Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8937 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 31/03/2021), n.8937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18314-2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 334/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 03/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.A., pakistano, ricorre per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Catanzaro che ne ha respinto il gravame in tema di protezione internazionale; denunzia: (i) col primo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e della Dir. n. 2013/32-CE, art. 46, per avere la corte omesso di procedere all’audizione nonostante i dubbi avanzati a proposito della credibilità delle dichiarazioni rilasciate in sede amministrativa; (ii) col secondo motivo la violazione dell’art. 132 c.p.c., per motivazione solo parvente a proposito della valutazione delle prove documentali; (iii) col terzo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, a proposito del mancato riconoscimento dello status di rifugiato;

il Ministero dell’Interno ha depositato un semplice atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – il primo motivo è inammissibile;

questa Corte ha chiarito che nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente;

tale audizione può essere disposta se nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti), ovvero se il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente, e sempre che il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti; anche in tal caso peraltro l’audizione può esser negata se la domanda sia ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (v. Cass. n. 21584-20, Cass. n. 22049-20, Cass. n. 25312-20);

nel caso concreto non risulta dal ricorso che sia stata chiesta l’audizione, nè tantomeno sulla base di quali fatti specifici da approfondire;

II. – il terzo motivo, da esaminare prioritariamente rispetto al secondo, è inammissibile poichè generico, essendo postulati errori valutativi a proposito della domanda relativa al rifugio, ma senza specificazione degli errori di diritto concretamente riscontrabili; invero dal racconto nuovamente narrato a premessa del ricorso non è dato individuare alcun fatto implicante il timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate (v. Cass. n. 30969-19, Cass. n. 14157-16);

III. – il secondo motivo è invece fondato in relazione al diniego di protezione umanitaria;

dalla sentenza risulta che l’appellante aveva censurato la decisione di primo grado sull’assunto che non fosse stata adeguatamente vagliata, in termini comparativi, la situazione esistente nel Paese di provenienza a fronte della propria situazione personale;

la corte d’appello, dopo aver lungamente descritto la situazione di instabilità del Pakistan (per debolezza dei governi, attacchi terroristici e attentati), e dopo aver dato atto di giudicare in base alle norme del t.u. imm. anteriori al D.L. n. 113 del 2018, ha respinto il gravame osservando che nessuna allegazione era stata fornita in termini di specifica vulnerabilità e che comunque, per lacunosità e incongruenza delle dichiarazioni e per la mancanza di altri elementi di riscontro, non erano emersi “fatti o accadimenti” sulla cui base “ragionevolmente ritenere la sussistenza (..) di una condizione soggettiva tale da determinare il riconoscimento dell’invocata misura” funzionale a proteggere il richiedente “dal rischio di essere immesso, al rientro in Pakistan, in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a determinare la significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili”;

l’affermazione, del tutto impersonale e generica, non soddisfa l’onere motivazionale;

dal ricorso risulta (in prospettiva di autosufficienza) che l’appellante aveva giustificato la domanda affermando che, dopo l’omicidio del nonno, aveva chiesto l’intervento delle autorità sporgendo denuncia; che tuttavia questa denuncia, allegata in causa, era stata ignorata; che di conseguenza egli aveva subito ritorsioni ed era stato costretto a fuggire;

in aggiunta risulta che l’appellante aveva prodotto documentazione asseritamente comprovante il percorso di integrazione compiuto in Italia, culminate in due contratti di lavoro a tempo determinato prodotti con le relative buste paga;

a fronte di tanto non può dirsi che non fosse stato assolto l’onere di allegazione della situazione personale del richiedente, e la scarna motivazione della sentenza non consente di stabilire se, e con quale specifico esito, sia stata fatta la valutazione comparativa che si richiede per un serio scrutinio della domanda di protezione umanitaria; questa Corte ha difatti stabilito che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (v. Cass. Sez. U n. 29459-19);

IV. – ne segue che l’impugnata sentenza va cassata e la causa rinviata alla corte d’appello di Catanzaro affinchè, in diversa composizione, provveda alla valutazione richiesta uniformandosi al principio di diritto esposto;

la corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, inammissibili gli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di Catanzaro anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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