Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8943 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 31/03/2021), n.8943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34139-2019 proposto da:

B.D.M.E., elettivamente domiciliato presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA,

rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE PANDOLFO;

– ricorrente –

contro

RARE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato SALVATORE LEONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1528/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda, per quel che residua ancora d’utile, può riassumersi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Catanzaro confermò la sentenza di primo grado, la quale, chiamata a pronunciare la divisione di un immobile, di cui erano comproprietari B.D.M.E. e la s.p.a. Rare (in essa si erano fuse la s.p.a. R. Immobiliare e la s.r.l. R.A. & Figli), aveva disposto l’assegnazione in natura alla società, titolare di maggior quota, con obbligo di corrispondere conguaglio in denaro all’altro comproprietario (chiarisce la sentenza d’appello che si era in presenza di comunione ordinaria riguardante un unico immobile, del quale l’appellante era titolare per 3/12 e la società appellata per i rimanenti 9/12, in origine donato, nel 1973, da B.A. ai figli, in comunione indivisa; successivamente i fratelli B., fatta esclusione per E., avevano venduto le loro quote alla società oggi in giudizio);

– avverso la sentenza di secondo grado ricorre l’appellante B.E. sulla base di unitaria, complessa censura, e la Rare resiste con controricorso;

ritenuto che il ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1346,1349,1354,1418,1421,1490 e 230 bis c.c., nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo e nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, assumendo, in sintesi, che:

– “le quote dell’immobile acquistate dalla R.A. e Figli erano relative a un immobile con destinazione d’uso oleificio”, la divisione aveva oggetto diverso da quello accertato dal ctu (quest’ultimo aveva affermato trattarsi d’immobile a uso oleificio, mentre “nei rogiti” si era chiarito trattarsi di un immobile “un tempo adibito ad oleificio, oggi inutilizzato a tale scopo”, di talchè la Corte d’appello aveva deciso sulla divisione sulla base di “elementi fattuali e giuridici non corrispondenti alla realtà”;

– da ciò derivava, altresì la nullità delle cessioni delle quote immobiliari, nullità che avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche d’appello;

– si era verificata un’alterazione “dell’equilibrio economico delle singole quote con conseguente nullità per difetto dell’elemento causale ex art. 1418 c.c.”;

– trattavasi di donazione modale, in quanto il genitore ( B.A.) “aveva imposto la condizione (di cui all’art. 1354, comma 2), relativa alla destinatone immobile ad oleificio intendendo con tale destinazione creare tra i figli una sorta di impresa derivante dalla comunione tacita familiare in agricoltura con diritto di prelazione per ciascun condividente, suo figlio” e poichè una tale comunione “aveva preso vita in epoca successiva all’abrogazione dell’art. 2140 c.c., ad opera della L. 29 maggio 1975, n. 1130, art. 205”, essa comunione avrebbe dovuto “essere ricondotta nell’ambito dell’istituto previsto dall’art. 230 bis c.c., comma 5”, con la conseguenza che “il bene acquistato può formare oggetto di trasferimento dal singolo acquirente solo agli altri membri della comunione”, impedendo che la divisione determini “l’alterazione dell’equilibrio economico del contratto per la elusione della regola dell’indivisibilità derivante dall’importanza, sotto il profilo economico-funzionale, data al bene medesimo con la destinazione ad uso oleificio per la comunione”.

Diritto

CONSIDERATO

che l’insieme censuratorio di cui sopra non supera il vaglio d’ammissibilità per il concorrere di più autonome ragioni:

a) in primo luogo va rilevata la struttura promiscua, confusa, a tratti oscura del ricorso, il quale affastella una congerie di norme asseritamente violate, in un contesto narrativo non puntualmente ricollegato alla sentenza impugnata, nel mentre questa Corte ha, più volte enunciato il principio secondo il quale “Nel ricorso per cassazione, i motivi d’impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 21611/2013; Cass. n. 18021/2016; Cass. n. 3554/2017);

b) all’evidenza il ricorso difetta di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto fondato su emergenze non conoscibili in questa sede e ciò solo basta a rendere non scrutinabile la prospettazione di nullità, peraltro priva di lineare comprensibile sviluppo giuridico; nè la “qualitas” della questione legittima accertamenti nuovi in sede di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 16541/2009), a non voler considerare che essa non fu sottoposta al Giudice d’appello (Cass. n. 3554/2017 e n. 11259/2018);

c) l’evocazione della disciplina dell’impresa familiare non può essere presa in considerazione, stante la preclusione dichiarata dalla Corte d’appello, ex art. 345, c.p.c., nè in questa sede risulta essere stata censurata tale decisione in rito;

d) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre e, peraltro, neppure viene adombrata, del difetto assoluto di motivazione, anche sotto forma di mera apparenza;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore del controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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