Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8950 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. I, 14/04/2010, (ud. 19/11/2009, dep. 14/04/2010), n.8950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10213/2004 proposto da:

D.G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LAURENTINA 640, presso l’avvocato OLIVIERI MARIA CONCETTA (STUDIO

SCOGNAMIGLIO), rappresentata e difesa dall’avvocato MARIANO Cataldo,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI TERAMO;

– intimata –

sul ricorso 13209/2004 proposto da:

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI TERAMO, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LABICANA 44, presso

l’avvocato DI MATTIA FELUCA FRANCESCA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SCARAMAZZA LUCIANO, giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.G.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 716/2003 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/09/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

CARLO ALBINI, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento di quello incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale e per il rigetto del ricorso

incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 1 dicembre 1988, D.G.A. convenne dinanzi al Tribunale di Teramo la Provincia di Teramo, chiedendo il risarcimento dei danni per l’occupazione acquisitiva di un’area di sua proprietà utilizzata per la realizzazione di opere stradali.

Costituitasi, la Provincia convenuta contestò la domanda e spiegò domanda riconvenzionale di restituzione della distinta area di sua proprietà, detenuta senza titolo dall’attrice, con conseguente condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni.

Il Tribunale adito – disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio -, con la sentenza n. 411/2001 del 17 luglio 2001, accolse la domanda principale e condannò la Provincia al risarcimento dei danni liquidandoli in L. 1.550.000, oltre rivalutazione ed interessi, respinse altresì la domanda riconvenzionale e condannò la stessa Provincia alle spese del giudizio.

2. – Avverso tale sentenza la Provincia di Teramo propose appello dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila, lamentando, tra l’altro, l’ingiusta reiezione della domanda riconvenzionale e l’ingiusta condanna alle spese.

Costituitasi, la G., tra l’altro, resistette al gravame.

La Corte adita, con la sentenza n. 716/2003 del 10 settembre 2003, in parziale riforma della sentenza impugnata, così dispose: “a) accerta e dichiara che D.G.A. detiene senza titolo un’area di mq. 305 di proprietà dell’Amministrazione provinciale di Teramo e per l’effetto la condanna all’immediato rilascio dell’area predetta ed al risarcimento dei danni, cagionati alla predetta Amministrazione, che liquida complessivamente in Euro 1.000,00, oltre rivalutazione ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dal gennaio 1989 al saldo; b) dispone la compensazione tra le parti delle spese del primo giudizio; 2) conferma nel resto l’appellata sentenza; 3) dispone la compensazione tra le parti delle spese del grado”.

In particolare, la Corte – per quanto in questa sede ancora rileva – ha motivato come segue.

A) Quanto alle domande della Provincia di Teramo, aventi ad oggetto la restituzione dell’area detenuta senza titolo dalla D. G. ed il conseguente risarcimento del danno, i Giudici a quibus hanno affermato: “E (…) fondato il primo motivo dell’appello principale, avendo il consulente accertato che l’attrice appellata, con l’area di servizio IP da lei gestita, detiene senza alcun titolo m. 305 di suolo, appartenente alla proprietà dell’Amministrazione Provinciale. Tale circostanza non è stata contestata; ed erroneamente il Tribunale ha respinto la domanda riconvenzionale di rilascio, poichè la detenzione da parte della gestrice del distributore non è in discussione e l’inciso o per essa contenuto nell’elaborato peritale non è certamente utile per il disconoscimento della legittimazione passiva della D.G., peraltro da lei non contestata. Sussiste, quindi, l’obbligo della appellata di restituzione dell’area, di cui sopra, detenuta senza titolo. La detta detenzione era certamente sussistente al momento della proposizione della domanda riconvenzionale e quindi all’inizio del 1989, per cui l’appellata è tenuta al risarcimento dei danni da tale data, danni che in via equitativa, come richiesto dall’Amministrazione, possono essere quantificati in Euro 1.000,00, oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme annualmente rivalutate”.

B) Quanto al regolamento delle spese relative al primo ed al secondo grado del giudizio, i Giudici a quibus hanno affermato: “L’esito della causa evidenzia una sostanziale reciproca soccombenza, che comporta la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio”.

3. – Avverso tale sentenza D.G.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico complesso motivo di censura.

Resiste, con controricorso, la Provincia di Teramo, la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un unico motivo.

4. – La Provincia di Teramo ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi n. 10213 del 2004 e n. 13209 del 2004 ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto le impugnazioni sono state proposte contro la stessa sentenza.

2. – Con l’unico motivo (con cui deduce: “Violazione di legge – art. 115 c.p.c. – e vizio di motivazione – art. 360 c.p.c., n. 5”), la ricorrente principale critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) non hanno tenuto conto del fatto che la Provincia di Teramo non ha dato la prova in ordine alla proprietà ed alla detenzione senza titolo dell’area in questione, affidandosi esclusivamente alle affermazioni del consulente tecnico d’ufficio, mentre dette circostanze avrebbero dovuto essere dimostrate mediante prova documentale o testimoniale; b) non hanno considerato che la stazione di servizio “IP” “era detenuta e gestita in maniera del tutto autonoma da tale D.S.B.”; c) hanno erroneamente affermato che la circostanza della detenzione dell’area da parte della ricorrente era incontestata, in quanto, nel corso del giudizio di primo grado, il difensore della ricorrente, nel verbale d’udienza del 10 gennaio 1989, aveva invece contestato tutte le deduzioni contenute nella comparsa di risposta della Provincia di Teramo ed aveva ribadito tale contestazione nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica; d) hanno fatto erroneamente ricorso alla valutazione equitativa del danno, senza che nella specie ne ricorressero i presupposti.

3. – Con l’unico motivo, la ricorrente incidentale chiede che, in parziale riforma della sentenza di secondo grado, “le competenze dei tre gradi di giudizio, compresa la C.T.U. e la tassa di registrazione delle sentenze all’Ufficio delle Entrate, siano poste totalmente a carico della soccombente, ai sensi degli artt. 91 e 385 c.p.c.”.

4. – Il ricorso principale non merita accoglimento.

4.1. – Il profilo di censura sub a) è infondato.

Costituisce costante orientamento di questa Corte quello secondo cui la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni richiedenti necessariamente conoscenze specifiche, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito, e secondo cui questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente cosiddetto “deducente”), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente cosiddetto “percipiente”), essendo in tal caso necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 9522 del 1996, pronunciata a sezioni unite, e n. 6155 del 2009).

Nella specie, dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che i Giudici a quibus – ritenute incontestate le circostanze della gestione del distributore da parte della ricorrente, della proprietà dell’area rivendicata in capo alla Provincia e della detenzione di tale area da parte della ricorrente – hanno affermato che al consulente tecnico d’ufficio era stato affidato l’incarico di accertare l’estensione di tale detenzione, indicata nella misura di mq. 305. E’ dunque evidente che l’incarico ed il conseguente accertamento del consulente tecnico d’ufficio ricadono nell’ambito delle competenze del consulente cosiddetto “percipiente”.

4.2. – I profili di censura sub b) e sub e) sono inammissibili, perchè investono accertamenti di fatto compiuti dai Giudici a quibus, insindacabili in sede di legittimità. Ciò, a prescindere dalla considerazione che le circostanze della gestione del distributore di benzina – e della conseguente detenzione dell’area rivendicata dalla Provincia da parte di soggetto diverso dalla ricorrente – avrebbero dovuto essere dimostrate da quest’ultima mediante idonee deduzioni probatorie nel giudizio di merito, non già attraverso la mera eccezione del proprio difetto di legitimatio ad causam.

4.3. – Il profilo di censura sub d) è infondato.

E’ noto che, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso, con la conseguenza che la determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, che giustificano la liquidazione del danno in via equitativa (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10498 del 2006, 3251 del 2008, 7306 del 2009).

I Giudici a quibus, nella specie, hanno fatto corretta applicazione di tali principi.

5. – Il ricorso incidentale (cfr., supra, n. 3) è inammissibile, sia perchè con esso non viene specificamente censurata la ratio decidendi della decisione impugnata – nella parte in cui ha ritenuto di compensare per intero tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio, in ragione della ritenuta soccombenza reciproca delle stesse -, sia perchè è erroneamente evocato l’art. 385 cod. proc. civ., che concerne unicamente le spese del giudizio di legittimità;

ciò, senza considerare che l’obbligo di pagare l’imposta di registro sulle sentenze grava anche, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, solidalmente le parti in causa, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 1.

6. – Avuto riguardo alla reciproca soccombenza nel presente grado di giudizio, le relative spese possono essere compensate per intero tra le parti.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

 

 

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