Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8942 del 12/04/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8942 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 4850-2010 proposto da:
STOPPA ROMANO STPRMN26L14D942M, domiciliato ex lege in
ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato GABANELLA
ALESSANDRO con studio in 39100 BOLZANO, VIA LEONARDO
DA VINCI STR. 2/A giusta delega in atti;
– ricorrente contro

ALESSANDRO APOLLONI in qualità di già legale
rappresentante e socio accomandatario della MATRIX A.
DI APOLLONI ALESSANDRO & C. S.A.S. 02325580211,

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Data pubblicazione: 12/04/2013

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE
102, presso lo studio dell’avvocato TICOZZI UGO, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
CONTARINO ANTONIO giusta delega in atti;

controricorrente

BOLZANO, depositata il 05/02/2009, R.G.N. 5205/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/03/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
GIACALONE;
udito l’Avvocato ANTONIO CONTARINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

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avverso la sentenza n. 132/2009 del TRIBUNALE di

IN FATTO E IN DIRITTO
I. Con atto di citazione in opposizione all’esecuzione, la S.a.s. Matrix
introduceva la causa di opposizione, nei termini concessi dal giudice
dell’esecuzione, stante l’opposizione presentata con ricorso 4.6.2007, con la
quale la predetta si opponeva all’esecuzione nei propri confronti da parte di
Romano Stoppa, deducendo che il precetto era stato notificato privo della

una misura cautelare, quello che veniva azionato era l’autonomo ed
accessorio capo di condanna alle spese, non rientrante quindi nella tutela
cautelare. Sosteneva, pertanto, che non era ravvisabile alcun motivo per
derogare alla disciplina generale in tema di esecuzione forzata, la quale
prevede la notificazione del titolo in forma esecutiva. Citava quindi il
convenuto a comparire all’udienza del 6.12.2007, alla quale si costituiva lo
Stoppa, che si riportava alla comparsa di cui all’esecuzione, deducendo che
per l’esecuzione delle misure cautelari non occorresse l’apposizione della
formula esecutiva, stante la natura del provvedimento, come riferito
dall’ufficio preposto al rilascio della stessa..
Con la sentenza qui impugnata, depositata in data

5.02.2009, il

Tribunale di Bolzano accoglieva l’opposizione, in quanto fondata in fatto e
in diritto. Circa l’accertamento e la dichiarazione di nullità del precetto e di
tutti gli atti esecutivi, rilevava in primo luogo il Tribunale che oggetto del
provvedimento d’urgenza risultava essere la presa in consegna dell’azienda,
mentre quanto azionato con la procedura esecutiva aveva per oggetto la
condanna alle spese del procedimento cautelare. In secondo luogo, il capo
del suddetto provvedimento recante la condanna del soccombente alla
rifusione delle spese processuali costituiva capo accessorio ma autonomo e
quindi non rientrante nella tutela cautelare. Pertanto, per l’esecuzione
forzata della condanna alle spese andava applicato quanto previsto dagli
artt. 475 e 479 c.p.c., non rilevando le disposizioni di cui all’art.669
duodecies c.p.c., in quanto riferentesi a procedimenti cautelari aventi ad
oggetto somme di denaro. Nel caso di specie, invece, così come provato
dalla documentazione in atti e dall’assenza di contestazione di tale
circostanza da parte di controparte, si era proceduto all’esecuzione forzata
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formula esecutiva, adducendo che, malgrado si trattasse dell’esecuzione di

delle sole spese processuali senza previa spedizione del titolo in forma
esecutiva e senza previa sua notificazione in tale forma. A nulla rilevavano
le deduzioni circa un eventuale diniego di apposizione di tale formula da
parte dell’Ufficio preposto, in quanto in presenza di un provvedimento
cautelare, la parte interessata avrebbe potuto ricorrere al capo dell’ufficio
giudiziario ex art 476 c.p.c. nell’ipotesi di ingiustificato diniego del rilascio
di copia esecutiva, stante la qualifica del cancelliere quale “pubblico

Cass. 2478/1971). Inoltre, l’opposizione proposta andava qualificata come
opposizione agli atti esecutivi ex 617 c.p.c., in quanto la contestazione
dell’esecutività della condanna alle spese contenuta nel provvedimento di
accoglimento della richiesta di provvedimento d’urgenza, non munito di
formula esecutiva, non investiva in radice il diritto della parte a procedere
in executivis, bensì la regolarità formale del titolo. Circa la distrazione delle
spese processali a favore del difensore di parte attrice — opposta,
dichiaratosi antistatario già nell’atto introduttivo, in base all’art. 93 c.p.c.,
per tale istanza non erano richieste formule specifiche, essendo sufficiente
che il procuratore della parte vittoriosa dichiari di avere anticipato le spese
e di non avere riscosso gli onorari, senza alcun margine di sindacato,
difettando alla controparte la possibilità di opporsi alla distrazione non
essendo titolare di alcun interesse in tal senso. Le spese legali seguivano
quindi la soccombenza e venivano liquidate al legale antistatario di parte
attrice – opposta in complessivi euro 3.900,00 oltre Iva e Cpa rimborso
spese generali come per legge, di cui Euro 1.770,00 per diritti, euro
2.130,00.
3. Ricorre per cassazione lo Stoppa, sulla base di cinque motivi, illustrati
con memoria; resiste con controricorso l’Apolloni, in qualità di “già legale
rappresentante e socio accomandatario della S.a.s. Matrix”, illustrato con
memoria; la società non ha svolto attività difensiva in questa sede. Questi
sono i motivi:
3.1. Nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt.
24 Cost. 101, 190 e 275 c.p.c. (motivo ex art. 360 n. 4 c.p.c.) e chiede alla
Corte se sia nulla per violazione del principio del contraddittorio e delle
predette norme la sentenza nella quale sia indicata quale data di
deliberazione una data anteriore a quella prevista per il deposito degli scritti
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funzionario” e non “pubblico depositario” (Cass. S.U. 20.3.1986 n. 1973 e

difensivi di cui all’art. 190 c.p.c., e ciò anche allorquando la data appaia
erronea, ma non sia possibile, in base agli atti, individuare quella effettiva e
reale come certamente anteriore a quella di scadenza del termine di cui
all’art. 190 c.p.c..
3.2. Omessa pronuncia in ordine all’eccepito difetto di legittimazione
attiva della società Matrix relativamente al pignoramento in danno di
Alessandro Apolloni. Violazione del’art. 112 c.p.c. (motivo ex art. 360 n. 4

sentenza che, a fronte dell’eccezione del convenuto in un giudizio di
opposizione agli atti esecutivi di appartenenza di parte dei beni pignorati
non all’opponente, bensì ad altro soggetto (sottoposto a pignoramento nella
sua qualità di socio illimitatamente responsabile della società opponente),
con conseguente difetto di legittimazione dell’opponente a promuovere
l’opposizione con riferimento a tali beni, accolga integralmente
l’opposizione senza alcuna motivazione sull’eccezione di parte opposta e
liberi tutti i beni pignorati dal vincolo dall’espropriazione.
3.3. Violazione ed errata interpretazione degli artt. 475, 479, 669 octies
e 669 duodecies c.p.c. (motive ex art. 360 n. 3 c.p.c.). Chiede alla Corte se,
nel caso di provvedimento cautelare emesso ai sensi degli artt. 700 e 669

octies c.p.c., il quale contenga la condanna alle spese della parte
“istanziata”, sia necessario, per il soddisfacimento del correlativo credito in
via coattiva, mediante pignoramento ai sensi dell’art. 491 ss.. c.p.c.,
procedere alla previa spedizione in forma esecutiva del provvedimento
cautelare ai sensi dell’art. 475 c.p.c. ed alla previa notificazione di esso al
creditore ai sensi dell’art. 479 c.p.c..
3.4. Violazione degli artt. 91 e 132 c.p.c. (motivo ex art. 360 n. 4 c.p.c.).
Chiede alla Corte se in tema di liquidazione di spese giudiziali l’esigenza di
assicurare alle parti il controllo della liquidazione imponga al giudice, ai
sensi dell’art. 132 c.p.c., di liquidare separatamente gli onorari di avvocato, i
diritti di procuratore e le spese vive.
3.5. Violazione degli artt. 60 r.d.l. 27.11.1933 n. 1578,4 D.M. Giustizia
8.04.2004 n. 127 e 91 c.p.c. (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.). Chiede alla
Corte se il Giudice possa liquidare a carico del soccombente le spese
giudiziali in misura eccedente quella delle tariffe massime vigenti, senza
dare conto di ciò nella motivazione.
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c.p.c.). Chiede alla Corte se violi il precetto di cui all’art. 112 c.p.c. la

4.1. – I motivi del ricorso si rivelano tutti inammissibili per inidoneità del
quesito di diritto formulato in relazione a ciascuno di essi. In presenza di
tale situazione, non è necessario procedere all’integrazione del
contraddittorio, nei confronti degli altri soci della Matrix, prospettata in
controricorso ed in memoria dall’Apolloni. Si deve ribadire infatti, che nel
giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata
del processo impone, in presenza di un’evidente ragione

quesiti di diritto), di definire con immediatezza il procedimento, senza
la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di
litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di
un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (Cass.
S.U. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010; Cass. n. 18375/2010; Cass. n.
21141/2011, ord.; Cass. n. 690/2012).
4.2. — Quanto all’inidoneità dei quesiti di diritto, l’art. 366-bis cod. proc.
civ., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata
depositata il 5.2.2009), prevede le modalità di formulazione dei motivi del
ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria d’inammissibilità del
ricorso se, in presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360,
primo comma, cod. proc. civ., ciascuna censura, all’esito della sua
illustrazione, non si traduca in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e
formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod.
proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a

dicta

giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza (Cass. n.
4556/09).
4.3. – Infatti, rispetto a tutti i motivi, che deducono violazioni dell’art. 360
n. 3 e 4, il quesito di diritto formulato si rivela inidoneo, dovendosi ribadire
che esso non può consistere in una domanda che si risolva in una mera
richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine
alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la
chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di
cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una

regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione
in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno
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d’inammissibilità del ricorso (nella specie, per la palese inidoneità dei

schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una
fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel
quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in
luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n
2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si
assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma

possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poiché una
siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in
questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di
diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad
ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere
del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il
modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla
cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo
tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o
rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre,
insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore
di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale,
secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.
4.4. – Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati in relazione a
tutti i motivi del ricorso, dato che non contengono adeguati riferimenti in
fatto (circa l’oggetto della questione controversa, né circa la sintesi degli
sviluppi della controversia sullo stesso, né la precisa indicazione delle
effettive ragioni della decisione oggetto delle critiche dei ricorrenti), né
espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente
applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, esso si limita ad
enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e
specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità
alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la
causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Inoltre, il quesito di diritto non può
risolversi – come nella specie – in una tautologia o in un interrogativo
circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non
consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536;
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di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto

Cass. 25/3/2009 n. 7197).
4.5. — Oltre ai suddetti profili di inammissibilità, le censure prospettate si
rivelano prive di pregio anche sotto altri profili.
Invero, quanto al primo motivo, è evidente che nessun diritto di difesa
del ricorrente sia stato leso. Al riguardo, secondo la giurisprudenza
consolidata di questa Corte, l’indicazione della data di deliberazione della
sentenza non è, a differenza dell’indicazione della data di pubblicazione (che

essenziale dell’atto processuale, e tanto la sua mancanza, quanto la sua
erronea indicazione, non integrano gli estremi di alcuna ipotesi di nullità
deducibile con l’impugnazione, costituendo, per converso, fattispecie di
mero errore materiale emendabile ex artt. 287, 288 c.p.c. (Cass. n.
4208/2004; n. 10100/2006). Oltretutto, la diversità della data di
deliberazione della sentenza indicata in calce alla medesima e la data
dell’udienza collegiale fissata per tale deliberazione non è di per sé sola
sufficiente a far ritenere, nel caso che quest’ultima sia successiva, che la
sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza, cioè a far ritenere
superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio,
e si configura, invece, come frutto di mero errore materiale non invalidante.
(Cass. n. 8529/2012; n. 16920/2009). Di conseguenza, é evidente che, nel
caso di specie, l’erronea indicazione della data di deliberazione, non
costituendo elemento essenziale della sentenza, non può integrare alcuna
ipotesi di nullità, rappresentando al contrario un mero errore materiale.
4.6. — Con riferimento al secondo motivo, il ricorrente, riproponendo in
questa sede la questione relativa alla proprietà di alcuni beni coinvolti
nell’esecuzione forzata, censura elementi di fatto riservati
all’apprezzamento del giudice di merito e, come tali, insindacabili davanti a
questa Corte. Senza contare che il motivo è privo del requisito
dell’autosufficienza, non essendo indicati nella formulazione del ricorso i
beni dei quali si controverte la proprietà. In ottemperanza a tale principio,
incombeva sul ricorrente l’onere di riportare nel ricorso la chiara
indicazione dei beni sui quali era controversa la proprietà, non consentendo
diversamente, a questa Corte, di verificare la fondatezza della censura.
4.7. — Quanto alla questione oggetto del terzo motivo di ricorso, la Corte
territoriale accoglieva la doglianza formulata dall’allora opponente,
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ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), elemento

accertato che si procedeva all’esecuzione delle sole spese processuali del
procedimento cautelare senza la previa spedizione del titolo in forma
esecutiva e senza la sua previa notificazione in tale forma. Tale conclusione
è condivisibile, considerato che la tecnica di attuazione delle misure
cautelari di cui all’art.

669-duodecies

c.p.c., è riferibile ai soli

provvedimenti di accoglimento della domanda cautelare. Ne deriva che il
provvedimento di condanna alle spese del giudizio cautelare deve avvenire

dalla notificazione dell’ordinanza stessa spedita in forma esecutiva (Cass. n.
11387/1997; n. 481/2003). Per l’esecuzione forzata della condanna alle
spese della procedura cautelare non si può quindi prescindere, neanche
quando il relativo capo sia accessorio ad un provvedimento cautelare, dalla
spedizione in forma esecutiva del titolo di cui all’art. 475 c. 1 c.p.c., stante
la natura non cautelare della statuizione sulle sole spese che come tale non
giustifica l’applicazione delle modalità celeri previste per l’attuazione di
determinati provvedimenti cautelari dall’art. 669-duodecies c.p.c..
4.8. – Anche la doglianza contenuta nel quarto motivo – con cui il
ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere separatamente
liquidato gli onorari, i diritti e le spese – non coglie nel segno, poiché,
diversamente dalla liquidazione complessiva operata nel dispositivo, dalla
lettura della motivazione della sentenza impugnata, nella sua parte finale
emerge chiaramente la ripartizione di tali voci di spesa. La mera omissione
al secondo importo della dicitura “onorari” è da considerarsi un mero errore
materiale. Il motivo è infondato anche volendo aderire alla tesi del
ricorrente in ordine alla mancata specificazione tra diritti e onorari. Per
giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di spese processuali,
qualora la parte alla quale vanno rimborsate abbia presentato la relativa
nota, è ammissibile la liquidazione globale, sempre che siano indicati
separatamente gli onorari di avvocato rispetto ai diritti di procuratore,
dovendosi presumere che il giudice abbia voluto liquidare le spese in
conformità a detta nota; nel caso in cui, invece, la nota non sia stata
presentata, il giudice, pur avendo il potere-dovere di provvedere ugualmente
alla liquidazione delle spese sulla base degli atti di causa, è tenuto ad
indicarle specificamente (Cass. n. 16993/2007; n. 26037/2005). Dagli atti
difensivi di entrambe le parti„ emerge chiaramente la presentazione ad
9

attraverso le forme dell’esecuzione forzata e questa deve essere proceduta

opera dell’Apolloni di almeno due note spese, con conseguente conformità a
tale principio della soluzione fornita dal giudice di merito, anche volendo
aderire, pur non condividendola, alla tesi sostenuta dal ricorrente.
4.10. L’ultimo motivo di ricorso – con cui il ricorrente lamenta
l’eccessiva liquidazione delle spese di giudizio – presenta ulteriori profili
d’inammissibilità, oltre a quelli sopra evidenziati. Per giurisprudenza
costante di questa S. C., in tema di controllo della legittimità della pronuncia

che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di
inderogabilità della tariffa professionale, atteso che, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli
errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei
diritti di procuratore che si ritengono violate (Cass. n. 5581/2003; n.
14542/2011). 11 ricorrente, limitandosi a produrre una nota spese, non
contesta nessuna voce di diritti ed onorari, non consentendo a questa Corte il
controllo di legittimità della liquidazione senza necessità di ulteriori
indagini.
5 — Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
in dispositivo in favore del difensore dell’ Apolloni, parte costituita,
dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, in favore del difensore della parte costituita,
dichiaratosi distrattario, che liquida in Euro 2.300,00=, di cui Euro
2.100,00= per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2013.

di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione

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