Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8928 del 05/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8928 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 20772-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, giusta delega in
2015

atti;
– ricorrente –

710
contro

CAPUTO MARIO;
– intimato –

Data pubblicazione: 05/05/2015

avverso la sentenza n. 956/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 15/09/2011 R.G.N. 5386/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA DE
MARINIS;

TRIFIRO’ SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
…….,

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15 settembre 2011, la Corte d’Appello di Milano, in integrale riforma
della decisione di rigetto resa dal Tribunale di Milano, accoglieva la domanda proposta da
Mario Caputo avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento
disciplinare intimatogli da Poste Italiane S.p.A., sua datrice di lavoro, per la reiterazione
del comportamento già sanzionato in precedenza con la sospensione dal lavoro e dalla

richiesta di fruizione di un’aspettativa retribuita ex art. 4 1. n. 53/2000, motivata e
documentata in relazione allo stato di salute della madre, nonostante il diniego
comunicatogli dalla Società, tuttavia, riferito alla mera irregolarità dell’istanza che non
teneva conto della previsione del CCNL che qualificava l’aspettativa per motivi familiari
soltanto come non retribuita.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto l’intimazione della
massima sanzione sproporzionata in relazione alla condotta qualificata da semplice colpa,
per essersi il lavoratore reso responsabile di aver, sia pur pervicacemente, ignorato la
formalità della presentazione di una corretta istanza, cui la Società gli chiedeva di
adempiere, risultando soddisfatto ogni altro requisito, con riguardo, in particolare,
all’adeguatezza della documentazione attestante il diritto a fruire dell’aspettativa, sia pur
non nei termini richiesti sotto il profilo del trattamento economico.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando a tre motivi l’impugnazione,
rispetto alla quale il Caput° è rimasto intimato

MOTIVI DELLA DECISIONE
L’impugnazione proposta dalla Società ricorrente, per quanto articolata su tre motivi, è
essenzialmente volta a censurare il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla
qualificazione dell’elemento soggettivo della condotta, individuato nella mera colpa con
esclusione, dunque, di ogni intenzionalità idonea a riflettere abuso del proprio diritto o
volontà di recare danno all’azienda, giudizio in base al quale la Corte territoriale è giunta a
ritenere l’illegittimità del recesso per violazione del principio di proporzionalità della
sanzione alla condotta addebitata.
In effetti, con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa
applicazione dell’art. 115 c.p.c., ricollega la ritenuta erroneità di quel giudizio alla omessa
valutazione della documentazione in atti, con ciò riferendosi al carteggio intercorso tra la
Società ed il lavoratore, nel tentativo della prima di ottenere dal secondo la produzione
dell’istanza corretta, recante cioè l’esatta dicitura “non retribuita” in luogo di “retribuita”,

retribuzione per giorni dieci, consistito nell’essere rimasto assente dal lavoro a seguito della

al fine di concedergli la richiesta aspettativa per motivi familiari che altrimenti gli
competeva, e ciò anche minacciando e poi effettivamente comminando, dapprima la
sanzione conservativa contrattualmente prevista a fronte dell’assenza ingiustificata
protrattasi fino a dieci giorni e successivamente la sanzione espulsiva con cui il CCNL
punisce la medesima condotta protrattasi oltre i dieci giorni. Con il secondo motivo,
rubricato “Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio”, il vizio di motivazione è predicato in relazione al convincimento espresso dalla

Corte territoriale circa l’evidenza dell’ignoranza incolpevole delle norme da parte del
lavoratore, convincimento di cui si deduce l’illogicità, stante la consapevolezza che la
Corte stessa mostra del susseguirsi degli eventi e dunque della reiterata prospettazione da
parte degli uffici competenti al lavoratore delle conseguenze pregiudizievoli della sua
perdurante inerzia poi in effetti subite. Con il terzo motivo, inteso a denunciare la
violazione e falsa applicazione degli arti. 2118 c.c., 3 1. n. 60411966 e 54 del CCNL Poste
del 2001, l’erroneità della sentenza, qui censurata dalla Società ricorrente, è sostenuta
valorizzando la portata oggettiva della condotta che, a motivo della mancata
regolarizzazione dell’istanza idonea a correlare l’assenza ad un titolo giustificativo, tanto
più necessario nell’ambito di un’organizzazione aziendale di vastissime proporzioni come
Poste Italiane S.p.A., non può che qualificarsi come assenza arbitraria dal servizio,
legittimando l’applicazione, del resto prevista dal CCNL, dei provvedimenti adottati dalla
Società, fino all’intimato licenziamento.
A riguardo, così passando all’esame necessariamente congiunto degli esposti motivi, deve

osservarsi come non possa disconoscersi la plausibilità dell’impostazione evidentemente
formalistica sottesa all’impugnazione proposta dalla Società ricorrente, che, assunto a
fatto/presupposto l’evenienza, invero di scarsa consistenza e, per di più, incomprensibile
nelle ragioni che l’hanno determinata, della mancata regolarizzazione dell’istanza da parte
del lavoratore, a fronte della ricorrenza di tutti gli altri requisiti legittimanti la fruizione
dell’aspettativa richiesta, mira a dare rilievo al fatto/conseguenza da qualificarsi comunque,
in difetto di quella regolarizzazione, come assenza arbitraria legittimamente sanzionabile a
termini di contratto.
Ma è a dirsi come, dal canto suo, non possa ritenersi né illegittima né illogica la
valutazione di stampo sostanzialista operata dalla Corte territoriale, che, rovesciando
totalmente la prospettiva, ha inteso valorizzare il fatto/presupposto, tarando su quello il
giudizio – di proporzionalità ed approdando, in coerenza con il rilievo minimale
dell’inadempimento meramente formale imputato al lavoratore, alla conclusione per cui la

e

reazione posta in essere dalla Società era da considerarsi eccessiva, come la Corte di merito
non ha mancato di mostrare icasticamente, rilevando che la vicenda avrebbe potuto
rinvenire agevole e rapida soluzione ove la Società, anziché insistere, fino alle estreme
conseguenze, nel pretendere dal lavoratore l’invio dell’istanza adeguata all’istituto di cui
intendeva fruire, ne avesse consentito la fruizione accompagnandola con la precisazione
che, in conformità alla disciplina contrattuale dell’istituto medesimo, non avrebbe dato

A questa stregua la pronunzia va ritenuta immune dai vizi denunciati con conseguente
rigetto del ricorso.
Nulla per le spese stante la mancata costituzione dell’intimato.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’Il febbraio 2015.

corso al pagamento della retribuzione per il relativo periodo.

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