Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8948 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 31/03/2021), n.8948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30887-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.V. SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

PALUMBO 3, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO RONCHIETTO, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La R.V. S.r.l., essendo stata nominata custode giudiziario di merce costituita da diversi colli contenenti complessivamente 20.948 paia di scarpe, il cui volume complessivo ammontava a 60 metri cubi ed a 6.400 Kg., proponeva opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Roma aveva determinato i compensi spettantile per l’attività svolta.

Il Tribunale di Roma, in sede di opposizione, con ordinanza dell’11/7/2018 ha accolto il gravame, liquidando la maggiore somma di Euro 19.025,25 oltre IVA.

Osservava che secondo la giurisprudenza di legittimità, trattandosi di custodia di beni diversi da veicoli a motore e natanti, in assenza di apposite tariffe ministeriali, doveva farsi ricorso al criterio residuale degli usi, non potendosi quindi far richiamo, come invece fatto nel provvedimento opposto, all’equità nonchè al Protocollo di intesa tra il Tribunale di Roma e la Procura della Repubblica.

Era invece necessario provvedere alla liquidazione in applicazione delle tariffe predisposte dall’Agenzia del Demanio di Roma, come applicate dalla locale Prefettura, in quanto ritenute corrispondere ad usi locali, stante anche la loro trasmissione ad opera del Demanio agli enti interessati.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia sulla base di due motivi. La R.V. S.r.l. ha resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 58 e 59, nonchè al D.M. 2 settembre 2006, n. 265, art. 5.

Si deduce che erroneamente il giudice dell’opposizione ha ritenuto che le tariffe predisposte dall’Agenzia del Demanio di Roma corrispondano ad usi locali idonei a determinare i criteri per la liquidazione dell’attività di custodia, trattandosi invece di criteri aventi valenza meramente interna.

Viceversa, la liquidazione, come operata dal giudice inizialmente adito, doveva essere effettuata sulla scorta dei criteri di cui al Protocollo concluso tra i capi degli uffici giudiziari romani, assurto al rango di uso locale.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 58,59 e 276, in quanto il ricorso alle tariffe predisposte dall’Agenzia del Demanio equivale ad una liquidazione secondo equità, ormai non più consentita essedo venuta meno l’efficacia della norma transitoria di cui al citato art. 276.

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

A tal fine deve ricordarsi che il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 58, prevede che al custode, diverso dal proprietario o avente diritto, di beni sottoposti a sequestro penale probatorio e preventivo, e, nei soli casi previsti dal c.p.c., al custode di beni sottoposti a sequestro penale conservativo e a sequestro giudiziario e conservativo, spetta un’indennità per la custodia e la conservazione, da determinarsi sulla base delle tariffe contenute in tabelle, approvate ai sensi dell’art. 59 (con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, commi 3 e 4), e, in via residuale, secondo gli usi locali.

Il D.M. 2 settembre 2006, n. 265, art. 5, per la determinazione dell’indennità di custodia e conservazione relativa ad altre categorie di beni, diversi da veicoli e natanti, dispone di far riferimento, in via residuale, agli usi locali, come previsto dal Testo Unico Spese di Giustizia, art. 58, comma 2.

Nella fattispecie, deve reputarsi pacifica la non diretta riconducibilità dei beni oggetto di causa nel novero di quelli per i quali è intervenuta la disciplina di cui al citato D.M., risultando quindi altrettanto pacifica la non applicabilità delle previsioni di cui al citato D.M. n. 265 del 2006.

La mancata adozione di tariffe per la tipologia dei beni oggetto di causa denota altresì la correttezza della soluzione in diritto del giudice di merito, che ha ritenuto, proprio sulla scorta del tenore dell’art. 58 citato, di dover far ricorso agli usi locali, usi che ha in concreto individuato nelle tariffe approvate dall’Agenzia del Demanio di Roma.

Quanto alla correttezza di tale rinvio, reputa il Collegio di dover dare continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11553/2019), che ha ritenuto condivisibile il ricorso alle tariffe in questione, in quanto ritenute corrispondenti agli usi locali cui la norma fa richiamo (conf. Cass. n. 24933/2020). Ed, infatti, una volta ribadito che l’art. 8 preleggi, prevede che nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati (consuetudo secundum legem), situazione che ricorre nella fattispecie in forza dell’espresso richiamo operato agli usi da parte del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58 e dal D.M. n. 296 del 2006, art. 45, non ignora il Collegio come nella giurisprudenza di questa Corte sia del tutto consolidato il principio, fondato sull’obbligo del giudice di conoscere la legge, ma non anche gli usi, che questi ultimi, ove il giudice non ne sia a conoscenza, debbono essere provati (anche per quanto riguarda l’elemento dell’opinio iuris ac necessitatis) a cura della parte che li allega, e la relativa prova non può essere fornita per la prima volta nel giudizio di legittimità (ad esempio: Sez. 1, 01/03/2007, n. 4853 con ampi richiami: Cass. 18/6/1956 n. 2158; 4/10/1956 n. 3348; 17/10/1961 n. 2183; 30/10/1963 n. 2909; 4/5/1965 n. 795; 19/5/1965 n. 980; 18/2/1967 n. 406;17/4/1968 n. 1131; 18/4/1969 n. 1229; 9/6/1972 n. 1823; 21/11/2000 n. 15014).

Deve però ritenersi che il Tribunale di Roma, come anche molti altri uffici giudiziari che fanno applicazione D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 58, delle tariffe dell’Agenzia del Demanio di Roma, non abbia attribuito valore di uso al fatto che l’Agenzia del Demanio abbia predisposto il tariffario in questione, ma invece al fatto storico osservato e ritenuto abituale che di norma le Prefetture applichino tali tariffe per compensare i custodi di beni sequestrati in via amministrativa, che a loro volta, evidentemente recepivano tali compensi.

Quanto all’obiezione secondo cui l’esistenza degli usi presuppone la loro osservanza da parte della collettività nella convinzione della loro cogenza, sicchè sarebbe necessario anche accertare tale elemento, la cosiddetta opinio juris ac necessitatis, che implica la ripetizione abituale della condotta da parte dei consociati nella convinzione di adempiere ad un obbligo giuridico, va ricordato che secondo un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che si va consolidando e di cui è espressione proprio Cass. n. 11553/2019 citata, in tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, a seguito dell’emanazione del D.M. n. 265 del 2006, la determinazione dell’indennità di custodia per i beni diversi da quelli ivi espressamente contemplati va operata, ai sensi del citato D.M., art. 5, e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, comma 2, sulla base degli usi locali, senza che, per questi, occorra verificare la ricorrenza del requisito della opinio iuris ac necessitatis, ossia dalla convinzione, comune ai consociati, dell’obbligatorietà dell’osservanza delle tariffe, poichè il recepimento e la legittimazione delle prassi dei corrispettivi applicati nella pratica commerciale deriva direttamente dal rinvio operato dalla disciplina legale.

Infatti, poichè sono le stesse norme di legge e di regolamento a rinviare alla pratica commerciale, il rinvio vale, di per sè, a recepire e a legittimare, ai fini della determinazione dell’indennità di custodia, la prassi dei corrispettivi applicati dalle imprese del settore, senza che occorra che l’elemento materiale dell’uso, inteso come costante ripetizione del comportamento tariffario, sia anche assistito dalla opinio iuris (Sez. 6-2, 18/01/2016, n. 752, e le pronunce conformi in pari data n. 753, 755 e 756, nonchè 19/1/2016, n. 775 e 776; poi, in seguito: Sez. 2, 4/5/2018 n. 10622; Sez. 2, 7/7/2017 n. 21649; Sez. 2, 15/9/2017 n. 21388).

In merito, infine, alla pretesa di ritenere che gli usi locali debbano coincidere con le indicazioni contenute nel Protocollo d’intesa concluso tra il Presidente del Tribunale di Roma ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, deve ritenersi che il provvedimento impugnato abbia escluso che sia possibile addivenire a tale conclusione, e che ciò trovi conferma nella formazione unilaterale dei pretesi usi da parte dei soggetti di norma chiamati a rispondere economicamente per l’attività prestata, mancando quindi quelle peculiari connotazioni (ed in particolare l’adesione da parte dei prestatori dell’attività di custodia) che, come sopra esposto, consentono di riscontrare l’esistenza di un uso idoneo ad orientare il potere di liquidazione del giudice.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.

Ancorchè il ricorso sia stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e sia rigettato, non sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, trattandosi di ricorso proposto da amministrazione dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato Claudio Ronchietto, dichiaratosene anticipatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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