Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8928 del 12/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 8928 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 2649-2008 proposto da:
BAR GELATERIA AL GABBIANO DI ALESSANDRO & GIAN LUCA
SILVESTRO S.N.C., in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PRENESTINA 390, presso lo studio dell’avvocato NARDO
PASQUALE, che lo rappresenta e difende giusta delega
2013

in atti;
– ricorrente –

816
contro

ESATRI S.P.A. CONCESSIONARIA S.R.T. PER LA PROVINCIA
DI VARESE;

Data pubblicazione: 12/04/2013

-

– intimata nonchè contro

I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE

DELLA

PREVIDENZA

SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale
rappresentante pro tempore, in proprio e quale
della

S.C.C.I.

S.P.A.

Società

di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e
difesi dagli avvocati MARITATO LELIO, CORRERA
FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, giusta delega in atti;
– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 128/2007 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 05/03/2001.r.g.n. 241/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/03/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

mandatario

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5.3.2007, la Corte di Appello di Genova, in riforma della decisione di
primo grado, respingeva l’opposizione a cartella esattoriale notificata il 26.3.2001 alla
s.n.c. Bar Gelateria Al Gabbiano per l’importo di lire 36.460.069 preteso dall’INPS a titolo
di contributi evasi e somme aggiuntive relative a rapporto di lavoro intercorso,
dall’1.4.1996 al 28.2.1998, tra la società e Berardi Manuela, ritenuta lavoratrice

del merito che il quadro probatorio emerso dall’istruttoria svolta in primo grado aveva
consentito di ritenere provato lo svolgimento di attività lavorativa di cameriera tuttofare da
parte della Berardi nell’organizzazione aziendale dell’appellata e che non fosse stata
raggiunta la prova della sussistenza degli elementi tipici caratterizzanti l’associazione in
partecipazione tra cui, in particolare, la partecipazione della Berardi al rischio d’impresa.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, con quattro motivi.
L’INPS ha rilasciato delega in calce al ricorso notificato.
L’Esatri s.p.a. è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo e con riferimento ai principi in materia di ripartizione dell’onere
probatorio, la ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai
sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 2697 c. c ed all’art. 23, ultimo comma,
della legge 24.11.1981 n. 689, assumendo che la dimostrazione degli elementi individuanti
la natura subordinata del rapporto di lavoro spettasse all’INPS e che la carenza di prova
dovesse risolversi in danno dell’Ente, essendo l’INPS, in qualità di attore in senso
sostanziale, onerato della prova dell’esistenza del rapporto di subordinazione, laddove la
Corte del merito ha, invece, ritenuto che fosse la società tenuta a dimostrare l’effettività del
rapporto associativo, benché lo stesso fosse formalizzato in un contratto scritto. Evidenzia
che, invertendo i termini della valutazione, è stato conferito rilievo alla circostanza che i
compensi in concreto corrisposti alla Berardi erano significativamente diversi e superiori a
quelli che le sarebbero spettati in adempimento del contratto di associazione in
partecipazione, laddove il calcolo ben poteva essere stato effettuato sulla base degli utili
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subordinata, malgrado la veste formale di associata in partecipazione. Rilevava la Corte

aziendali reali e non su quelli dichiarati e che, comunque, il mancato raggiungimento di
prove sufficienti a fondare la pretesa nei confronti dell’intimata doveva condurre
all’accoglimento dell’opposizione. All’esito della parte argomentativa, formula quesito, ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nel quale evidenzia l’errore di diritto in cui, a suo giudizio, è
incorsa la Corte territoriale ed il diverso principio cui la stessa avrebbe dovuto attenersi.
Con il secondo motivo, la società lamenta violazione o falsa applicazione di norme di

contraddittoria motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c., sostenendo che l’attribuzione di una
valenza decisiva al verbale ispettivo è frutto di una non corretta applicazione dell’art. 2700
c. c., tenuto conto degli elementi dallo stesso risultanti ed aventi valore di “piena prova”, ai
sensi dell’articolo menzionato, in rapporto agli altri elementi probatori emersi in corso di
causa in ordine alla contestata natura subordinata del rapporto di lavoro oggetto di esame,
tra i quali un successivo verbale di ispezione del Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale dell’11.5.1999 prodotto all’udienza del 25.3.2002 ed attestante la regolarità del
rapporto di associazione. Rileva, poi, la contraddittorietà e l’ insufficienza di motivazione
al riguardo.
Con il terzo motivo, deduce errata qualificazione giuridica del rapporto instauratosi tra le
parti, e violazione dell’art. 2094 c. c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., nonchè omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi
dell’ art. 360, n. 5, c.p.c., osservando che l’ indagine era stata incentrata sulla verifica della
sussistenza degli elementi idonei a sostenere la configurabilità del rapporto di lavoro
subordinato prospettata dall’INPS, giungendo alle conclusioni esposte attraverso la
ritenuta arbitraria esclusione che tra le parti fosse realmente intercorso un rapporto di
associazione in partecipazione. Aggiunge che il generico richiamo alle risultanze emerse
dall’istruttoria di primo grado a conforto della ritenuta subordinazione e l’affermazione della
Berardi, secondo cui nessuna modificazione sostanziale del suo rapporto si era prodotta
rispetto al periodo precedente nel quale essa era iscritta a libro matricola, non erano
sufficienti a giustificare le conclusioni adottate e che l’accertamento era avvenuto sulla
base di elementi non univoci, inidonei a ravvisare nel rapporto una dissimulazione del
lavoro subordinato, ma, anzi, compatibili con il regime di autonomia.

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diritto, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 2700 c. c.., nonchè

Infine, con il quarto motivo, censura l’errata qualificazione giuridica del rapporto instaurato
tra le parti, deducendo violazione dell’art. 2549 c. c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., osservando
come le argomentazioni del giudice di primo grado a conforto della sussistenza della
associazione erano state in appello ritenute non condivisibili perchè era stato conferito
risalto, dal giudice del gravame, ad un particolare erroneamente riportato dal primo giudice
relativo alla esistenza di altre associate, circostanza smentita dalle risultanze probatorie, e

dichiarazione resa dalla Berardi, oltre che quelle riferite dagli altri testi escussi. .
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi, che attengono alla rilevanza del verbale ispettivo ed alle regole in tema
di ripartizione dell’onere della prova, possono essere trattati congiuntamente. Costituisce
principio consolidato che, nel giudizio di opposizione – nella specie avverso la cartella
esattoriale con la quale veniva intimato il pagamento di somma corrispondente a debito
previdenziale per contributi, somme aggiuntive e sanzioni ricondotto a verbale ispettivo
dell’INPS – il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso,
solo con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e
conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonche’ in relazione
alla provenienza del documento dallo stesso p.u. e delle dichiarazioni rese dalle parti,
mentre non e’ necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c.,
l’esperimento del rimedio della querela qualora la parte intenda limitarsi a contestare la
verita’ sostanziale di tali dichiarazioni ovvero la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni
del verbalizzante, cui non si estende la fede privilegiata del documento (Cass. sez. un., 25
novembre 1992, n. 12545; 24 luglio 2009, n. 17355). Applicazione del richiamato
principio è che le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori agli ispettori dell’autorita’ che
espleta funzioni di vigilanza e controllo non hanno di per se’ un valore probatorio
precostituito ed il giudice non puo’ porre il verbale a fondamento della decisione,
considerandolo come fonte esclusiva del proprio convincimento. Vanno, infatti,
liberamente apprezzate dal giudice, nell’ambito di tutto il materiale raccolto, le circostanze
che l’ispettore riferisce di avere appreso da dichiarazioni di terzi quali i lavoratori o che
sono frutto di sue deduzioni (cfr. Cass.19.4.2010 n. 9251, Cass. 23 giugno 2008, n 17049;
17 febbraio 2000, n. 17869). La censura secondo cui la Corte del merito ha violato i
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che, in ogni caso, l’accertamento condotto in secondo grado aveva trascurato ogni altra

richiamati principi di diritto non e’ fondata, atteso che la sentenza ha proceduto alla
valutazione di tutto il materiale raccolto nella causa, senza annettere fede privilegiata al
verbale nella parte in cui recava giudizi sulla natura subordinata del rapporto di lavoro
della Berardi e riportava le dichiarazioni rese dai testi escussi, non sottraendosi al compito
di valutare autonomamente le prove. Neppure e’ fondata la tesi intesa a privilegiare la
volonta’ delle parti non quale si e’ manifestata nel concreto svolgimento del rapporto, ma

presunzione di conformita’ della natura del rapporto al nomen juris adoperato dalle parti. Al
riguardo va, invece, ribadito il prevalente orientamento di questa Corte secondo cui la
qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non
e’ determinante stante la idoneita’, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad
esprimere sia una diversa effettiva volonta’ contrattuale che una diversa nuova volonta’
(così Cass. 4 febbraio 2002, n. 1420; 20 giugno 2003, n.9900 e 19 aprile 2010 n. 9251).
Il comportamento delle parti va, dunque, considerato e valorizzato proprio perche’ idoneo
a render manifesto il concreto assetto che esse hanno inteso imprimere ai loro rapporti, a
prescindere dal carattere confermativo o non della originaria qualificazione da essi voluta,
fermo restando il ruolo di questa nei casi, peraltro marginali, in cui ogni altra circostanza
complessivamente valutata non offra, ai fini della qualificazione del rapporto, elementi
decisivi in un senso o nell’altro. Con riguardo specificamente ai rilievi formulati nel terzo
motivo, in tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto
di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato, pure
avendo indubbio rilievo il “nomen iuris” usato dalle parti, occorre accertare se lo schema
negoziale pattuito abbia davvero caratterizzato la prestazione lavorativa o se questa si sia
svolta con lo schema della subordinazione (cfr. Cass. 24.2.2011 n. 4524). Tale
accertamento implica necessariamente una valutazione complessiva e comparativa
dell’assetto negoziale, quale voluto dalle parti e quale in concreto posto in essere, e la
possibilità che l’apporto della prestazione lavorativa dell’associato abbia connotazioni in
tutto analoghe a quelle dell’espletamento di una prestazione lavorativa in regime di lavoro
subordinato comporta che il fulcro dell’indagine si sposta sulla verifica dell’autenticità del
rapporto di associazione. Ove la prestazione lavorativa sia inserita stabilmente nel
contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza
ingerenza nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in
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come configurata nelle originarie pattuizioni contrattuali, pretendendo di trame una

ragione di un generale favore accordato dall’art. 35 Cost. che tutela il lavoro “in tutte le sue
forme ed applicazioni” (cfr., in termini, Cass. 22.11.2006 n. 24781, nella quale la S.C. ha
confermato la sentenza di merito che, verificato che all’assetto contrattuale voluto dalle
parti non corrispondeva la concreta attuazione di un rapporto di associazione in
partecipazione, aveva correttamente valutato, nella diversa prospettiva dell’inesistenza di
un rapporto di associazione in partecipazione tra le parti, l’espletamento di una

proceduto alla qualificazione giuridica del rapporto di fatto intercorso tra le parti, una volta
esclusa l’autenticità della qualificazione formale).
La Corte del merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo riguardo alle
risultanze del verbale ma anche e soprattutto alle deposizioni dei testi ed ai riscontri
probatori relativi a circostanze ulteriori (tra i quali anche la entità della retribuzione mensile
corrisposta alla Berardi) che ne confortavano il contenuto, giungendo ad escludere, sulla
base base degli elementi acquisiti, il rapporto associativo con iter argomentativo coerente
e privo di salti logici.
Anche la deduzione della omessa attribuzione di rilevanza a successivo verbale di
ispezione del Ministero del Lavoro e della previdenza Sociale, oltre ad essere priva
autosufficienza, non riportandosene il contenuto preciso ai fini che qui rilevano, non
assume alcuna idoneità a scalfire l’impianto motivazionale relativo alla compiuta
complessiva valutazione delle emergenze probatorie. Ed invero, ove il convincimento del
giudice di merito si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori
acquisiti, considerati nel loro complesso, il ricorso per cassazione deve evidenziare
l’inadeguatezza, l’incongruenza e l’illogicità della motivazione, alla stregua degli elementi
complessivamente utilizzati dal giudice, e di eventuali altri elementi di cui dimostri la
decisività, onde consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del vizio di motivazione
sul “decisum”, non potendo limitarsi, in particolare, ad inficiare uno solo degli elementi
della complessiva valutazione (cfr. Cass. 11 luglio 2011 n. 15156).
Con riguardo ad ogni altro rilievo attinente alla mancata attribuzione di rilevanza ad
ulteriori dichiarazioni rese dalla BeraPdi ed a quelle riferite da altri testi escussi deve
osservarsi che con la censura di cui al quarto motivo, pur denunziandosi anche violazioni
di norme di diritto, si mira nella sostanza a sollecitare una rivisitazione del merito, non
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prestazione lavorativa da parte di lavoratori in favore della società imprenditrice, ed aveva

consentita nella presente sede di legittimità, posto che il ricorso per cassazione, con il
quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art. 360
n. 5 cod. proc. civ., deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 n.4 cod. proc.
civ., che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la
decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti

ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta
incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che
risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti
operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il
prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici
dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di
valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell”iter” formativo di tale convincimento
rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso
per cassazione ex art. 360 n.5 cod. proc. civ. in un’inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del
merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso
l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli
elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste,
mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti
da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze
istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali
termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 120520). Nella specie non risulta che la doglianza
abbia evidenziato i profili di omissione, insufficienza o contradittorietà della motivazione
nei termini consentiti nella presente sede, indicati dalla pronunzia di legittimità richiamata
Alla stregua delle indicate considerazioni, deve pervenirsi al rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società ricorrente e si
liquidano, in favore del solo INPS, per l’attività difensiva svolta nell’udienza di discussione,

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nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od

nella misura indicata in dispositivo. Nulla va statuito nei confronti dell’Esatri s.p.a., rimasta
intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio in favore dell’INPS, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 1000,00 per

Così deciso in Roma, il 6.3.2013

compensi professionali, oltre accessori di legge. Nulla nei confronti dell’Esatri s.p.a..

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