento per ottenere la controprestazione, non potendo nutrirsi dubbi sul fatto che gli stessi avessero qualificato la loro azione quale di adempimento della prestazione;

3. con il terzo motivo, ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c., nella parte in cui la stessa non ha rilevato l’assenza di danno differenziale in ragione dell’incentivo all’esodo percepito dalla B. e dal T. ed ha ritenuto che le indennità di mobilità, assistenziali e previdenziali non siano deducibili a titolo di aliunde perceptum;

4. il ricorso è infondato;

5. in ordine al primo motivo, è sufficiente osservare come il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente, sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale (così Cass. 29092/2019);

6. con riguardo alle censure formulate nel secondo motivo, va considerato che i fatti posti a fondamento della domanda sono rimasti gli stessi e peraltro vanno richiamati i pertinenti principi affermati da Cass. 29092/2019, che ha evidenziato come debba essere ritenuta la natura retributiva e non più risarcitoria dei crediti che il lavoratore ha ingiunto in pagamento a Telecom Italia s.p.a. a titolo di emolumenti allo stesso dovuti per effetto del mancato ripristino del rapporto da parte della società predetta in seguito a declaratoria dell’illegittimità della cessione di azienda, (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 25 giugno 2018, n. 16694) sulla scorta dell’insegnamento posto recentemente dalle Sezioni unite civili di questa Corte (sent. 7 febbraio 2018, n. 2990). Quest’ultima pronuncia ha affermato il seguente principio: “in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni,…, a decorrere dalla messa in mora”; “a tale indirizzo è stato riconosciuto valore di diritto vivente sopravvenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda”;

6.1. ciò denota anche la mancanza di un interesse alla censura, poichè, pure in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di ottenere, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole (Cass. 14878/2018, con richiamo a Cass. n. 11731 del 27/05/2011, n. 14279 del 08/06/2017), nella specie non conseguibile per le svolte considerazioni;

7. quanto al terzo motivo, che denota profili di inammissibilità per non essere stata oggetto di censura una delle due rationes decidendi (“genericità della deduzione con riguardo all’arco di tempo, non lungo, interessato dal presente giudizio”), va richiamata ulteriormente Cass. 29092/2019 per una ricostruzione sistematica della fattispecie: “Acclarato che dopo la sentenza che ha dichiarato insussistenti i presupposti per il trasferimento del ramo d’azienda, in uno alla messa in mora operata del lavoratore, vi è l’obbligo dell’impresa (già) cedente di pagare la retribuzione e non di risarcire un danno, non vi è norma di diritto positivo che consenta di ritenere che tale obbligazione pecuniaria possa considerarsi, in tutto o in parte, estinta per il pagamento della retribuzione da parte dell’impresa originaria destinataria della cessione. 8.1. Invero la più approfondita disamina giuridica qui svolta induce al superamento di un primo orientamento di ritenuta detraibilità, dal credito retributivo spettante al lavoratore validamente offerente all’originario datore la propria prestazione ingiustificatamente rifiutata, della retribuzione percepita dal datore (già cessionario), sul presupposto dell’unicità di prestazione lavorativa e di obbligazione, con la qualificazione del relativo pagamento alla stregua di un adempimento del terzo, a norma dell’art. 1180 c.c. (Cass., sez. VI, 31 maggio 2018, n. 14019; Cass., sez. VI, 1 giugno 2018, n. 14136: p.to 6 in motivazione).”… “Sicchè l’esistenza di un debito proprio, generato dall’obbligo di retribuire le prestazioni del lavoratore ceduto di cui ha concretamente fruito, esclude in radice la possibilità di configurare un adempimento in qualità di terzo da parte del destinatario dell’originaria cessione”;

7.1. pertanto, in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa; non si pone, dunque, più un problema di compensatio lucri cum damno per ogni ipotesi di aliunde perceptum, una volta escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio, titolo su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento (così Cass. 29092/2019 cit.);

7.2. a ciò va aggiunta la considerazione che altro è il caso delle conseguenze risarcitorie specificamente previste per il licenziamento illegittimo, in cui, nella ricostruzione delle Sezioni unite 2990/2018, la disciplina che ascrive all’area del risarcimento del danno le indennità dovute dal datore di lavoro si configura in termini derogatori e peculiari;

8. il ricorso va, pertanto, respinto;

9. le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti, per la intervenuta rivisitazione dell’indirizzo giurisprudenziale sulla questione in periodo contiguo al deposito del presente ricorso;

10. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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