Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8936 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. I, 14/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5206/2019 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, Via

Fermi n. 3, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lufrano, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura alle liti allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2279/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta da A.M., cittadino del (OMISSIS), proveniente dalla regione del Punjab.

A sostegno della decisione ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento nè della protezione maggiore, nè della protezione umanitaria.

Quanto alla protezione maggiore – sia nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, che in quella della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) – ha rilevato che i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale consentivano di escludere sia che il richiedente potesse subire, in ipotesi di rimpatrio, una forma di persecuzione o la condanna alla pena di morte o un trattamento inumano o degradante, atteso che dalle sue pur lacunose e scarsamente credibili dichiarazioni era emerso che le ragioni dell’allontanamento dal Paese di origine erano da individuarsi in questioni di natura civilistica scaturite dal mancato adempimento di debiti contratti per far fronte alla propria attività di agricoltore, sia che potesse rimanere esposto alla minaccia di un danno grave alla vita o all’incolumità personale, alla stregua di quanto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), posto che le informazioni sul Pakistan, e in particolare sul Punjab, desunte da affidabili fonti nazionali ed internazionali, pur dando atto dell’esistenza di una condizione di insicurezza del Paese, non consentivano di configurarne la situazione nei termini del conflitto interno o della violenza generalizzata.

Quanto alla protezione umanitaria, ha evidenziato che i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano nè dalla situazione soggettiva dell’appellante, nè da quella del Paese di origine.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il menzionato cittadino straniero, affidando l’impugnativa a tre motivi.

– Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in riferimento alla mancata attivazione dei poteri istruttori da parte della Corte di appello per colmare le lacune probatorie riscontrate nel racconto del richiedente protezione.

– Il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’apprezzamento delle condizioni socio-politiche del Paese di origine del ricorrente, erroneamente ritenuto non caratterizzato da una situazione di conflitto armato interno e di violenza generalizzata.

– Il terzo motivo denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, posto che la condizione personale di vulnerabilità del richiedente può ben consistere nella mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza dignitosa nella quale questi si verrebbe a trovare in caso di rimpatrio.

3. Il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile

1. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di A.M. è rivolto contro la sentenza n. 2279/2018 della Corte di appello di Ancona ed è corredato da una “procura alle liti “, apposta, su foglio separato, privo di data e materialmente congiunto al ricorso ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 2, che risulta essere stata conferita all’Avvocato Giuseppe Lufrano da A.M. per essere rappresentato e difeso: “nel presente procedimento ed in ogni sua fase, stato e grado, compreso l’eventuale appello od opposizione…conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge ed in particolare quella di transigere e conciliare la lite, rinunciare agli atti del giudizio ed accettare rinunce, depositare quietanze ed incassare somme, proporre domande riconvenzionali, appelli principali od incidentali, eccezioni, opposizioni, reclami, querele di falso ed istanze di ogni genere, precisare e modificare le domande, eccezioni e conclusioni proposte, chiamare in causa terzi, riassumere o proseguire il giudizio in caso di interruzione o sospensione, compiere atti conservativi o cautelari in corso di causa, redigere precetti ed agire esecutivamente, con facoltà di nominare sostituti processuali con pari poteri; eleggendo domicilio presso l’indirizzo pec del predetto procuratore, avv.lufrano.pec.it, il cui studio si trova in (OMISSIS)”.

2. Rileva il Collegio che il mandato alle liti allegato al ricorso non è idoneo ad integrare una procura speciale alla proposizione del ricorso per cassazione ex art. 365 c.p.c., in quanto il mandato contenuto in foglio separato spillato di seguito all’atto, non solo non contiene alcun riferimento alla sentenza impugnata, nè reca alcuna data, ma si riferisce ad una procura conferita per “tutte le fasi e gradi del presente giudizio” e “per l’eventuale appello od opposizione” con un tenore incompatibile con l’esigenza di dimostrare la specialità della procura medesima.

Questa Corte ha più volte ritenuto inammissibile, per difetto di procura speciale, il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ex art. 83 c.p.c., comma 2, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione e con la specialità richiesta ed anzi dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali (Sez. L, n. 28146 del 05/11/2018, Rv. 651515-01; Sez. 6-3, n. 18257 del 24/07/2017, Rv. 645155-01; Sez. 1, n. 6070 del 21/03/2005, Rv. 580207-01).

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto per le spese essendo il Ministero intimato rimasto tale. Il doppio contributo andrà versato ove dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, andrà versato dal ricorrente ove ne sussistano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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