Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8949 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22580/2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA e ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

B.A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SAVINA BOMBOI e

ALBERTO PICCININI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 252/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/04/2016, R.G.N. 780/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza del 7.4.2016, la Corte d’Appello di Bologna rigettava il gravame proposto dalla Telecom s.p.a. avverso la decisione del Tribunale della stessa città, che aveva respinto l’opposizione proposta dalla società avverso il Decreto Ingiuntivo ottenuto da B.A.A. per l’importo di Euro 13.905,88, concernente le retribuzioni nette per il periodo dall’1.10.2012 al 28.2.2013, dalla medesima pretese a seguito della sentenza n. 129/2012 della Corte d’appello di Bologna, che, sul presupposto dell’illegittimità del trasferimento di ramo d’azienda (da IT Telecom Italia s.p.a., poi Telecom Italia s.p.a., a Hewlett Packard Distributed Computing Service s.r.l.), aveva condannato la cedente a reintegrare la lavoratrice, che aveva formalmente offerto la propria prestazione lavorativa;

2. la Corte rilevava come la sentenza di condanna alla reintegra o al ripristino del rapporto di lavoro (nel caso di specie presso la cedente a seguito della dichiarata illegittimità del trasferimento di azienda e della cessione del contratto di lavoro) fosse dotata ex lege di efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 431 c.p.c., riferibile anche alle obbligazioni di fare o di non fare scaturenti da rapporto di lavoro ed alle relative sentenze sottratte alla possibilità di sospensiva, e che l’obbligazione del cedente, inottemperante all’obbligo di ripristino del rapporto di lavoro, dovesse qualificarsi come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’aliunde perceptum;

3. alla stregua di tali osservazioni, riteneva che l’obbligo risarcitorio non poteva, tuttavia, essere mitigato in ragione di un aliunde perceptum non allegato e non dimostrato da parte dell’appellante, essendo stata, peraltro, l’appellata pacificamente licenziata, con lettera del 20.6.2007, dalla cessionaria;

4. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la B., che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206 e 1207 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, osservando che la lavoratrice aveva da tempo maturato, successivamente al licenziamento, i requisiti per la collocazione in quiescenza; assume che, in assenza dell’effettivo svolgimento della prestazione dedotta, non possa sorgere l’obbligo retributivo a carico del datore di lavoro e che, essendo necessaria la mora credendi, occorra che la prestazione di lavoro sia possibile, ciò che nel caso di specie non poteva ritenersi, essendo la B. in quiescenza;

2. con il secondo motivo, lamenta violazione e falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 22 comma 1, lett. c) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 10, comma 6, nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la percezione di pensione di anzianità è subordinata alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato e che l’intervenuto pensionamento della B. costituisca manifestazione di inequivoca volontà di cessazione di ogni rapporto di lavoro subordinato ed anche di quello asseritamente intercorrente con Telecom in base al quale era stato richiesto il pagamento della retribuzione;

3. deve rilevarsi la novità della deduzione secondo cui la B. aveva maturato i requisiti per la collocazione in quiescenza successivamente al licenziamento: tale questione non è stata esaminata nella sentenza impugnata, che si fonda su diversi presupposti argomentativi (cfr. in termini analoghi Cass. 24.5.2018 n. 12982); a ciò va aggiunta la dirimente considerazione, valida per entrambi i motivi, che nel caso di ripristino del rapporto ex tunc, non vi è alcuna impossibilità nè materiale nè giuridica di rendere la prestazione lavorativa offerta, bensì solo l’obbligo per il lavoratore di restituire all’ente previdenziale i ratei percepiti divenuti indebiti;

3.1. secondo principio ancora recentemente affermato da questa Corte, sia pure con riferimento alla diversa indennità di mobilità, le somme percepite dal lavoratore a titolo d’indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente a seguito di dichiarazione di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa: posto che detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivino al lavoratore dall’essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge (esattamente in termini, in riferimento alla stessa vicenda circolatoria aziendale: Cass. 27 marzo 2017, n. 7794, sia pure con qualificazione del trattamento economico a titolo risarcitorio, secondo l’indirizzo superato); è stato anche precisato come un tale arresto è evidentemente indipendente dalla qualificazione del trattamento economico dovuto al lavoratore illegittimamente trasferito, in una con il compendio aziendale cui è addetto, dal datore cedente al cessionario (con ordine di ripristino del rapporto al datore tuttavia ad esso inadempiente) di natura risarcitoria (secondo il precedente indirizzo: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 30 maggio 2016 n. 11095; Cass. 27 marzo 2017, n. 7794), piuttosto che retributiva (Cass. 31 maggio 2018, n. 14019 e Cass. 1 giugno 2018, n. 14136, estensione del principio di diritto affermato da Cass. s.u. 7 febbraio 2018, n. 2990; con indirizzo avallato anche da Corte Cost. 28 febbraio 2019, n. 29);

4. quanto al secondo motivo, va ribadito, ad abundantiam, in continuità con quanto affermato da Cass., s.u., 12194/2002, da Cass. 14634/2016, il principio secondo cui il conseguimento della pensione di anzianità non integra… una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro (Cass. 6906/2009); ed invero, il diritto a pensione discende dai verificarsi dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge e prescinde del tutto dalla disponibilità di energie lavorative da parte dell’assicurato, che abbia anteriormente perduto il posto di lavoro, nè si pone di per sè come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicchè le utilità economiche, che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae, dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all’operatività della regola della “compensatio lucri cum damno” (Cass. SSUU n. 12194 del 2002; Cass. 16143/2014, 13871/2007);

5. alle esposte considerazioni consegue l’inammissibilità del ricorso;

6. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, con attribuzione ai difensori dichiaratisi antistatari;

7. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la società al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione agli avv.ti Bruno Cossu, Savina Bomboi e Alberto Piccinini.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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