Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8940 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 31/03/2021), n.8940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33667-2019 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dagli avvocati MARCO TARELLI, BRUNO BELLINI;

– ricorrente –

contro

C.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1950/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 01/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda può riassumersi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Firenze, disposto richiamo del ctu, confermò la sentenza di primo grado, la quale aveva rigettato la querela di falso proposta da R.M. nei confronti di C.C., in relazione al testamento olografo di C.R.;

– avverso la sentenza di secondo grado ricorre l’appellante, sulla base di quattro censure, ulteriormente illustrate da memoria, con allegata produzione inammissibile (art. 372 c.p.c.), nel mentre la controparte è rimasta intimata;

ritenuto che con l’osmotico complesso censuratorio il ricorrente prospetta nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., e art. 2279 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “vizio di motivazione” e violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, “omessa valutazione di un fatto storico decisivo e risultante dagli atti di causa”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo, in sintesi, che la sentenza d’appello:

– era caduta in “irriducibile contraddittorietà” per avere affermato che la scansione delle parole nella scheda testamentaria appariva spontanea “nella sua aritmia e disarmonia tipica del gesto senile”, sostenendosi, altresì, illogicamente, che il gesto grafico del falsario imponesse di necessità una pressione minore, verificandosi, invece, spesso il contrario, a causa del calco;

– la Corte locale aveva errato nel fare applicazione della regola sulle presunzioni, mancando gravità e precisione indiziaria, surrogati, per contro, dalla distorsione della realtà, che, invece, evidenziava la presenza di “ripassi”;

– la decisione si era immotivatamente appiattita sulle conclusioni del ctu, senza tener conto delle “precise e puntuali contestaRioni scientifiche contenute nella consulenza di parte”;

– “la consulenza grafologica non costituisce un mezzo imprescindibile per la verifica dell’autenticità della sottoscrizione, potendo il giudice evitare di fare ricorso ad essa ove tale accertamento possa essere effettuato sulla base degli elementi acquisiti o mediante l’espletamento di altri mezzi istruttore”, siccome affermato in sede di legittimità;

– non era stato esaminato il fatto secondario, il quale è sempre inferenziale, nella specie costituito da quelli che erano stati indicati come “gesti fuggitivi”, perchè sottratti alla coscienza dello scrivente; considerato che l’insieme delle sopra esposte correlate censure non supera il vaglio d’ammissibilità per il concorrere di più autonome ragioni:

a) all’evidenza il ricorrente sollecita un riesame di merito in questa sede non consentito, peraltro aspecificamente, sulla base di emergenze non messe specificamente a disposizione della Corte, a fronte di una motivazione completa e priva di aporie, tali da minarne il significato di giustificazione razionale della decisione (è appena il caso di soggiungere che la Corte d’appello, fattasi pienamente carico delle osservazioni del ct di parte, ha richiamato il consulente d’ufficio e dato compiuto e analitico resoconto delle spiegazioni di quest’ultimo, insindacabilmente condivise da quel Giudice – si vedano, in particolare, le pagg. 5 e 6 -);

b) risulta palese che il ricorso, sotto l’usbergo delle denunziate violazione di legge e omesso esame di un fatto controverso e decisivo mira ad un inammissibile riesame di merito, invero da ben oltre un decennio questa Corte è ferma nel chiarire che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U., n. 1031, 05/05/2006, Rv. 589877; conf. ex plurimis, Cass. n. 4178/2007, n. 4178/2007; n. 8315/013, n. 26110/015, n. 195/016, n. 24054/017, n. 24155/017);

c) nella sostanza, scevra da dissimulazione, il ricorrente con i motivi in esame insta per un riesame delle insindacabili valutazioni del giudice del merito e la denunzia di violazione di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. n. 11775/019, n. 6806/019, n. 30728/018);

d) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre e, peraltro, neppure viene adombrata, del difetto assoluto di motivazione, anche sotto forma di mera apparenza;

e) deve rilevarsi lo scopo eccentrico della denunziata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e della norma di diritto sostanziale sopra riportata (la violazione di quest’ultime presupporre un diverso accertamento fattuale) diretto a contestare il vaglio probatorio, poichè, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299), stante che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Sez. 3, n. 23940, 12/10/2017, n. 645828);

f) francamente incomprensibile appare il richiamo al principio di diritto secondo il quale la consulenza grafologica può non costituire l’unico mezzo per accertare se il documento sia falso, stante che il ricorrente, querelante di falso, non ha affatto evocato altro e decisivo mezzo istruttorio.

Diritto

CONSIDERATO

che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non occorre far luogo a regolamento delle spese poichè la controparte è rimasta intimata;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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