Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8935 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. II, 31/03/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 31/03/2021), n.8935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24767/2019 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositata il

08/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Catanzaro con decreto pubblicato l’8 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da H.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè dopo la morte del padre aveva litigato con il fratello a causa di alcuni terreni lasciati in eredità. Il fratello aveva venduto una parte di questi terreni, egli se ne era lamentato ed era stato minacciato di morte dal fratello. Successivamente aveva subito un’aggressione in casa di notte da sconosciuti che lo avevano accoltellato alla schiena e avevano ucciso uno dei suoi figli. La moglie era scappata con gli altri figli e lui non ne aveva più avuto notizia. Dopo un mese di ricovero in ospedale aveva lasciato il paese per paura di essere ucciso dal fratello. Prima dell’aggressione aveva anche denunciato il fratello alla polizia che però essendo corrotta non aveva fatto nulla.

Il Tribunale reputava generica e contraddittoria la narrazione effettuata dal richiedente e, dunque, non credibile. Di conseguenza il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciare il paese non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c), per la non verosimiglianza del racconto sui motivi dell’espatrio. Il richiedente non aveva allegato che, in caso di rimpatrio, poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali il Ghana non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non erano stati allegati fatti rilevanti ai fini della valutazione sulla vulnerabilità presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3. H.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o mancata applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2.

Secondo il ricorrente il Tribunale, alla luce della sua provenienza dal Ghana, con l’utilizzo dei poteri officiosi avrebbe dovuto indagare meglio sulla regione di provenienza e sull’effettiva possibilità per il richiedente di essere tutelato nel suo paese, anche in considerazione del rischio di essere ucciso dal fratello e dallo zio oltre che per il suo analfabetismo, per l’indisponibilità di mezzi economici e per l’inerzia delle autorità locali.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sulla valutazione di mancanza di credibilità.

Il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda nel rispetto dei criteri previsti dall’art. 3 citato e il Tribunale ha motivato la valutazione di non credibilità senza un effettivo riscontro delle notizie reperibili sul paese di origine e senza attivare i poteri officiosi, in particolare in relazione al problema delle faide familiari.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9.

La censura attiene all’utilizzo delle fonti del tutto insufficiente e non aggiornate sul paese di origine.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

A parere del ricorrente il Ghana è un paese rientrante tra quelli per i quali è necessario riconoscimento della protezione internazionale, non essendo rispettati i diritti umani essendo prevista la pena di morte per omicidio, tradimento, rapina a mano armata e dove la stessa Farnesina nel sito (OMISSIS) indica zona soggetta a situazioni pericolose.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, è conseguente violazione degli artt. 2 e 10 Cost. e artt. 3 ed 8 CEDU.

La censura attiene al rigetto della richiesta di protezione umanitaria senza tener conto della situazione oggettiva del Ghana e della violazione sistematica grave dei diritti umani in tale paese. Ciò sarebbe sufficiente a determinare la condizione di vulnerabilità personale anche tenuto conto della struttura con i legami familiari di origine del richiedente del suo allontanamento dalla zona di nascita.

6. I cinque motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nella specie il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile alla stregua dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, citato art. 3, comma 5. La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del paese di provenienza, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo, quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

Il racconto del ricorrente, peraltro, non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

7. In conclusione il ricorso è inammissibile.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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