Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8933 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. I, 14/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3300/2019 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n.

38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1391/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta da E.G., cittadino (OMISSIS), proveniente dalla regione di Delta State.

A sostegno della decisione ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento nè della protezione sussidiaria, nè della protezione umanitaria.

Quanto alla protezione sussidiaria, ha rilevato che i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale consentivano di escludere che il richiedente potesse subire, in ipotesi di rimpatrio, alcuno dei danni gravi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14: e ciò sia con riferimento alle fattispecie di cui alle lettere a) e b), atteso che dalle generiche e confuse dichiarazioni rese dall’appellante era emerso soltanto il timore soggettivo di poter essere arrestato, in caso di rimpatrio, perchè sospettato di avere insieme ad altri appiccato il fuoco ad un macchinario di una compagnia petrolifera, sia con riferimento alla fattispecie di cui alla lett. c), posto che le informazioni sul Delta State, desunte dalle fonti qualificate del Ministero degli Esteri, di Amnesty International (report 2016-2017) e dell’UNHCR non consentivano di configurarne la situazione nei termini del conflitto interno o della violenza generalizzata.

Quanto alla protezione umanitaria, ha evidenziato che i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano nè dalla situazione soggettiva dell’appellante, nè da quella del Paese di origine.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il menzionato cittadino straniero, affidando l’impugnativa a quattro motivi.

– Il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nella situazione di pericolosità e di violenza generalizzata in Nigeria, in relazione al rigetto della protezione sussidiaria, risultando la motivazione rassegnata sul punto apparente, in quanto priva dell’indicazione degli elementi concreti che avevano condotto la Corte territoriale a pervenire al convincimento circa l’assenza di un pericolo concreto per la vita o per l’incolumità dell’esponente in caso di rimpatrio.

– Il secondo motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente: segnatamente lamenta che, residuando zone d’ombra in ordine alla credibilità e alla completezza delle dichiarazioni da questi rilasciate, la Corte d’appello avrebbe avuto l’obbligo di procedere alla sua audizione.

– Il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alle condizioni socio-politiche del Paese di origine del ricorrente, rispetto alle quali la motivazione contenuta nel provvedimento impugnato sarebbe affetta da patente illogicità.

– Il quarto motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il mancato riconoscimento della protezione umanitaria prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e la violazione del principio di non refoulement di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in relazione all’art. 10 Cost., avendo tra l’altro la Corte territoriale omesso di attivare i propri poteri officiosi in ordine alla situazione di integrazione conseguita dal ricorrente in Italia, tenuto conto della ridottissima aspettativa di vita presente in Nigeria, in cui i diritti fondamentali della persona sono minimamente garantiti.

3. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, articolando censure avverso il diniego di protezione sussidiaria; censure che si appuntano sull’apprezzamento da parte del Collegio di merito della situazione interna del Sud della Nigeria, in particolare del Delta State, non riconosciuta come connotata da un conflitto interno suscettibile di dar luogo a violenza generalizzata, siccome dimostrato dalla motivazione manifestamente illogica e contraddittoria rassegnata sul punto.

Le spiegate doglianze sono generiche e, comunque, manifestamente infondate.

1.1. In punto di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), nulla è dedotto nell’impugnativa per specificamente contrastare l’affermazione contenuta in sentenza circa l’assenza di elementi individualizzanti e specifici atti a delineare, in una prospettiva concreta, il pericolo del richiedente di subire alcuno dei danni gravi contemplati dalla norma di riferimento (condanna a morte o esecuzione della pena di morte; tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante) ad effetto del temuto arresto da parte della polizia nigeriana per il danneggiamento con il fuoco del macchinario di una compagnia petrolifera, del tutto corretta dovendosi stimare la notazione della Corte territoriale circa l’insufficienza, ai fini del riconoscimento della detta forma di protezione, di un generico ed indifferenziato richiamo alla situazione della Nigeria.

Peraltro, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte in materia, ritenuti non credibili, come nel caso di specie, i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (Sez. 6-1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571-01).

1.2. Quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la critica rivolta al disconoscimento dell’esistenza nel Sud della Nigeria, in particolare nel Delta State, di una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa esporre, in ragione della sua sola presenza sul relativo territorio, al rischio di subirne gli effetti (Sez. 6-1, n. 25083 del 23/10/2017), si risolve in una deduzione non consentita nel giudizio di legittimità. La riportata conclusione è frutto, invero, di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che non è suscettibile di essere rimesso in discussione, mediante una mera rilettura delle fonti stesse o l’allegazione di altre, ove, come nel caso di specie, sia stato condotto in conformità ai parametri di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3) e con completezza e plausibilità di argomentazione (Sez. 1, n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226-03; Sez. 6-1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087).

2. Il secondo motivo difetta di specificità ed è, comunque, manifestamente infondato.

2.1. Le doglianze che si appuntano sull’omesso esame di fatti decisivi sono sviluppate in spregio all’insegnamento impartito dal diritto vivente, secondo cui:” L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Al lume di tale regula iuris, occorre, allora, prendere atto che, in assenza di specifica indicazione dei fatti storici sui quali sarebbe caduta l’omessa valutazione della Corte di appello, nonchè della loro decisività, il dissenso articolato in ordine alle valutazioni compiute dal Collegio di merito in punto di apprezzamento delle dichiarazioni del richiedente protezione si risolve in un alternativo apprezzamento del materiale istruttorio, insindacabile in questa sede, perchè trasfuso in una motivazione che ha dato conto dei criteri seguiti in termini giuridicamente corretti e logicamente plausibili (Sez. 6-1, n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755-01).

2.2. In riferimento alla censura di omessa audizione personale del richiedente da parte della Corte territoriale, va ribadito che, nel procedimento in grado d’appello relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente (Sez. 6-1, n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297-01; Sez. 6-1, n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702-01), atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non la configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza; donde, ben può il giudice dell’impugnazione respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (Sez. 1, n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815-01; Sez. 6-1, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01).

Al lume di tale principio, i rilievi del ricorrente si appalesano doppiamente generici: vuoi perchè si è taciuto se sia stata o meno avanzata richiesta alla Corte di appello di rinnovata audizione, vuoi perchè non sono state indicati gli specifici fatti, suscettibili di chiarimento, su cui avrebbe dovuto vertere l’incombente istruttorio.

3. Il quarto motivo è generico, essendo incentrato sulla enumerazione dei diritti astrattamente riconducibili a tale forma di protezione senza alcun riferimento ad indicatori specifici suscettibili, per un verso, di consentire di riconoscere nella vicenda personale del ricorrente una lesione effettiva dei diritti umani fondamentali e, per altro verso, di far emergere una condizione individuale di vulnerabilità.

Nulla è d’altronde dedotto in ricorso in ordine a profili decisivi ai fini della valutazione da compiersi: scilicet in ordine all’effettiva condizione di vita del deducente nel suo Paese di origine, salva la generica indicazione della diffusa ridottissima aspettativa di vita dei cittadini nigeriani in riferimento alla mancata fruizione dei diritti umani fondamentali, ed in ordine all’attuale, concreta, situazione di integrazione conseguita in Italia. Il diritto vivente ha, infatti, statuito in materia che: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02).

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dovrà essere versato ove ne ricorrano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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