Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8930 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. II, 31/03/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 31/03/2021), n.8930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24439/2019 R.G. proposto da:

O.E., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso

dall’avvocato Massimo Gilardoni, ed elettivamente domiciliato in

Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3355/2019 del Tribunale di Brescia;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 3 novembre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. O.E., cittadino della Nigeria, originario dell’Edo State, di religione cristiana, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel suo paese aveva svolto attività di tassista; che alcuni suoi connazionali gli avevano chiesto di trasportare un ordigno esplosivo da innescare in un luogo frequentato da cristiani; che si era rifiutato ed aveva denunciato l’accaduto alla polizia, che tuttavia non gli aveva garantito un’adeguata protezione; che a fronte del pericolo di ritorsioni si era visto costretto ad abbandonare la Nigeria.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 3355/2019 il Tribunale di Brescia respingeva il ricorso con cui O.E., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento della protezione internazionale.

Evidenziava – tra l’altro – il tribunale che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava in particolare, nel quadro della debita valutazione comparativa, che, in ipotesi di rimpatrio, O.E. non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità, siccome, per un verso, perduravano i suoi legami familiari nel paese d’origine, siccome, per altro verso, era da escludere che in Nigeria esistesse una situazione di emergenza umanitaria, siccome, per altro verso ancora, l’intrapreso percorso di integrazione nel tessuto socioeconomico italiano non aveva di per sè valenza sufficiente.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso O.E.; ne ha chiesto la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Preliminarmente il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito con decreto non reclamabile.

Deduce che la determinazione del legislatore di eliminare il doppio grado di giurisdizione in materia di diritti fondamentali è del tutto irragionevole.

6. La quaestio legitimitatis è manifestamente infondata.

E’ sufficiente il rinvio all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (cfr. Cass. (ord.) 30.10.2018, n. 27700; Cass. (ord.) 5.11.2018, n. 28119).

7. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2.

Deduce che il tribunale, in sede di disconoscimento della protezione umanitaria, non ha tenuto conto della sua dichiarata omosessualità, che senza dubbio compromette nel paese d’origine la possibilità di raggiungere i livelli minimi per una esistenza dignitosa.

Deduce che il tribunale, parimenti in sede di disconoscimento della protezione umanitaria, non ha tenuto conto della documentazione prodotta e degli aspetti emersi nel corso della sua audizione, atti a comprovare il suo inserimento lavorativo in Italia.

Deduce che il tribunale ben avrebbe potuto avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

8. Il motivo di ricorso va respinto.

9. Devesi dar atto, previamente, che il profilo di censura concernente l’addotta omessa considerazione della dichiarata omosessualità del ricorrente non rinviene alcun riflesso nella motivazione del decreto impugnato.

Su tale scorta inevitabile è il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (cfr. Cass. (ord.) 13.12.2019, n. 32804).

10. In dipendenza del mancato assolvimento dell’onere suindicato e dunque della novità della surriferita quaestio esplica valenza l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. 25.10.2017, n. 25319; Cass. 13.9.2007, n. 19164).

11. In ogni caso le doglianze che il motivo di impugnazione veicola, recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui senza dubbio, in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

Ebbene, in quest’ottica, nei limiti della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla cui stregua, a rigore, il motivo di ricorso si qualifica, non può che opinarsi come segue.

Per un verso, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui il tribunale bresciano ha ancorato il suo dictum.

Per altro verso, il tribunale in nessun modo ha omesso la disamina dei fatti decisivi caratterizzanti in parte qua la res litigiosa, ossia della concreta sussistenza dei margini per il riconoscimento della protezione umanitaria.

12. In pari tempo non può non darsi atto che il ricorrente sollecita questo Giudice al riesame delle risultanze di causa.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

13. Si tenga conto infine che il tribunale ha reputato inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente (cfr. decreto impugnato, pag. 4).

Cosicchè sovviene l’insegnamento di questa Corte secondo cui, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario, anche ai fini della protezione umanitaria, far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

14. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va assunta. Invero il Ministero dell’Interno non ha sostanzialmente svolto difese.

15. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

 

 

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