Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8944 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. II, 19/04/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 19/04/2011), n.8944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.A., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avv. D’Urzo Maria Letizia, elettivamente

domiciliato nello studio dell’Avv. Omelia Manfredini in Roma, via

Giuseppe Gioacchino Belli, n. 36, int. 10, piano 3^;

– ricorrente –

contro

V.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Di Mattia Roberto,

elettivamente domiciliato in Roma, via Tacito, n. 33, presso lo

studio dell’Avv. Massimo Marcacci Balestrazzi;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1031 in data

15 luglio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso: “nulla osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 7 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “La Corte d’appello di Firenze, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 15 luglio 2008, in parziale accoglimento dell’appello proposto da V.M., quale titolare dell’omonima impresa, avverso la sentenza del Tribunale di Firenze in data 30 luglio 2004 ed in parziale riforma di questa, ha determinato nella somma di complessivi Euro 30.000 oltre IVA, maggiorata di interessi e rivalutazione, il complessivo avere dell’appellante a titolo di corrispettivo dell’appalto, condannando S.A. al pagamento del residuo, detratte le somme già corrisposte, ed al rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il S. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi. L’intimato ha resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., art. 99 cod. proc. civ., art. 101 cod. proc. civ., art. 342 cod. proc. civ., comma 1, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4”.

Con il secondo mezzo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1664 cod. civ., comma 2, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3”. Il terzo motivo prospetta “nullità della sentenza per insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5″. Tutti i motivi sono inammissibili, perchè non contengono la formulazione conclusiva – prescritta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – del quesito di diritto (là dove si censurano violazioni e false applicazioni di legge) o di un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) recante la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume insufficiente o contraddittoria.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Letta la memoria del ricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che i rilievi contenuti nella memoria non colgono nel segno ;

che in ordine ai primi due motivi, con cui vengono prospettati vizi di violazione e falsa applicazione di legge, nessuno di essi è corredato dalla conclusiva formulazione del quesito di diritto;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collabo-rando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione;

i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che, diversamente da quanto sembra presupporre il ricorrente nella memoria illustrativa, il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che, inoltre, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, l’art. 366 bis cod. proc. civ. non autorizza una distinzione tra i motivi di impugnazione in diritto, con la conseguenza che esso è applicabile anche a quelli con i quali si deducano errores in procedendo (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578);

che, in particolare, il primo motivo (con cui si deduce violazione degli artt. 112, 99, 101 e 342 cod. proc. civ., comma 1), nell’ultimo periodo a pag. 9 (quello, cui si riferisce il ricorrente in memoria, che inizia con “appare evidente”), non indica neppure quale sarebbe il diritto, diverso da quello fatto valere in giudizio, su cui, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del principio della domanda, la sentenza d’appello si sarebbe pronunciata;

che il secondo motivo non si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che – in ordine al terzo motivo, con cui si deduce la nullità della sentenza per insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – occorre premettere che questa Corte regolatrice è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente – al contrario di quanto ritiene il ricorrente – che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3^, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie il terzo motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo;

che, a differenza di quanto prospettato nella memoria, tale non può essere considerato il passo (contenuto a pag. 14 del ricorso) là dove (nel corpo del motivo) si illustra la censura osservando (non conclusivamente nè riassuntivamente): “E’ invece controverso il fatto, decisivo ai fini della definizione della controversia, che tale mancanza fosse oggetto di comune volontà delle parti, anzichè costituire il risultato di una scelta empirica compiuta dall’appaltatore nell’espletamento della propria autonomia. La motivazione della sentenza impugnata è su questo punto apodittica.

La Corte omette infatti di dare conto del perchè la mancanza di progettazione dell’opera appaltata sarebbe da ascrivere alla comune volontà delle parti e del perchè tale imputazione dovrebbe considerarsi addirittura evidente”;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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