Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8930 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. I, 14/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1009/2019 proposto da:

M.S.M.M.S.M., elettivamente domiciliato in Roma Viale

Angelico n. 38, presso lo studio dell’Avvocato Roberto Maiorana, che

lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– costituitosi in giudizio –

avverso la sentenza n. 1000/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. Irene SCORDAMAGLIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta da M.S.M.M.S.M., cittadino del (OMISSIS).

A sostegno della decisione ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento nè della protezione sussidiaria, nè della protezione umanitaria.

Quanto alla protezione sussidiaria ha rilevato che i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale consentissero di escludere che il richiedente potesse subire, in ipotesi di rimpatrio, uno dei danni gravi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14: e ciò sia con riferimento alle fattispecie di cui alle lettere a) e b), atteso che dalle pur generiche dichiarazioni rilasciate dal cittadino bengalese era emerso che le ragioni dell’allontanamento dal Paese di origine erano da individuarsi nella difficoltà di far fronte all’impegno economico assunto con i creditori, sia con riferimento alla fattispecie di cui alla lett. c), posto che le informazioni sul Bangladesh, desunte dai siti internet del Ministero degli Esteri e di Amnesty International (segnatamente report 2016/2017), pur dando atto dell’esistenza di una condizione di insicurezza del paese, non consentivano di configurarne la situazione nei termini del conflitto interno o della violenza generalizzata.

Quanto alla protezione umanitaria, ha evidenziato che i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano nè dalla situazione soggettiva dell’appellante, nè da quella del Paese di origine.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il menzionato cittadino straniero, affidando l’impugnativa a quattro motivi.

– Il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, identificato nella situazione di pericolosità e di violenza generalizzata esistente in Bangladesh, in relazione al rigetto della protezione sussidiaria o, quanto meno, di quella umanitaria, risultando la motivazione rassegnata sul punto apparente in quanto priva dell’indicazione dei criteri di giudizio utilizzati nella valutazione delle fonti compulsate.

– Il secondo motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente.

– Il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alle condizioni socio-politiche del Paese di origine del ricorrente, risultando la motivazione sul punto, contenuta nel provvedimento impugnato, affetta da patente illogicità.

– Il quarto motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il mancato riconoscimento della protezione umanitaria prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998 e la violazione del principio di non refoulement di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in relazione all’art. 10 Cost., avendo, tra l’altro, la Corte territoriale omesso di considerare la situazione di integrazione conseguita dal ricorrente in Italia, come dimostrato dal contratto di lavoro a tempo indeterminato ivi stipulato.

3. Si è costituito il Ministero dell’Interno, senza, tuttavia, articolare difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, articolando censure avverso il diniego di protezione sussidiaria: censure che si appuntano sull’apprezzamento compiuto dal Collegio di merito della situazione interna del Bangladesh, illogicamente e contraddittoriamente non riconosciuta come connotata da un conflitto interno suscettibile di dar luogo a violenza generalizzata.

Le spiegate doglianze sono generiche o, comunque, manifestamente infondate.

Quanto alle forme di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), nulla è dedotto per specificamente contrastare l’affermazione, contenuta in sentenza, relativa alla non riconducibilità del fatto allegato a fondamento della domanda, la difficoltà del richiedente di pagare i creditori quale causa dell’allontanamento dal Paese di origine, alle ipotesi di danno grave contemplate dalla norma di riferimento (condanna a morte o esecuzione della pena di morte; tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante); nulla è, peraltro, argomentato in ordine all’appartenenza del ricorrente ad alcuna delle categorie, citate dalle fonti informative riprodotte nella doglianza, suscettibili di andare incontro a situazioni di compromissione dei diritti umani (Bangladesh Nazionalist Party; Associazione islamica bengalese).

In proposito, va affermato che, in ipotesi di allegazione di una situazione promanante da una fonte privata, suscettibile di rilevare ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), l’onere di allegazione del richiedente deve essere adempiuto in termini sufficientemente specifici, non potendosi altrimenti attivare l’obbligo di integrazione istruttoria officiosa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.

Quanto alla forma di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la critica rivolta al disconoscimento dell’esistenza in Bangladesh di una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” si risolve in una deduzione non consentita nel giudizio di legittimità. La riportata conclusione è frutto, invero, di un apprezzamento in fatto rimesso al giudice del merito, non suscettibile di essere rimesso in discussione mediante una mera rilettura delle fonti stesse o l’allegazione di altre, ove, come nel caso di specie, sia stato condotto in conformità ai parametri di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3) e con completezza e plausibilità di argomentazione (Sez. 1, n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226-03; Sez. 6-1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087).

2. Il secondo motivo difetta di specificità, in considerazione dei limiti del sindacato di legittimità della Corte di Cassazione in relazione all’accertamento dei fatti.

Le doglianze in esso articolate risultano sviluppate in contrasto con il diritto vivente, che ha stabilito che:” L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Al lume di tale regula iuris, occorre prendere atto che, in difetto di specifica indicazione dei fatti storici sui quali sarebbe caduta l’omissione valutativa della Corte di appello, nonchè della loro decisività, il dissenso articolato in punto di apprezzamento delle dichiarazioni del richiedente protezione si risolve in un alternativo apprezzamento del materiale istruttorio, insindacabile in questa sede, perchè trasfuso in una motivazione che ha dato conto dei criteri seguiti in termini giuridicamente corretti e logicamente plausibili (Sez. 6-1, n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755-01).

3. Il quarto motivo non si sottrae ai rilievi formulati con riguardo ai precedenti, essendo incentrato sull’astratta elencazione delle prerogative discendenti dal riconoscimento della protezione umanitaria, senza alcuna indicazione degli elementi concreti afferenti alla vicenda personale del richiedente espressivi di un’individuale condizione di vulnerabilità e della conseguita integrazione nel Paese ospitante -, suscettibili di essere considerati congiuntamente nella valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente medesimo con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, richiesta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02).

Anche il profilo che attiene all’asserita violazione del principio di non refoulement si caratterizza per astrattezza, sostanziandosi nel mero richiamo a norme internazionali, unionali ed interne.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto a titolo di spese, non avendo la controparte spiegato difese. Doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, andrà versato ove ne sussistano i presupposti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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