Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8927 del 05/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8927 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 20768-2012 proposto da:
CACIOPPO JOSEPH C.F. ccpjph6Ohl4z110u, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo
studio dell’avvocato BRUNO BELLI, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato CONCETTO
FERRAROTTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

709

SANTELIA PASQUALE;
L

– intimato –

avverso la sentenza n. 509/2012 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 05/05/2015

e

di

PALERMO,

depositata

il

31/05/2012

R.G.N.

2716/2010;
4

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

e

udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA
DE MARINIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’accoglimento del secondo e del terzo motivo,
rigetto del primo e del quarto motivo.

..

udito l’Avvocato BELLI BRUNO;

. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 31 maggio 2012, la Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione
con cui il Tribunale di Sciacca accoglieva la domanda proposta da Pasquale Santelia nei
confronti di Joseph Cacioppo, titolare dell’impresa edile presso la quale il primo aveva
prestato attività lavorativa come carpentiere dal febbraio al giugno 2007, allorché
quell’attività veniva ad essere interrotta, domanda avente ad oggetto il riconoscimento della

quanto intimato in forma orale e comunque senza alcuna giustificazione, il pagamento delle
retribuzioni dovute dal recesso alla riassunzione ed, in ogni caso il pagamento di importi
residui a titolo di retribuzione e TFR.
A tale esito perveniva la Corte territoriale ritenendo assolto l’onere della prova della
subordinazione in capo al lavoratore ed, al contrario, insufficiente a confutare la
prospettazione di questi circa l’intimazione di un licenziamento orale quella offerta dal
datore in relazione alla vicenda risolutiva del rapporto.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il Cacioppo, affidando a quattro motivi, poi
illustrati con memoria, l’impugnazione, rispetto alla quale il Santelia è rimasto intimato.

MOTIVI DELLA DECSIONE
Con il primo motivo il ricorrente, nel denunciare il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, lamenta l’incongruità
del percorso valutativo in base al quale la Corte territoriale ha maturato il convincimento
per cui il rapporto di lavoro inter partes, da qualificarsi come avente natura subordinata,
per non aver il ricorrente in questa sede impugnato il relativo capo della sentenza, si sia
risolto a seguito del recesso del datore di lavoro intimato verbalmente e non, come
sostenuto dal ricorrente, per la volontà dismissiva del lavoratore, manifestata con
l’abbandono del posto di lavoro.
Deve rilevarsi a riguardo come la Corte territoriale, nella motivazione dell’impugnata
sentenza, dia puntualmente conto di un iter logico-giuridico che trova saldo ancoraggio al
principio di diritto enunciato da questa Corte nell’affrontare appunto il problema dell’onere
della prova allorquando il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia
valere in giudizio l’inefficacia o invalidità di tale licenziamento, mentre il datore di lavoro
deduca la sussistenza invece di dimissioni del lavoratore. In base a tale principio il
materiale probatorio deve essere raccolto, da parte del giudice del merito, tenendo conto
che nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore
è limitata alla sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione del datore di

natura subordinata del rapporto, la declaratoria di inefficacia del preteso licenziamento in

lavoro assume la valenza di un’eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade
sull’eccipiente ai sensi dell’art. 2697, comma secondo, c.c. (v. da ultimo Cass. n.
21684/2011 ma già Cass. 6132/2001 e Cass 4760/2000). Coerentemente a questa
impostazione la Corte territoriale ha proceduto alla verifica del sostegno probatorio della
versione dei fatti prospettata dall’odierno ricorrente desumendone, con affermazione che in
questa sede neppure risulta puntualmente censurata, che da parte del ricorrente medesimo

presuntiva argomenti di prova in senso contrario dalla prospettazione del lavoratore. Deve
pertanto ritenersi che l’impugnata sentenza si sottragga alle censure in questa sede sollevate
dal ricorrente, volte a contrapporre a quella della Corte una diversa ricostruzione dei fatti
ed a sollecitare un nuovo giudizio di fatto inammissibile in sede di legittimità.
Con il secondo e terzo motivo, intesi a denunciare, rispettivamente, la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2, comma 1, 1. n. 60411966, 2118 e 2119 c.c., 2697 c.c., 99 e 112
c.p.c., 414, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. e 436 c.p.c. e, in una con il vizio di contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, la violazione e falsa applicazione
degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente lamenta l’erroneità della statuizione sanzionatoria,
data dal riconoscimento al lavoratore del diritto al risarcimento del danno nella misura della
retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino alla sua
riammissione in servizio, e ciò per non essere stato questo fatto oggetto di specifico petitum
ed essere stato attribuito in difetto della necessaria preventiva messa in mora comunicata al
datore per atto scritto.
I due motivi, che, per quanto detto, è opportuno qui trattare congiuntamente, sono
infondati, atteso che il risarcimento del danno è il mero effetto della perpetuatio
obligationis connessa all’inadempimento dell’obbligazione originaria data dalla debenz,a
delle retribuzioni pretesa dal lavoratore, effetto, a sua volta, insito nella messa a
disposizione del datore delle proprie energie lavorative ai fini della ripresa dell’attività da
parte del lavoratore, forma questa di costituzione in mora del datore di lavoro, creditore
della prestazione, che non necessita di formule tipizzate e che la Corte territoriale, facendo
ancora leva sull’argomento, qui neppure censurato, che, in difetto di prova da parte del
datore di una versione alternativa, valorizza la presunzione di una condotta del lavoratore
volta alla prosecuzione del rapporto, ha, con valutazione insindacabile in questa sede,
ricondotto al ripetuto ritorno in cantiere del lavoratore nei giorni seguenti al licenziamento.
Il quarto motivo, con il quale, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt.
1218, 1223 e 2697 c.c., 115, 116, 414, 416, 434, 437 c.p.c. nonché contraddittoria

non era stata offerta alcuna prova a riguardo, e che, semmai, potevano trarsi in via

motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta da parte della Corte
territoriale la mancata detrazione, in sede di quantificazione del risarcimento spettante,
dell’aliunde perceptum, pur puntualmente dedotto ed, altresì ammesso dallo stesso

lavoratore nel corso del libero interrogatorio, deve, invece, ritenersi inammissibile per
violazione del principio di autosufficienza del ricorso, per non aver qui il ricorrente
allegato il verbale d’udienza e i documenti, che, del resto, quanto a quello prodotto in sede
con statuizione qui neppure formalmente impugnata, sui quali si fondava la pretesa di
annullamento in parte qua dell’impugnata sentenza.
Il ricorso va dunque rigettato, senza attribuzione di spese in difetto di costituzione della
parte intimata.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’I l febbraio 2015.

di gravame, egli stesso riconosce non essere stato acquisito al giudizio dalla Corte di merito

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