Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8942 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. I, 14/05/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 14/05/2020), n.8942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23483/2016 proposto da:

O.T.S. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito n. 10, presso lo

studio dell’avvocato Dante Enrico, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Margarucci Claudio, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

O.T.S. Italia – Omnitrans Trade Service Italia S.r.l., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Golametto n. 4, presso lo studio dell’avvocato Ardizzi

Alessandro, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Lago Danni Livio, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1611/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Erika Di Monte, con delega

orale, che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Ardizzi Alessandro che si

riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 5 aprile 2012 O.T.S. s.p.a. deduceva di esercitare, fin dalla sua costituzione, un’attività di trasporto terrestre, marittimo e aereo anche in ambito internazionale e di essere titolare di tre marchi nazionali e di due marchi comunitari in cui figurava la sigla OTS. Deduceva, inoltre, di aver scoperto che la concorrente O.T.S. Omnitrans Trade Service Italia s.r.l. utilizzava, per la medesima classe merceologica, un marchio figurativo in cui compariva l’acronimo OTS. Assumeva che in tale marchio la sigla OTS costituiva elemento prevalente, mentre le altre componenti assumevano un valore trascurabile. Lamentava, quindi, la contraffazione del proprio marchio e il compimento, da parte della convenuta, di atti che costituivano concorrenza sleale.

Il Tribunale di Venezia, nella resistenza della convenuta, dichiarava, con sentenza non definitiva, la nullità del marchio registrato da questa e pronunciava, in suo danno, l’inibitoria quanto all’utilizzo del marchio, oltre che l’ordine di ritiro dal mercato di tutto il materiale pubblicitario o promozionale recante tale segno distintivo; disponeva, poi, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio rimettendo la causa in istruttoria per l’accertamento del danno di cui era stato richiesto il risarcimento.

2. – Essendo stato proposto gravame da parte di O.T.S. Italia s.r.l., la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava le domande che erano state accolte dal Tribunale. Il giudice distrettuale osservava, in sintesi, che i marchi registrati dall’appellata dovevano essere considerati deboli, come del resto riconosciuto dal giudice di prime cure. Rilevava, quindi, che in presenza di un marchio debole è sufficiente una lieve modifica del segno per escludere l’invalidità del marchio successivamente registrato da altri e si soffermava, quindi, sulla evidenziazione degli elementi di differenziazione tra i due marchi. Aggiungeva, da ultimo, che entrambe le parti del giudizio non si rivolgevano a comuni consumatori quanto, piuttosto, a soggetti specializzati, capaci di cogliere il significato da assegnare all’acronimo utilizzato.

3. – O.T.S. s.p.a. ha impugnato per cassazione la decisione di appello con un ricorso basato su tre motivi. Resiste con controricorso O.T.S. Italia s.r.l.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo sono dedotte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 12 c.p.i. (D.Lgs. n. 30 del 2005) avendo la sentenza impugnata escluso il rischio di confusione tra i due marchi ritenendo, erroneamente, la presenza di elementi di differenziazione e novità in quello registrato da O.T.S. Italia s.r.l.. Viene osservato che nel marchio registrato dalla società resistente erano assenti elementi figurativi o fonetici che valessero a diversificarlo da quello della ricorrente; secondo quest’ultima il consumatore avrebbe compiuto una valutazione globale sintetica che lo avrebbe portato a valorizzare il nucleo distintivo comune ai due segni. Viene ricordato che in tema di marchi la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non impedisce il riconoscimento della tutela contro il contraffattore ove questi abbia adottato varianti formali, inidonee ad escludere la confondibilità tra i segni.

Con il secondo mezzo sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 20 c.p.i. in quanto la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione l’identità dei servizi offerti dalle due società contendenti. Viene evidenziato che il rischio di confusione per la somiglianza dei marchi è aggravato, nella fattispecie, dalla identità del settore merceologico che provoca un rischio di associazione tra i due segni, tale da ingenerare un errato convincimento del pubblico quanto all’origine dei servizi offerti.

Con il terzo motivo si lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., comma 1, in quanto la pronuncia della Corte lagunare non avrebbe preso in considerazione la circostanza relativa all’uso, da parte di O.T.S. Italia s.r.l., del nome e dei segni distintivi altrui, tale da creare confusione. La censura investe il rilievo, svolto dal giudice distrettuale, circa il fatto che entrambe le società si rivolgerebbero a soggetti specializzati, in grado di porre in essere scelte commerciali consapevoli: ad avviso della società istante, dovrebbe invece farsi riferimento al consumatore medio, dotato di media diligenza ed avvedutezza, e costui percepirebbe il marchio in modo unitario, senza effettuare un esame analitico dei singoli elementi che lo compongono: rileverebbe, quindi, il nucleo ideologico del segno, costituito dall’acronimo OTS. Viene sottolineato che la società ricorrente effettua, del resto, servizi anche per i privati; è infine contestata la rilevanza, attribuita dalla Corte distrettuale, all’uso del medesimo acronimo nelle denominazioni di imprese operanti nel settore dei trasporti delle spedizioni, osservandosi come il marchio sia cosa differente rispetto alla ragione sociale.

2. – Gli indicati motivi non sono fondati e il ricorso va respinto.

Deve premettersi che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità, o meno, dei marchi costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici (Cass. 13 marzo 2017, n. 6382; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694): ovviamente, a seguito della modifica dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione, non il vizio logico della motivazione, generalmente inteso, ma solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054), oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Ciò posto, il marchio di cui si controverte è un marchio debole: la circostanza, di cui dà atto la sentenza impugnata, non è stata specificamente censurata.

Ora, la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte (Cass. 14 giugno 2018, n. 13170: Cass. 18 giugno 2018, n. 15927). Vero è che, secondo un indirizzo di giurisprudenza, la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non preclude la tutela nei confronti della contraffazione in presenza dell’adozione di mere varianti formali, in sè inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, sicchè non potrebbe limitarsi la tutela del marchio debole ai casi di imitazione integrale o di somiglianza prossima all’identità, cioè di sostanziale sovrapponibilità del marchio utilizzato dal concorrente a quello registrato anteriormente (Cass. 2 febbraio 2015, n. 1861); ma nella fattispecie oggetto di causa la Corte di appello ha evidenziato, sulla scorta di un giudizio di fatto (non censurabile in questa sede, secondo quanto osservato in precedenza), l’esistenza di plurimi elementi di differenziazione, tra i due segni, che erano idonei ad escludere la confondibilità di questi ultimi.

La denunciata violazione dell’art. 20 c.p.i. non ha del resto, alcun fondamento. All’affermazione, formulata nel motivo, per cui la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che le due imprese svolgono servizi identici, deve replicarsi che ai fini della sussistenza del vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, rileva solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348). Nella fattispecie, la retta applicazione dell’art. 20 c.p.i. è fuori discussione, giacchè la norma, come è noto, sanziona proprio l’uso di un segno identico o simile al marchio registrato “per prodotti o servizi Identici o affini” ove, a causa di quella identità o somiglianza tra segni e di quella identità o affinità tra prodotti o servizi, si generi un rischio confusorio. Per ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riguardo all’art. 20 cit., sarebbe stato necessario, al contrario di quanto è accaduto, che la Corte di merito avesse escluso la contraffazione in ragione dello svolgimento, da parte delle due imprese, della stessa attività commerciale.

Non appare nemmeno concludente la doglianza, svolta nel terzo motivo, che è basata sull’asserita necessità di regolare il giudizio di confondibilità sulla figura consumatore medio, di comune diligenza e avvedutezza, e non su quella del consumatore “specializzato, come erroneamente (ha fatto) il giudice di secondo grado”. Infatti, ai fini della valutazione della capacità distintiva dei segni utilizzati dall’imprenditore per contrassegnare i propri prodotti e servizi, in modo da consentire l’immediata individuazione della loro provenienza e da differenziarli da quelli degli altri concorrenti, occorre fare riferimento alla capacità percettiva non del pubblico in genere, ma di quelle particolari categorie di soggetti ai quali i prodotti sono destinati, le cui facoltà di discernimento devono essere rapportate alla capacità critica propria di un destinatario mediamente intelligente, accorto ed informato sui prodotti del genere merceologico di appartenenza (Cass. 13 ottobre 2014, n. 21588, ove i richiami a Cass. 26 marzo 2004, n. 6080 e a Cass. 10 aprile 1975, n. 1329).

Quanto, da ultimo, alla dedotta irrilevanza della circostanza, indicata nella sentenza impugnata, per cui altre imprese del settore dei trasporti e delle spedizioni utilizzassero denominazioni sociali in cui compariva l’acronimo OTS, è da osservare che essa è stata menzionata dalla Corte di merito come argomento comprovante la correttezza dell’affermazione del Tribunale secondo cui il marchio dell’odierna ricorrente fosse debole: proposizione – quest’ultima -che, come si è detto, non è stata censurata e che, del resto, O.T.S. s.p.a. non aveva nemmeno contestato in appello (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). La doglianza svolta, come è evidente, è dunque inammissibile in quanto carente di decisività visto che la ricorrente non contrasta (e non può farlo, stante il giudicato interno che è caduto sul punto) che il marchio da essa registrato è debole.

3. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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