Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8946 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/05/2020, (ud. 30/05/2019, dep. 14/05/2020), n.8946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12595/2014 proposto da:

G.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE

CAROLIS 77, presso lo studio dell’avvocato LUCIO BARLETTA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI GIUSEPPE CAPPARELLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO,

GIUSEPPE MATANO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1049/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/08/2013 R.G.N. 193/2012.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 28.8.2013, ha respinto il gravame interposto da G.V., nei confronti dell’INPS e di Equitalia-E.Tr. S.p.A. (ora Equitalia Sud S.p.A.), avverso la pronunzia del Tribunale di Cosenza resa il 9.2.2011, che aveva rigettato l’opposizione a cartella esattoriale, notificata alla G. il 25.2.2006, con cui era stato richiesto il pagamento di Euro 6.897,66 per contributi fissi dovuti, relativamente agli anni 2001-2004, alla gestione commercianti per il coniuge B.C., risultato collaboratore nell’esercizio commerciale di cui la stessa era titolare, oltre sanzioni ed interessi;

che per la cassazione della sentenza ricorre G.V., articolando un motivo contenente più censure;

che l’INPS ed Equitalia Sud S.p.A. non hanno svolto attività difensiva; che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2700 e 2729 c.c., nonchè, anche sotto questo profilo, vizio di motivazione” e si deduce che i giudici di merito sarebbero incorsi in errore, perchè avrebbero fondato il loro convincimento esclusivamente sul verbale redatto dagli ispettori dell’INPS e sulle dichiarazioni in esso contenute e rese da B.C., “senza neppure riscontrarle mediante prova testimoniale con escussione del soggetto dichiarante (nemmeno articolata dall’Istituto)”; inoltre, a parere della ricorrente, la motivazione della Corte di Appello appare incongrua, laddove ha ritenuto non determinante quanto affermato dai testi addotti dalla stessa;

che il motivo non è meritevole di accoglimento; va premesso che, riguardo ai “vizi di motivazione” ed alla “errata valutazione degli elementi probatori”, le censure presentano evidenti profili di inammissibilità, innanzitutto, in quanto palesemente dirette ad ottenere un nuovo esame delle risultanze processuali, non consentito in questa sede (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poichè “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011);

e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un iter motivazionale condivisibile dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei testi escussi;

che va, inoltre, osservato che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 28.8.2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale, come innanzi osservato, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, infine, va osservato che i verbali redatti dall’Ispettorato del Lavoro o dai funzionari degli enti di previdenza ed assistenza, in tema di omesso versamento di contributi, costituiscono prova idonea a legittimare il ricorso al procedimento ingiuntivo e fanno fede sino a querela di falso per quanto riguarda la provenienza dal pubblico ufficiale che li ha redatti ed i fatti che quest’ultimo attesta che siano avvenuti in sua presenza o che siano stati da lui compiuti (v., tra le molte, Cass. 20019/2018); mentre in ordine alle altre circostanze di fatto che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese o de relato o in seguito ad ispezione di documenti, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito. In tale ultima ipotesi, il materiale raccolto dal verbalizzante deve passare al vaglio del giudice, il quale, nel suo libero apprezzamento, può valutarne l’importanza e determinare quale sia il conto da farne ai fini della prova; al proposito, la Suprema Corte, anche di recente (v., per tutte, Cass. n. 20820/2018), ha ribadito che i verbali ispettivi predetti non hanno alcun valore probatorio precostituito, ma che costituiscono “materiale istruttorio che può essere utilizzato in sede giudiziale per fondare il convincimento del giudicante”, poichè le dichiarazioni raccolte dagli ispettori e trasferite negli stessi, anche se non sono munite di efficacia fino a querela di falso, costituiscono oggetto di libera valutazione del giudice e, in concorso con altri elementi di prova, possono essere utilizzati per corroborare la decisione assunta;

che, nel caso di specie, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che gli ispettori che hanno redatto il verbale dell’accertamento eseguito presso il negozio della G. hanno raccolto le dichiarazioni del B., il quale ha affermato di lavorare, con abitualità e prevalenza, nell’attività commerciale intestata alla moglie dal (OMISSIS), ed ha firmato il verbale di acquisizione di dichiarazione; appare, pertanto, corretta l’affermazione dei giudici di appello peraltro suffragata anche dalle risultanze istruttorie di cui si dà atto a pag. 4 della sentenza impugnata – circa il fatto che quanto riportato nella dichiarazione, firmata, del B., ricevuto dagli ispettori e da essi verbalizzato, fa prova fino a querela di falso; che, per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va respinto; che nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio poichè l’INPS e la S.p.A. Equitalia Sud sono rimasti intimati; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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