Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 895 del 17/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 895 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 25079-2011 proposto da:
COOPERATIVA AMICIZIA SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE
S.R.L. 01485190605, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZA SS. APOSTOLI 81, presso lo studio
dell’avvocato ALESSANDRO AMEDEO MAINI,
2013
2808

rappresentato e difeso dall’avvocato TERENZI ANGELO
MARIA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE

Data pubblicazione: 17/01/2014

80078750587, in persona del legale rappresentante pro
C

EI. _
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIAL—

29
presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,
rappresentato e difeso dagli avvocati MITTONI ENRICO,
MARITATO LELIO, D’ALOISIO CARLA, SGROI ANTONINO,

– controricorrente

avverso la sentenza n. 7173/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 13/10/2010 r.g.n.7592/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato TERENZI ANGELO MARIA;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per guanto di ragione.

giusta delega in atti;

FATTO
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 13 ottobre 2010, riformando in
parte la decisione del Tribunale di Frosinone, rigettava integralmente
l’opposizione proposta dalla Amicizia Società Cooperativa Sociale a r.l.
avverso il decreto ingiuntivo con il quale le era stato intimato il pagamento in
favore dell’INPS del complessivo importo di lire 156.248.433, oltre somme
aggiuntive, dovuto per una serie di irregolarità, relative al periodo novembre
1985 — marzo 1993, rilevate a seguito di accertamenti ispettivi ed oggetto

delle seguenti contestazioni:
1) indebito utilizzo di agevolazioni di cui all’art. 8, co. 9 0 L. n. 407/90 per tre
lavoratori;
2) non aver tenuto conto del disposto della legge n. 389/89 per le
maestranze occupate per quattro ore giornaliere nel periodo 1° gennaio
1989 / 30 novembre 1991;
3) non aver considerato per tre lavoratori i salari convenzionali per 22 ore
mensili;
4) aver operato un erroneo conguaglio in relazione ad una somma
superiore irrogata ad una socia lavoratrice;
5)

aver erogato illegittimamente a 10 soci collaboratori compensi a titolo di
collaborazione operando una ritenuta d’acconto ed evadendo la
contribuzione previdenziale.

La Corte rilevava cheoecondo la normativa “ratione temporis” applicabile al
caso in esame (quella anteriore alla L. n. 142/2001), nella ipotesi di socio
lavoratore di cooperativa che conferiva la propria attività per il
raggiungimento dello scopo sociale, era da escludere la configurabilità
accanto al rapporto associativo, tanto di rapporti di lavoro di natura
subordinata ?ARI) di collaborazione coordinata non occasionale con la
cooperativa. Osservava, quindi: che non essendo in contestazione la
qualità di soci dei lavoratori indicati nel verbale ispettivo dell’INPS, né lo
svolgimento da parte dei medesimi di attività finalizzate al raggiungimento
dello scopo sociale, non era configurabile un rapporto di lavoro subordinato
con la cooperativa, in difetto di precisi elementi sul punto, sicchè l’utilizzo dei
benefici di cui all’art. 8, comma 9 della L. n. 407/90 ( che consentiva ai datori
di lavoro del Mezzogiorno di omettere il versamento dei contributi
previdenziali per un periodo di 36 mesi, a decorrere dal 1° gennaio 1991, in
caso di assunzione, con contratto di lavoro a tempo indeterminato di
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lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi) da parte della cooperativa era
indebito;
che, quanto al mancato versamento dei contributi per i presunti 10 rapporti di
collaborazione, gli stessi erano soggetti a contribuzione attenendo a
prestazioni riguardanti l’assistenza domiciliare e, quindi, rientranti
nell’oggetto sociale della cooperativa ) non potendosi configurare una
prestazione lavorativa resa a titolo di “collaborazione” ed essendo la
cooperativa considerata, ai fini contributivi, datrice di lavoro dei propri soci.

Osservava, altresì, la Corte che era da rigettare l’appello incidentale
proposto dalla cooperativa in relazione ai capi della sentenza impugnata che
avevano respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo ( in riferimento ai punti da
2 a 4 della contestazione) sulla scorta di una espletata CTU alla quale non
erano state mosse specifiche censure .
Per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso la cooperativa
Amicizia affidato a due motivi.
Resiste con controricorso l’INPS.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione degli artt. 2697 c.c.,
2 R.D. 28 agosto 1924 n. 1422, del D.P.R. 30 aprile 1970 n. 602, dell’art.8 L.
n. 142/2001 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si assume che erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto che la legge
n. 142/2001 non trovasse applicazione anche in riferimento a situazioni
anteriori alla sua emanazione e, dunque, che ai fini contributivi si dovesse
aver riguardo alla natura del rapporto che legava l’attività del socio alla
cooperativa.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione
degli artt. 112, 421 c.p.c. 2967 c.c. in relazione all’art. 8, comma 9 della
L.n.407/90, nonché omessa ed insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia.
Si argomenta che, una volta ammessa la configurabilità della esistenza in
capo al socio lavoratore di un distinto rapporto lavorativo (sia subordinato
che parasubordinato) diverso dal conferimento sociale, ben potevano i soci
godere delle agevolazioni di cui all’art. 8, comma 9 della L. n.407/90 7
potendosi ipotizzare un rapporto lavorativo ulteriore rispetto a quello
societario ) così come era configurabile l’instaurazione di rapporti di
collaborazione. Inoltre, era onere dell’INPS dimostrare la natura dei rapporti
di lavoro e la fondatezza della pretesa azionata e, dunque, provare che i 10
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soci della cooperativa l ai quali risultavano essere stati erogati compensi a
titolo di collaborazione operando una ritenuta di acconto ed evadendo la
contribuzione previdenziale, in realtà prestavano la loro attività come
lavoratori subordinati.
Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente
connessi, sono infondati.
Vale ricordare che questa Suprema Corte è, ormai, costante nell’affermare
il principio secondo cui in riferimento al regime anteriore all’entrata in vigore

della legge n. 142 del 2001, le società cooperative, in virtù dell’art. 2, comma
3 0 , r.d. n. 1422 del 1924 – il quale dispone che dette società “sono datori di
lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse
assunti”- sono da considerare ai fini previdenziali come datrici di lavoro
rispetto ai soci assegnati a lavori dalle stesse assunti, con la conseguenza
dell’assoggettamento a contribuzione previdenziale presso la gestione
lavoratori dipendenti dei compensi da esse corrisposti ai propri soci che
abbiano svolto attività lavorativa, indipendentemente dalla sussistenza degli
estremi della subordinazione e dal fatto che la cooperativa medesima svolga
attività per conto proprio o per conto terzi (Cass. n. 9706 del 23/04/2010;
Cass. n. 164 del 08/01/2009; Cass. n. 10543 del 23/04/2008 n. 28997 del
10/12/2008).
Questo orientamento è contrastante quello espresso nella sentenza delle
con Sezioni unite 26 luglio 2004 n. 13967.
E’ altresì vero che esso non è stato seguito da una nuova pronuncia delle
Sezioni unite ( la sent. n. 9706 del 2010 cit. fu emessa in un processo in cui
avrebbe dovuto applicarsi l’art. 374, terzo comma, cod.proc.civ.). Tuttavia il
numero delle pronunce della sezione lavoro che lo seguono e la
distribuzione di esse in un lungo arco temporale, nonché l’esigenza di
definire con sollecitudine l’attuale processo, i fatti del quale risalgono agli
anni 1985 – 1993 ( molto anteriori alla normativa del 2001 su cui è
essenzialmente basata la sent. n. 13967 del 2004) dissuadono da una nuova
trasmissione al Primo Presidente per eventuale rimessione alle Sezioni unite.
L’orientamento suddetto appare a questo Collegio più persuasivo perché la
legge n. 142/2001 ha un impianto del tutto diverso rispetto alla previgente
regolamentazione ed è quindi con essa inconciliabile per vari motivi che
riguardano sia la assoluta novità che la nuova legge apporta alla struttura
organizzativa della cooperativa, la quale incide anche sulla tutela
assicurativa, sia sul fatto che essa, necessariamente, tiene conto dell’assetto
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assicurativa, sia sul fatto che essa, necessariamente, tiene conto dell’assetto
previdenziale complessivo vigente nel 2001, che non è comparabile con
quello esistente negli anni venti, quando fu introdotta la tutela per i soci di
cooperativa, per cui ciò che è stato dettato alla luce della nuova legge non
appare applicabile per il passato. In primo luogo, questa fornisce
opportunamente gli strumenti per distinguere, tra i soci, coloro che lavorano
in regime di subordinazione e quelli che lavorano in regime di autonomia, dal
momento che il suo cardine, sconosciuto nell’assetto precedente, è che il

socio, all’atto dell’adesione alla cooperativa, o successivamente, instauri un
ulteriore e distinto rapporto di lavoro, finalizzato al raggiungimento degli scopi
sociali, in forma subordinata o autonoma, a cui è applicabile la tutela
previdenziale prevista per l’una o per l’altra forma. Dispone, infatti, la L. n.
142 del 2001, all’art. 4 che “Ai fini della contribuzione previdenziale ed
assicurativa, si fa riferimento alle normative vigenti previste per le diverse
tipologie di rapporto di lavoro adottabili dal regolamento delle società
cooperative nei limiti di quanto previsto dall’alt 6”.
Inoltre, principio altrettanto rilevante è che la tipologia dei rapporti di lavoro,
autonomo o subordinato, che si intendono attuare con i soci, devono essere
indicati nel regolamento interno, che diventa così la fonte normativa
fondamentale.
La nuova legge fa, quindi, chiarezza ancorando la tutela previdenziale non al
rapporto associativo, ma al rapporto di lavoro, autonomo o subordinato,
espressamente indicato nel regolamento, che si affianca a quello
associativo.
Diversamente, nell’assetto precedente l’unico rapporto del socio con la
cooperativa era quello associativo, che era sufficiente per l’insorgenza della
tutela assicurativa, e non erano previste distinzioni di sorta sulle modalità di
svolgimento del lavoro per l’inclusione nell’una o nell’altra categoria.
Altro elemento da considerare è quello che – per moltissimi anni – la attività
lavorativa svolta in autonomia, ed al di fuori della titolarità di un’impresa, non
veniva in alcun modo tutelata dal punto di vista assicurativo. Invero nel 1924,
epoca a cui risale la citata disposizione sui soci di cooperativa, l’unica tutela
assicurativa era quella del lavoro subordinato, mentre non esisteva alcuna
tutela per il lavoro autonomo di qualunque specie (dovendosi attendere gli
anni cinquanta per le prime assicurazioni di lavoratori autonomi come
coltivatori diretti, artigiani e commercianti). Applicando la nuova legge anche
per il passato, i soci di cooperativa svolgenti per essa attività lavorativa, non
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in regime di subordinazione, ma in regime di autonomia, non riceverebbero
tutela previdenziale di sorta.
Nè, in prosieguo, costoro avrebbero potuto essere iscritti presso le gestioni
lnps per i lavoratori autonomi, ossia artigiani, commercianti e coltivatori
diretti, non avendo la titolarità dell’impresa, o comunque gli altri requisiti
imprescindibili previsti dalla legge per l’accesso a questo tipo di tutela (cfr.
per gli artigiani L. 29 dicembre 1956, n. 1533 e L. 4 luglio 1959, n. 463; per i
commercianti L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1 e L. 22 luglio 1966, n.

613; per i coltivatori diretti L. 22 novembre 1954, n. 1136, art. 1, e L. 26
ottobre 1957, n. 1047).
Invero la L. n. 142 del 2001 – la quale, come rilevato, ricollega la tutela
previdenziale a quella propria del rapporto di lavoro, che può essere
subordinato o autonomo, che si affianca a quello associativo – interviene in
epoca in cui a “tutte” le attività lavorative viene garantita la tutela
previdenziale, nel quadro della cd. “universalizzazione” delle tutele, che
prima non esisteva.
La disposizione fondativa della tutela previdenziale del lavoro autonomo inteso come lavoro parasubordinato, al di fuori della titolarità dell’impresa, di
prestazione coordinata e continuativa ex art. 409 cod. proc. civ.- si trova
nella L. 8 agosto 1995, n. 335 che, all’ad. 2, comma 26, prevede la
costituzione presso l’Inps di una cd. gestione separata (owero quarta
gestione) in cui devono essere iscritti quei lavoratori autonomi che svolgono
attività professionale per la quale non è prevista l’iscrizione in albi o in
elenchi.
Il medesimo comma 26, ai fini della individuazione dei soggetti tenuti
all’iscrizione a detta gestione separata, traccia poi una fondamentale
bipartizione: a) i “lavoratori parasubordinati” in senso proprio, e cioè coloro
che percepiscono redditi da collaborazione continuativa e coordinata (ultima
parte del citato comma 26); b) i “lavoratori autonomi” in senso stretto e cioè
coloro che, ai sensi dell’ad. 49 del t.u.i.r., godono di redditi derivanti da
attività di lavoro autonomo, svolta come professione abituale, ancorché non
esclusiva, si tratta cioè di quelli che la vulgata definisce come il popolo delle
partite Iva.
Seguendo l’indirizzo delle Sezioni unite conseguirebbe che i soci di
cooperativa lavoratori autonomi dovrebbero essere assicurati nelle forme
previste per la gestione separata presso l’Inps (la L. n. 335 del 1995, citato
comma 26, ari. 2), ma ciò è possibile solo a partire dalla data di entrata in
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vigore di quella disposizione, e quindi dal gennaio 1996, mentre per tutto il
lungo periodo precedente, costoro, pur lavorando per la cooperativa e quindi,
essendo astretti ad una subordinazione tecnico funzionale, sarebbero stati
privi di ogni tutela, a causa della mancanza di subordinazione in termini
giuridici.
In definitiva, le precedenti argomentazioni dimostrano che il sistema
previgente, che ancora non conosceva la articolazione e la complessità delle
tutele introdotte nel corso di quasi sessant’anni di storia, non si presta alla

sussunzione nel sistema introdotto dalla nuova L. n. 142 del 2001.
A tale orientamento, da considerarsi ormai consolidato, si è uniformata la
decisione della Corte di merito.
Nella impugnata sentenza, infatti, correttamente è stato osservato che non
essendo in contestazione la qualità di soci dei lavoratori indicati nel verbale
ispettivo dell’INPS, né lo svolgimento da parte dei medesimi di attività
finalizzate al raggiungimento dello scopo sociale, non era configurabile un
rapporto di lavoro subordinato con la cooperativa, in difetto di precisi
elementi sul punto, sicchè l’utilizzo dei benefici di cui all’art. 8, comma 9 della
L. n. 407/90 era indebito; che i 10 rapporti di collaborazione con soci
lavoratori erano soggetti a contribuzione attenendo a prestazioni riguardanti
l’assistenza domiciliare e, quindi, rientranti nell’oggetto sociale della
cooperativa non potendosi configurare una prestazione lavorativa resa a
titolo di “collaborazione” ed essendo la cooperativa considerata, ai fini
contributivi, datrice di lavoro dei propri soci.
E il caso di precisare, con riferimento all’indebita fruizione delle agevolazioni
di cui alla L.n. 407/1990, che la Corte di merito giustamente ha rilevato che la
cooperativa non aveva fornito alcun elemento che provasse la eventuale
ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato distinto
da quello associativo per i tre soci lavoratori. E’, infatti, pacifico in
giurisprudenza che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso
nei confronti della impresa datrice di lavoro per omissioni contributive
derivanti da indebita fruizione di sgravi, è onere dell’impresa opponente
provare la sussistenza del diritto al beneficio contributivo in contestazione
(Cass. n. 6671 del 03/05/2012; Cass. n. 21898 del 26/10/2010; Cass. n.
16351 del 24/07/2007).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.

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Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vengono
poste a carico della ricorrente e sono liquidate nella misura di cui al
dispositivo.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3.000,00
per compensi, oltre accessori.

Il Consigliere est.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013

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