Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8938 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 31/03/2021), n.8938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27355-2019 proposto da:

B.P., BA.DA.AN., B.S.,

B.N., quali eredi di B.L., elettivamente domiciliati

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR,

ROMA, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocati GIOVANNI GIORGI;

– ricorrenti –

contro

L.A., L.G., elettivamente domiciliate presso

la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA,

rappresentate e difese dall’avvocato CLAUDIO BALBONI;

– controricorrenti –

contro

LA.TO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1845/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– B.L., convenuto in un giudizio di divisione di compendio ereditario immobiliare eccepì acquisto per usucapione e, in via di subordine, chiese che le attrici, L.A. e L.G., fossero condannate al rimborso delle spese dal medesimo sostenute per opere di manutenzione ordinaria e straordinaria;

– il Tribunale, sempre per quel che qui rileva, disattese entrambe le riconvenzionali e la Corte d’appello di Bologna, alla quale si erano rivolti Ba.Da.An., B.P., B.N. e B.S., eredi di B.L., nelle more deceduto, confermò sul punto la decisione di primo grado;

– avverso la sentenza di secondo grado ricorrono, sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, gli appellanti;

– L.A. e L.G. resistono con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo, con il quale i ricorrenti prospettano violazione e falsa applicazione degli artt. 714, 1102, 1140, 1141, 1144, 1158 e 1164, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Giudice di secondo grado reputato non essere stato provato il possesso “ad excludendum”, nonostante che il loro dante causa avesse esercitato il possesso esclusivo sull’immobile, non limitandosi alla mera gestione (aveva edificato in sopraelevazione), così estromettendo “nei fatti” gli altri partecipanti, non supera lo scrutinio d’ammissibilità, in quanto:

a) la censura non attinge la “ratio decidendi” della Corte locale, la quale ha chiarito, in conformità del consolidato orientamento di questa Corte, che il coerede, in ragione del titolo che gli è proprio, può ben godere con pienezza dell’intero bene, senza che con ciò manifesti animo di possessore esclusivo, con la conseguenza che l’aver compiuto opere di manutenzione, anche straordinarie, non potrebbe giammai costituire utile interversione, occorrendo che inequivocamente egli impedisca il compossesso degli altri contitolari, escludendoli dal godimento del bene, presumendosi, in difetto, che abbia agito, appunto nella qualità (confr., ex multis, Cass. n. 10734/2018, n. 7221/2009);

considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti contrastano il rigetto della domanda subordinata di rimborso, affermando che la Corte locale aveva errato a fare applicazione dell’art. 1108 c.c. (la sentenza d’appello aveva reputato assorbente la circostanza che le opere erano state eseguite senza il consenso degli altri coeredi), sulla base del principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 c.c., – secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per il suddetto bene comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 5135, 21/2/2019, Rv. 652697), è infondato, dovendosi osservare che:

– la giurisprudenza evocata, peraltro consolidata da vari decenni, chiamata a decidere se al coerede, che avesse svolto lavori di miglioria, fosse applicabile l’art. 1150 c.c., o gli spettasse il mero rimborso dello speso, ha concluso nel secondo senso;

– resta, tuttavia, non inciso il presupposto che il coerede debba avere agito quale mandatario o utile gestore, qui, per contro, non solo un tale presupposto non è dato, ma addirittura sono gli stessi ricorrenti ad affermare che il loro dante causa aveva inteso agire autonomamente, come se fosse il proprietario esclusivo;

– sul punto non è dato emergere insanabile contrasto, al contrario di quel che deducono i ricorrenti con la memoria, tra l’affermazione secondo la quale il coerede può godere in pienezza del bene, anche dando luogo a opere straordinarie, senza con ciò manifestare interversione nei confronti degli altri coeredi, e la circostanza che le opere risultino essere state effettuate senza che il ricorrente si fosse reso mandatario o utile gestore anche per conto degli altri eredi;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (cent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore delle controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle controricorrenti, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

 

 

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