Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8931 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. II, 31/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 31/03/2021), n.8931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23240/2019 R.G. proposto da:

A.S., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Roma, alla via degli Ottavi,

n. 9, presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Scaringella, che

disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Fabio Loscerbo lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 311/2019 della Corte d’Appello di Bologna;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 17 novembre 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. A.S., cittadino del Pakistan, originario della regione del Panjab, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che era stato costretto ad abbandonare il proprio paese d’origine onde sottrarsi alle minacce, alle violenze ed alle persecuzioni del proprio datore di lavoro, minacce e violenze rivolte anche ai suoi genitori.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza in data 27.2.2017 il Tribunale di Bologna respingeva il ricorso con cui A.S., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. A.S. proponeva appello.

Resisteva il Ministero dell’Interno.

5. Con sentenza n. 311/2019 la Corte di Bologna rigettava il gravame.

Evidenziava, tra l’altro, che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava segnatamente, nel quadro della doverosa valutazione comparativa, che, in caso di rimpatrio, l’appellante non si sarebbe ritrovato in condizioni di vulnerabilità; che rivestivano valenza a tal fine, per un verso, la non attualità delle ragioni di pericolo che lo avevano indotto a lasciare il Pakistan, per altro verso, le buone condizioni socioeconomiche della regione pakistana di sua provenienza, tali da indurre a negare la sussistenza di situazioni di generale violazione dei diritti fondamentali.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso A.S.; ne ha chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Deduce che ha errato la corte di merito a reputare inattendibili le sue dichiarazioni e a non avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17.

Deduce che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il giudice deve valutare tutte le circostanze del caso concreto e non deve fondarsi esclusivamente sulla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni all’uopo rese.

9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che l’impugnata sentenza non reca puntuale specificazione della disciplina legislativa applicata ai fini dell’operato riscontro di inattendibilità delle sue dichiarazioni.

10. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 8 e 14.

Deduce che ha errato la corte distrettuale a disconoscere la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c).

11. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che in tema di protezione umanitaria la motivazione è del tutto “apparente”, viepiù a fronte degli elementi di valutazione al riguardo addotti.

Deduce che il riconoscimento della protezione umanitaria prescinde dal riscontro di attendibilità delle dichiarazioni rese.

12. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione di legge; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che ha errato la corte d’appello a negare la protezione umanitaria.

Deduce che in ipotesi di rimpatrio i suoi diritti fondamentali, ovvero il diritto alla salute, all’alimentazione, subirebbero una significativa menomazione.

13. I rilievi postulati dalla delibazione dei motivi tutti di ricorso tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea dei mezzi di impugnazione, che comunque sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, siccome la Corte di Bologna ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

14. Si premette che la corte d’appello ha evidenziato che dall’epoca in cui A.S. aveva riferito di aver subito maltrattamenti e vessazioni da parte del datore di lavoro erano decorsi oltre venti anni, il che induceva a ritenere, così come aveva affermato il tribunale, che, in ipotesi di rimpatrio, l’appellante non sarebbe stato esposto ad alcun pericolo.

Ed ha specificato quindi che non sussistevano i presupposti e per il riconoscimento dello status di rifugiato e per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), viepiù che l’appellante non aveva allegato circostanze rilevanti ai fini del riconoscimento di siffatte forme di protezione.

In questi termini, innegabilmente, le censure veicolate dal primo motivo, dal secondo motivo, dal terzo motivo e dai profili di doglianza del quarto motivo attinenti alla “sussidiaria” del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b), non si correlano alla ratio decidendi (cfr. Cass. (ord.) 10.8.2017, n. 19989; Cass. 17.7.2007, n. 15952).

15. E parimenti generiche e per nulla pertinenti sono sia la deduzione secondo cui la corte di merito avrebbe dovuto valutare tutti gli elementi del caso concreto (cfr. ricorso, pag. 7) sia la deduzione – veicolata dal terzo motivo – secondo cui non sarebbe dato “comprendere quale sia la legislazione richiamata allorquando il giudice di appello ritiene che la mancanza di credibilità impedisca il riconoscimento dello status di rifugiato così come anche della protezione sussidiaria” (così ricorso, pag. 8), sicchè risulterebbe menomata la possibilità per il ricorrente di contraddire.

16. In ogni caso questa Corte spiega che, nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – tendenzialmente – tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto legittimo è – recte, sarebbe stato – il mancato esercizio, da parte del secondo giudice, dei poteri istruttori officiosi.

Cosicchè il ricorrente non ha – recte, non avrebbe avuto – motivo per addurre che la corte distrettuale “avrebbe dovuto esercitare il potere/dovere istruttorio per l’acquisizione di aggiornate informazioni sul paese di provenienza” (così ricorso, pag. 7).

17. Beninteso, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là dell’ipotesi del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

18. Ovviamente, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

19. Ebbene, nel segno del disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla cui stregua i profili di censura veicolati dal quarto motivo ed attinenti alla “sussidiaria” ex lett. c) si qualificano, si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, possa scorgersi in relazione alle motivazioni alla luce delle quali la Corte di Bologna ha disconosciuto la protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. c) del D.Lgs. cit..

Invero la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare la corte ha evidenziato che le risultanze del report “E.A.S.O.”, risalente all’ottobre del 2018, non davano conto, con riferimento al Punjab, regione d’origine del ricorrente, della sussistenza di situazioni di indiscriminata violenza derivante da conflitti armati interni o internazionali.

Per altro verso, la corte felsinea ha di certo disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi in astratto prefigurata dell’art. 14 cit., lett. c).

Per altro verso ancora, il ricorrente per nulla adduce a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni più recenti sulla situazione socio – politica attualmente esistente in Pakistan (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

20. Privo di fondamento è l’assunto secondo cui la motivazione in punto di “umanitaria” è del tutto “apparente”.

Si è premesso che la corte emiliana ha, in parte qua, indicato gli elementi cui ha correlato il proprio convincimento ed in pari tempo ha fatto luogo ad una loro approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

E si è anticipato che il giudizio di inattendibilità si riflette pur sul terreno della protezione umanitaria.

21. Comunque il quinto ed il sesto motivo di ricorso recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, la corte di merito ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

22. Ebbene, in quest’ottica, non può che osservarsi quanto segue.

Parimenti alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato dictum.

D’altronde il ricorrente sollecita questa Corte a rivalutare le risultanze di causa, ossia che è integrato in Italia, parla perfettamente l’italiano e non ha in Pakistan alcun legame familiare (cfr. ricorso, pag. 18).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

23. In dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

24. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente, A.S., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ex art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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