Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8934 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 19/04/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 19/04/2011), n.8934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.G.A. in proprio e nella qualità di titolare

della ditta individuale D.M. di S.G.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 83/A, presso lo

studio dell’avvocato ZIPPARRO WLADIMIRA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato REGINA PASQUALE, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DEL FANTE 10, presso lo studio dell’avvocato CELATA

ORFEO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5562/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

3.7.08, depositata il 19/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ELISABETTA

CESQUI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 3.7.2008/19.10.2009 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma n. 9526/2005, impugnata da S.G.A., che aveva condannato quest’ultimo al pagamento in favore di L.F. della somma di Euro 7.824,33 per crediti retributivi.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso S.G. A. con un unico motivo.

Resiste con controricorso L.F..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con un unico motivo il ricorrente lamenta violazione di legge (artt. 2070, 2099, 2697 c.c., art. 36 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) ed, al riguardo, osserva che la corte territoriale, dopo aver ritenuto tardivamente proposta l’eccezione relativa all’inapplicabilità del contratto collettivo del settore turismo- pubblici esercizi, in luogo di quello del settore artigiano, aveva con contraddittoria motivazione dato rilievo, al fine di escludere la fondatezza dell’eccezione, a documenti acquisiti in grado di appello ed ancora che, ai fini della determinazione delle differenze retributive, era stata integralmente applicata la disciplina collettiva, e non solo nei limiti dei minimi salariali, in contrasto con l’art. 36 Cost..

Il motivo è manifestamente infondato.

La corte territoriale, nel dar atto che il ricorrente, il quale, costituendosi in giudizio nulla aveva eccepito in ordine alla contrattazione collettiva applicabile, ed, anzi, aveva sostenuto che la lavoratrice avrebbe dovuto essere inquadrata come aiuto-commessa, così facendo implicito riferimento alle stesse declaratorie del contratto collettivo invocato dalla controparte, ha correttamente ritenuto che l’eccezione sollevata solo con le note difensive autorizzate per l’udienza di discussione fosse da ritenere tardiva.

Ed, infatti, la statuizione censurata appare conforme al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui nel rito del lavoro, l’art. 416 c.p.c., comma 3, pone a carico del convenuto un onere di contestazione specifica, e da esercitarsi, comunque, non oltre l’udienza prevista dall’art. 420 c.p.c., comma 1, in ordine ai fatti costitutivi del diritto affermati dall’attore, con la conseguenza che l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto determina la superfluità della prova su tali circostanze, in quanto ormai estranee al thema decidendum, rendendole incontroverse ed inopponibili nelle successive fasi processuali (cfr.

SU n. 761/2002 e successivamete, ad esempio, Cass. n. 945/2006). Tale statuizione costituisce, peraltro, nell’economia della decisione, ragione autonoma ed autosufficiente (rispetto ai rilievi successivamente svolti dalla stessa corte di merito) per il rigetto dell’impugnazione e determina, pertanto, l’assorbimento di ogni ulteriore e connessa censura.

E ciò in aderenza al consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della stessa, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia avuto esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza nella sua interezza, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che l’una o l’altro autonomamente sorreggono, con la conseguenza che è sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa ad una sola di tali ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza (v. ad es. Cass. n. 5902/2002;

Cass. n. 2273/2005; Cass. n. 2811/2006).

Quanto, poi, all’asserita violazione dei principi sulla retribuzione sufficiente ex art. 36 Cost, deve osservarsi che di tale censura non vi è traccia nella sentenza impugnata e che, non avendo il ricorrente ritualmente documentato di averla proposta nei precedenti gradi del giudiziosa stessa deve apprezzarsi come nuova, e, quindi, inammissibile in questa sede.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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