Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8926 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18198/2013 R.G. proposto da:

M.G., rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del

ricorso, dall’Avv. Sagliocco Giorgio, elettivamente domiciliato

presso lo studio dell’Avv. Iannuccilli Pasquale, in Roma, Via Lima,

n. 7, int. 7;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 289/1/2012, depositata il 28 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, con il metodo analitico-induttivo, nei confronti di M.G., per l’anno 2003, con riferimento alla gestione di tre bar, due dei quali donati ai figli nel corso del 2003 (il 4-6-2003), ed il terzo ceduto sempre nel corso del medesimo anno (il 14-4-2003), con determinazione di maggiori ricavi per Euro 121.670,00. Inoltre, veniva contestata la mancata dichiarazione, ai fini delle imposte sui redditi, della plusvalenza di Euro 31.154,00, corrispondente al valore definito dall’acquirente ai fini dell’imposta di registro. Si riteneva che per la preparazione di una tazzina di caffè occorressero grammi 7 di miscela, sicché la quantità di miscela pari a Kg. 1.711 rinvenuta, dava luogo a n. 244.428 bevande prodotte al prezzo medio di Euro 0,50, al netto d’Iva per incassi complessivi pari ad Euro 122.214,00. Inoltre, il costo del venduto relativo a tutti gli altri prodotti era di Euro 76.965,00, con applicazione della percentuale indistinta del 150 %, per ricavi complessivi di Euro 192.412,00. Gli incassi determinati erano quindi quantificati in Euro 314.626,00, superiori a quelli dichiarati (Euro 192.956,00), con una differenza di Euro 121.670,00 ritenuta evasa ai fini fiscali.

2. La Commissione tributaria provinciale di Caserta accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo del 40 % le determinazioni della Agenzia delle entrate.

3. La Commissione tributaria regionale della Campania confermava la decisione di prime cure, in quanto la riduzione del 40%, applicata dalla Commissione provinciale, già teneva conto delle contestazioni della contribuente anche in relazione alla tipologia di prodotti venduti al bar.

4. Tale sentenza veniva cassata da questa Corte, con ordinanza 12224/2010, per vizio di motivazione, in quanto il giudice di appello aveva omesso di indicare in concreto le presunzioni poste a base dell’accertamento induttivo, nonché di valutare i calcoli che avevano condotto all’accertamento e di palesare le ragioni per cui tali contestazioni dovevano ritenersi già considerate nella riduzione del 40 % operata, appunto, dalla Commissione regionale.

5. La Commissione regionale della Campania, in sede di rinvio, rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, rilevando che era “opportuna, fondata ed equa la riduzione globale del 40 %” applicata dai giudici di prime cure ai ricavi ed all’avviamento, dichiarato in Euro 20.000,00 e definito in adesione con l’Ufficio del registro in Euro 31.154,00, quale plusvalenza imponibile. La riduzione del 40 % era fondata su “dati certi ed oggettivi, frutto della vissuta esperienza di mercato”, con riduzione della percentuale di ricarico dal 150 % al 90 % e dell’avviamento da Euro 31.154,00 ad Euro 18.692,00.

6. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

7. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione dell’art. 384 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)”, in quanto il giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza per vizio di motivazione, nel rinnovare il giudizio è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi. Al contrario, il giudice del rinvio ha reso una decisione che ha palesato le medesime lacune ed insufficienze riscontrate nella sentenza annullata. In particolare, non sono stati indicati gli elementi indiziari posti a base dell’accertamento, come pure la valutazione dei calcoli, che avevano determinato l’accertamento e le contestazioni mosse dal contribuente a tali calcoli, oltre alle ragioni per cui le contestazioni dovevano ritenersi già considerate nella riduzione del 40% stabilita dal primo giudice. Il giudice del rinvio, quindi, ha condiviso il ragionamento della Commissione provinciale ritenendo “opportuna, fondata ed equa la riduzione globale del 40%”, con la precisazione che tale deduzione è fondata su “dati certi ed oggettivi, frutto della vissuta esperienza di mercato”. La pronuncia secondo equità è, però, inibita al giudice se non nei casi previsti dalla legge. E’ stata, poi, applicata una stessa percentuale di ricarico ad una ampia tipologia di prodotti venduti al bar, mentre la quasi totalità di essi ha prezzi imposti dai produttori.

2.Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 nonché dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”, in quanto l’Ufficio non ha fornito la prova del fatto costitutivo, né ha documentato che la percentuale media di ricarico è del 150 % per il caffè, essendo peraltro necessario che lo scostamento dalla media di settore sia irragionevole ed abnorme per fondare gli indizi gravi, precisi e concordanti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d. Né si è tenuto conto della diversa tipologia dei prodotti posti in commercio.

2.1. Il motivo primo e secondo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

2.2. Invero, si premette che, dopo la sentenza di annullamento della precedente decisione della Commissione regionale, il giudice del rinvio avrebbe dovuto procedere ad una nuova valutazione degli elementi di fatto, senza incorrere nelle medesime errate valutazioni già oggetto di censura.

Invero, per questa Corte nel giudizio di rinvio, i limiti dei poteri attribuiti al giudice sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto solo ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nel caso, invece, di cassazione con rinvio per vizio di motivazione, da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge, il giudice è investito del potere di valutare liberamente i fatti già accertati ed anche d’indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata (Cass., 6 luglio 2017, n. 16660), con l’unica limitazione consistente nell’evitare di fondare la decisione sugli elementi del provvedimento annullato ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass., sez. L, 5 marzo 2009, n. 5316; Cass., sez. 3, 23 febbraio 2006, n. 4018).

2.3. Nella specie, il giudice del rinvio è incorso nei medesimi errori di valutazione che avevano caratterizzato la precedente sentenza della Commissione regionale. Nuovamente la decisione si è fondata, invece che su concreti elementi di fatto, su una valutazione di carattere sostanzialmente equitativo, disancorata dai fatti di causa. Il giudice del rinvio, infatti, ha ritenuto di confermare la decisione dei giudici di prime cure, in quanto “opportuna, fondata ed equa la riduzione globale del 40 %”.

2.4. Tale valutazione equitativa non è consentita nei giudizi estimatori che caratterizzano il processo tributario.

Invero, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 1 “nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità”.

L’equità, dunque, costituisce una deroga eccezionale al principio di legalità della decisione giudiziaria, sicché il giudizio di equità presuppone sempre una espressa previsione legislativa che lo autorizzi. L’equità si inserisce pur sempre nella visione del diritto che si indica come positivismo giuridico statuale, per cui si identifica la giuridicità della norma con la previsione diretta o indiretta della stessa nella legge dello Stato, intesa questa come fonte primaria ed esclusiva di giuridicità.

Poiché nei casi in cui la legge consente il giudizio di equità si verifica una vera e propria sostituzione del giudizio di stretta legalità, si fa riferimento alla equità “sostitutiva”, per distinguerla dalla equità integrativa (o correttiva), che si verifica quando il giudice applica pur sempre una norma di legge, ma quest’ultima presenta una fattispecie interpretativa incompleta, sicché il legislatore rimette alla valutazione equitativa del giudice la determinazione di un elemento del rapporto controverso (come nel caso di liquidazione del danno esistenziale con i criteri equitativi uniformi adottati negli uffici giudiziali di merito come da Cass., sez. 3, 11 novembre 2019, n. 28988; Cass., sez. 3, 11 novembre 2019, n. 28986)..

In dottrina, sul punto, l’equità è considerata come regola del caso concreto, evidenziando la singolarità del caso in cui l’equità è chiamata ad operare, caratterizzata da soggettività, in quanto non obiettivamente preesistente ed esterna al giudice, ma trovata e formulata nel giudizio.

Per questa Corte, il giudice tributario non è dotato di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio, sicché il giudice tributario non può ridurre ad una determinata percentuale i maggiori ricavi accertati dalla Agenzia delle entrate senza precisarne le ragioni (Cass., sez. 5, 25 giugno 2019, n. 16960; Cass., n. 27862/2018; Cass., n. 7534/2018; Cass., n. 3984/2017; Cass., n. 25707/2015; Cass., n. 4442/2010).

2.5. Del resto, la motivazione si mostra del tutto insufficiente, laddove giustifica la riduzione della percentuale di ricarico dal 150 % al 90 % e l’avviamento da Euro 31.154,00 ad Euro 18.692,00, in quanto fondata su di una motivazione completamente astratta e stereotipata fondata su “dati certi ed oggettivi, frutto della vissuta esperienza di mercato”, priva di ogni aggancio ad elementi fattuali concreti.

2.6. Né giova alla forza persuasiva della decisione il richiamo, per l’accertamento della plusvalenza, da cessione del bar a terzi, al valore determinato dall’acquirente dell’azienda per il pagamento dell’imposta di registro, nel procedimento di accertamento con adesione. Infatti, per questa Corte, in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria (Cass., 8 maggio 2019, n. 12131).

2.7. Si deve anche tenere conto della diversità di tipologia di prodotti venduti dal bar, sicché la percentuale di ricarico dovrebbe essere differenziata in base a ciascuna specifica peculiarità di prodotti posti in commercio. Il ricorrente, infatti, si duole anche del fatto che l’Agenzia delle entrate non ha tenuto conto della diversa ed ampia tipologia di prodotti venduti al bar, taluni peraltro con prezzi imposti dai produttori, che oscillano tra il 20 % ed il 100% (cfr. pagina 12 del ricorso per cassazione); sicché dovrà tenersi conto del principio giurisprudenziale per cui, in tema di accertamento induttivo fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, il ricorso alla media aritmetica semplice è consentito quando risulti l’omogeneità della merce, dovendosi invece fare ricorso alla media ponderale quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio (Cass., sez. 5, n. 33458/2018).

2.8. Inoltre, per questa Corte, come correttamente evidenziato dal ricorrente, in tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave, quale l’abnormità della percentuale di ricarico (Cass., sez. 5, n. 27552/2018). Solo in questo caso è, infatti, possibile accertare i maggiori ricavi di impresa affidandosi alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza (Cass., 7 luglio 2017, n. 16773).

La motivazione del giudice di appello, invece, si limita a considerare legittima l’applicazione della percentuale di ricarico nella misura del 150 % a tutti i prodotti posti in commercio nel bar, senza alcuna distinzione, salvo poi ridurre la stessa in via equitativa del 40 /0.

3. La sentenza deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020.

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