Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8932 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. II, 31/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 31/03/2021), n.8932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23263/2019 R.G. proposto da:

O.J., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Forlì, alla via Giorgio

Regnoli, n. 51, presso lo studio dell’avvocato Giulio Marabini, che

lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 976/2019 della Corte d’Appello di Bologna;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 17 novembre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. O.J., cittadino della Nigeria, originario dell’Edo State, di religione cristiana pentecostale, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel (OMISSIS), allorchè era assente per ragioni di lavoro, sua moglie aveva nel cortile di casa, in presenza di un concittadino di religione musulmana, inconsapevolmente utilizzato alcune pagine del Corano, a mò di carta igienica, per ripulire la figlia minore, colta da una improvvisa necessità; che i musulmani del villaggio, appresa la notizia, avevano fatto irruzione in casa sua, avevano ucciso la moglie e la figlia ed avevano dato fuoco all’abitazione; che un collega lo aveva avvertito che i musulmani erano intenzionati a vendicarsi pur nei suoi confronti, sicchè senza indugio si era dato alla fuga ed aveva abbandonato la Nigeria; che aveva dapprima raggiunto la Libia, ove era rimasto per circa tre anni, e dalla Libia era approdato in Italia.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza in data 3.2.2017 il Tribunale di Bologna respingeva il ricorso esperito da O.J. avverso il provvedimento della commissione.

4. O.J. proponeva appello.

Resisteva il Ministero dell’Interno.

5. Con sentenza n. 976/2019 la Corte di Bologna rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che, conformemente a quanto assunto dal tribunale, le dichiarazioni rese dall’appellante non potevano reputarsi attendibili, siccome del tutto generiche ed incongrue.

Evidenziava segnatamente che numerose erano le contraddizioni tra i dati forniti all’atto della compilazione del modello C3 e le dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale; che in pari tempo non era chiaro con quali mezzi economici l’appellante avesse repentinamente abbandonato la Nigeria, appresa la notizia dell’assassinio della moglie e della figlia.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b).

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava segnatamente che rivestivano valenza a tal fine, per un verso, l’inattendibilità dell’appellante, per altro verso, l’omessa allegazione di situazioni soggettive di vulnerabilità, per altro verso ancora, l’insufficienza del contratto di lavoro a tempo determinato che O.J. aveva stipulato.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso O.J.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. e), artt. 4, 9, 15 e 20 della direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che la corte d’appello ha reputato inattendibili le sue dichiarazioni e nondimeno non ha provveduto, così come avrebbe in ogni caso dovuto ai fini dell’invocata protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c), ad acquisire, in esplicazione dei suoi doveri istruttori officiosi, informazioni aggiornate in ordine alla situazione sociopolitica della Nigeria con particolare riferimento ai cittadini di fede cristiana.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; l’insufficiente motivazione.

Premette che aveva censurato il primo dictum nella parte in cui il tribunale aveva denegato il riconoscimento della protezione umanitaria alla stregua della reputata inattendibilità delle sue dichiarazioni.

Indi deduce che la corte distrettuale si è limitata a confermare in parte qua la prima statuizione analogamente alla stregua della ritenuta sua inattendibilità, sottraendosi in tal guisa all’onere di motivazione circostanziata.

9. I rilievi postulati dalla delibazione di ambedue i motivi di ricorso tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea di entrambi i mezzi di impugnazione, che comunque sono destituiti di fondamento e vanno respinti.

10. Si rimarca in primo luogo che, nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – tendenzialmente – tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio da parte della corte territoriale, pur con riferimento alla protezione umanitaria, dei suoi poteri istruttori officiosi.

11. D’altra parte, così come si è premesso, la Corte di Bologna ha motivato in maniera congrua ed ineccepibile sia l’affermata inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente sia l’operato disconoscimento della protezione umanitaria, senza incorrere dunque in alcuna delle anomalie motivazionali rilevanti alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, anomalie tra le quali sicuramente non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione.

12. A nulla vale poi che l’appellante adduca – specificamente con il secondo motivo – che in considerazione della situazione di instabilità politica in cui versa la Nigeria, ben avrebbe dovuto la corte bolognese accordargli la protezione umanitaria.

Al riguardo si rappresenta, per un verso, che la corte d’appello ha disconosciuto la protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c).

Al riguardo si rappresenta, per altro verso, che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, è necessario che chi invochi tale forma di tutela, alleghi in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione cosiddetta “maggiore” (cfr. Cass. (ord.) 7.8.2019, n. 21123; Cass. (ord.) 31.3.2020, n. 7622, secondo cui le domande di protezione internazionale, di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria si fondano su differenti “causae petendi”, così che è onere del richiedente allegare fatti specifici e diversi a seconda della forma di protezione invocata).

13. Vero è, certo, che la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c), “prescinde da qualsiasi valutazione sulla credibilità o meno del richiedente” (così ricorso, pag. 12) (cfr. Cass. (ord.) 29.5.2020, n. 10286).

E tuttavia, in proposito, non può non rappresentarsi quanto segue.

Da un lato, la corte di merito, allorchè ha disconosciuto la protezione sussidiaria ex lett. c), ha specificato che l’Edo State, regione nigeriana di verosimile provenienza dell’appellante, alla stregua delle risultanze del rapporto “Human Rights Watch 2017” e del rapporto “E.A.S.O.” risalente al giugno del 2017, non è interessato da situazioni di violenza indiscriminata bensì, al più, da forme di comune criminalità.

Dall’altro, il ricorrente non adduce fonti di informazioni più recenti sulla situazione sociopolitica attualmente esistente in Nigeria (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

14. A nulla vale infine che il ricorrente prospetti – con il primo motivo – che la corte di merito per nulla ha tenuto conto dell’allegata documentazione.

Invero il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

15. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese; nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

16. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

 

 

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